Locarno. L’anima volatile di Interchange

Serial thriller o fantasia antropologica?

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Interchange è un film malese di Dain Iskandar Said su un’indagine: un serial killer svena le sue vittime, le priva di sangue e le offre agli inquirenti come composizioni artistiche di rara, ma originale brutalità accompagnate da lastre fotografiche di negativi su vetro e piume d’uccello. Un fotografo della polizia (Adam) passa dal fotografare i cadaveri al fotografare i vicini di casa in un supercondominio alveare che ovviamente rimanda alla Finestra sul cortile (e fotografa soprattutto la vicina Iva) mentre un poliziotto (Man) amico del fotografo indaga sulle foto scattate nel condominio e incappa presto in un individuo di forza superiore che non si rompe cadendo dai grattacieli e che al posto delle dita ha degli artigli. Anzi a ben pensarci ha una pelle che ricorda un uccello e in certi momenti emette piume e la sua testa si deforma in un becco. Domanda poliziesca: ma le sue vittime le uccide o le trasforma? Sono tutte appartenenti a un’etnia della foresta e (come ritengono molte etnie primitive) forse la loro anima è stata succhiata da una fotografia. Dain Iskandar Said ha studiato arte e fotografia a Londra è tornato in Malesia e dalla pubblicità è passato alla sperimentazione. Come molti altri autori orientali si divide tra format commerciale del thriller e sperimentazione d’arte, o li piazza in un unico contenitore spiazzante.

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