Qualche notte fa è scomparso all’improvviso Tommaso Labranca.

Io non posso non ricordarlo, come credo si debba fare con qualcuno che ha fatto e detto delle cose scomode e controcorrente.

Soprattutto, proprio io non posso non farlo perché Tommaso Labranca è stato il mio primo editore.

Qualcosa di cui sanno in pochi, o non si sa affatto.

Bene, è venuto il momento di dirlo.

Si faceva chiamare allora Nunzio Tommaso Recchimuzzi Labranca, ed era un ragazzo in carne e molto acuto, già tanto sporto verso un sottile intellettualismo. Ci conoscemmo a Firenze, nel 1987, nel corso di una delle dolorose settimane dedicate al Meeting delle Etichette Indipendenti. Giorni di caos e anche in una certa qual misura, giorni di angosciosa ricerca e speranza di incontri decisivi.

Frequentava il suo amato underground italiano, con l’eccitamento di chi voglia scoprire insieme delle perle e delle porcherie, per poi mescolare il tutto. Aveva un gusto speciale per tutto ciò che, spinto all’eccesso della cialtroneria, finiva per divenire sublime.

Questo lo divertiva ma anche lo disgustava, ed era certo di dover compiere un’operazione di svelamento di ciò che nuoce alla crescita del gusto collettivo.

Aveva però anche un sottile amore allo stesso tempo per la finezza e per l’ineffabile.

Il mio universo musicale e letterario era tanto venato di malinconia e struggimento da spingerlo nei miei confronti a un intenso dialogo, che lui prese molto seriamente.

E seriamente volle curare la redazione, un po’ farlocca e ingenua, del mio romanzo “Filosofia dell’Aria”, che sarebbe apparso l’anno seguente, il 1988, in edizione speciale, licenziata da Stampa Alternativa.

Le Edizioni, di cui Labranca era unico e speciale factotum, si chiamarono “La Misere Provoque Le Genie”. Credo durarono una stagione, e credo anche che il mio testo sia rimasto, insieme a poco altro, l’unico suo tentativo di attaccare il mondo dell’editoria con qualcosa di diverso da ciò che circolava allora.

Inutile tradurre il nome dell’edizione, è facile già da quello intuire la finezza e la capacità di viaggiare spediti sebbene sul bordo di ogni categoria, che gli erano propri.

Utile semmai ricordare il nome che aveva dato alla Collana con cui pubblicava il mio scritto: Contemplazione del Lago.

Tommaso fu anche il primo ad introdurmi all’utilizzo del Macintosh portatile. Diceva che uno come me non avrebbe potuto passare neppure un giorno della sua vita produttiva a perdere tempo con altri sistemi.

Poi a me quella edizione non piacque. Non mi fu mai permesso di controllare la redazione del testo, e lo scoprii in tutta la sua bella e fresca ingenuità solo a libro stampato.

Apprezzavo la verve di Labranca e apprezzavo il coraggio con il quale si muoveva in un orizzonte culturale asfittico e del tutto precluso a chi, come noi, osava sfidare le industrie della “cultura” con gesti estremi e pionieristici, le quali virtù erano viste e interpretate solo come gesta suicida o velleitarie nel migliore dei casi.

Il tempo avrebbe dimostrato che avevamo ragione noi.

Dopo qualche battaglia condotta insieme, ci separammo, per restare in contatto solo epistolare. La stima evidentemente era sopravvissuta, ma qualcosa nel piglio suo da una parte e mio dall’altra non ci facevano marciare insieme.

Qualche tempo dopo ricevetti orgogliosamente da lui una copia di “Giovani salmoni del Trash”, rigorosamente autoprodotto, e ancora poco dopo seppi che aveva preso il largo con l’editore Castelvecchi con un testo tratto da quell’opera e da quella precedente “Agiografie non autorizzate”.

Era nato per tutti Tommaso Labranca.

Negli anni la mia strada e la sua sono sempre rimaste separate. Si può ben capirlo leggendo me e lui, lui e poi me.

Tommaso è stato protagonista di una fulminante carriera come autore televisivo e come intellettuale di rottura, sempre pronto a guastare la tronfia solennità di presunti scrittori o musicanti toccati dalla fortuna che, tanto in musica quanto in letteratura, hanno ammorbato le coscienze del nostro Paese.

E se non faccio i nomi di coloro che Labranca negli anni si è divertito a sezionare e a mettere deliziosamente alla berlina, è solo perché a qualcuno di voi possa venire la voglia di andare a scoprire quanti presunti mostri sacri sia riuscito a massacrare. Divenendo prima scomodo, poi molto ricercato, e infine nuovamente alienato dal carrozzone che andava demolendo dall’interno. Musica, narrativa, televisione.

Col tempo ha finito per tornare a produrre in proprio, come agli inizi, un po’ più defilato, meno al centro del dibattito, probabilmente disgustato, ma rimanendo sempre quello di sempre, come si deve.

Le differenze che ci hanno separato sono molte.

Ma vi è almeno una caratteristica di Nunzio Tommaso, per tutti Tommaso Labranca, che ci ha resi complici a distanza nel tempo: il credere in una personale e incessante risalita controcorrente di ogni contenuto.

Poi ce ne sarebbe ancora un’altra che ci lega, e a questo punto tanto vale dirla: essere rimasti sempre, indipendentemente da tutto, indipendenti.

Vedi come si può essere uguali nella diversità. E dirselo, quando la notte scende, fa bene al cuore che ci deve reggere ancora. E che è tutto ciò che abbiamo.

gianCarlo onoratoMusicista, scrittore e pittore fuori dagli schemi, ex leader di Underground Life. Ha pubblicato i dischi: Il velluto interiore (1996), io sono l’angelo (1998), falene (2004), sangue bianco (2010, Premio Giacosa), ExLive (2014) con Cristiano Godano, quantum (2017), “quantum Edizione Extra” (2018), ha curato la co-direzione artistica del Tributo a Luigi Tenco come fiori in mare Vol. I (2001) e Vol. II, in “Sulle labbra di un altro” (2011), ed i libri: Filosofia dell’Aria (1988), L’Officina dei Gemiti (1992), L'ubbidiente giovinezza (1999), Il più dolce delitto (2007), “ex-semi di musica vivifica” (2013), La formazione dello scrittore” (2015). Ideatore del Seminario del Verbo Musicato, ha centinaia di concerti alle spalle e un disco, un tour e un nuovo romanzo nel prossimo futuro. giancarloonorato.it

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