Ho visto un concerto R O C K e non è poco. The Who live

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Come recita il titolo, ho visto un concerto rock vero e non è poco.

Sono anni che la parola rock pare essere diventata vuota di significato, di difficile uso, anni nei quali i simboli del rock impazzano sulle magliette di pseudo-stilisti in vuoto di creatività, anni che questo aggettivo che non si riesce a definire perché vuol dire tutto e niente viene appioppato e distorto, infilato e piegato a uso e consumo della macchina per fare soldi.

Fino a quando ti trovi all’Unipol Arena di Bologna e aspetti l’inizio di uno show come quello degli Who dopo aver fatto un rock dj set nell’area accoglienza, oltre che, per metterti nei guai, aver suonato cinque canzoni.

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Sono abituato a suonare e mi piace farlo in tutte le condizioni, come se fossi uno che raccoglie esperienze. Questa mi mancava e, come capita spesso, mi ha dato nuovi stimoli.

Anche selezionare musica per un pubblico esigente come può essere quello che sta entrando a vedere The Who:

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Alle 19.15 entri nell’arena e boom! sei dentro all’ambiente che ami, rock, comincia a ficcare il naso in zona mixer e trovi un grande tecnico come il mitico Red, fonico col quale qualche centinaio di show li hai fatti

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e anche questo è fottutamente rock.

Sullo schermo, nel frattempo, scorrono le immagini della storia di un gruppo come gli Who ed è una storia lunga, fatta di avvenimenti entrati nella leggenda che, attraverso un sapiente uso della narrazione, vengono inseriti in una cornice umana, così, perfino il concerto di Woodstock viene raccontata con alcune didascalie, tradotte in italiano, che sono ammantate di sense of humor tipicamente britannico.

Il tutto viene interrotto dall’esibizione del gruppo spalla degli Slydigs ecco qui il loro sito,

http://www.slydigs.co.uk/

i ragazzi sono perfettamente calati in un immaginario assolutamente coerente con l’età e con la loro voglia di far rivivere un sound classicamente chitarristico, il palco lo tengono molto bene e gli viene data una bella opportunità di visibilità. Vi segnalo anche che è un bel gesto da parte degli Who di farli suonare a un volume decente utilizzando le luci e le proiezioni, cosa che , in un opening set italico, ben difficilmente viene concesso per paura di non si sa cosa.

Il set finisce, riparte la narrazione ma qualcosa nell’aria comincia a muoversi, non c’è neppure tempo di annoiarsi che un via vai di tecnici comincia a avvicendarsi sul palco, mentre sullo schermo, ogni aspetto del concerto viene spiegato, andando a ringraziare i roadies e i fonici di palco e di sala, spiegando come funziona la tempistica di uno show, come viene effettuato il soundcheck e come funzionano gli spostamenti.

Anche questo è molto molto rock, non viene assolutamente dato per scontato il lavoro che c’è dietro a uno show come questo e tutto ciò è pregevole, diamo per scontato troppe cose e lo sforzo è quello di far capire la bellezza di tutto questo.

Sono le 21 e, con un ritardo di pochi minuti arriva la scritta seguente sullo schermo, dopo la richiesta ovvia di non fumare per una allergia di Roger Daltrey che potrebbe portare a una riduzione di durata dello show e il consiglio, come palliativo, di consumare una di “quelle” torte speciali, dannazione, quel sense of humor brit!

Ecco la scritta,14344091_547301778810423_3021621763815134882_n

e anche questo è rock sul serio.

Entrano dapprima i musicisti, il  chitarrista nonchè fratello di Pete, Simon Townshend, il potente batterista Zak Starkey (figlio di Ringo Starr), il grande bassista Pino Palladino e i tre tastieristi John Corey, Loren Gold e Frank Simes. Anche loro vengono presentati sullo schermo e anche questo è rock, in anni ove i musicisti sembra debbano scomparire dietro un velo di fumo, quasi fossero una sorta di presenza che non deve distogliere dal titolare del manifesto.

E poi

poi entrano loro due, con semplicità rock, salutano, prendono posto e parte il concerto, lo show, il rock.

1.I Can’t Explain
2.The Seeker
3.Who Are You
4.The Kids Are Alright
5.I Can See For Miles
6.My generation
7.Behind Blue Eyes
8.Bargain
9.Join Together
10.You Better You Bet
11.5:15
12.I’m One
13.The Rock
14.Love, Reign O’er Me
15.Eminence Front
16.Amazing Journey
17.The Acid Queen
18.Pinball Wizard
19.See Me, Feel Me
20.Baba O’Riley
21.Won’t Get Fooled Again

Scaletta imperiale, d’altronde lo show è celebrativo di 50 anni di carriera e così deve essere, che cosa devo dirvi? Questa è musica rock per come la intendo io, senza fronzoli, suonata con veemenza ma anche con grandi, splendidi momenti di dinamica, il tutto suonato con istintività granitica da un batterista che ha nel dna qualcosa in più, da un cantante che si è ritagliato una possibilità di confrontarsi col passato senza paura, da un bassista che è una presenza discreta ma assolutamente pertinente, anche nel non voler scimmiottare un inimitabile architetto del ruolo stesso del basso elettrico in ambito rock come il gigante John Entwistle, titolare del primo vero e proprio assolo di basso su un singolo rock con My Generation.

E’ proprio lì che ti accorgi di quanto amore ci sia in questo concerto, fatto da due sopravvissuti che omaggiano due amici che non ci sono più, facce che vedi apparire sugli schermi in un continuo gioco a rimpiattino col Tempo. Quei quattro lì sono amici per la vita, gente che è partita con un sogno e l’ha fatto esplodere in cielo come un fuoco d’artificio, musicisti che sono cresciuti applicando quel concetto di rock and roll che è la democrazia, gente che ha cambiato la vita di tantissime altre persone con un oggettino di due minuti e mezzo su un pezzo di vinile nero, gente che è ancora capace di farlo, se la serata è quella giusta e quella del 18 settembre 2016 lo è stata, una serata perfetta, fatta di un chitarrismo che io, personalmente, non avevo mai visto, una chitarra elettrica che si tira dietro tutti, con un tiro devastante e una precisione rock al 100% e nessuno spazio per i fronzoli.

Questi sono ragazzi che hanno seguito i loro sogni, gente che ha viaggiato, amato, litigato, bevuto, capito, affrontato, seguito, corso, pianto e a settant’anni suonati sono lì, su un palco tutto sommato modesto per la loro storia, non da megalomani, a rendere omaggio alla capacità di mantenere i sogni vivi.001by0h3

Il rispetto che provo per questi sentimenti è il senso del rock.

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E’ una storia fatta dagli uomini per altri uomini e, quando passano sullo schermo, mentre gli Who affrontano lo strumentale The Rock, la capacità di un gruppo rock di farti rivivere 20 anni di storia e immergerti nella vita, quella vera, ti emoziona, facendoti capire che non ci siamo sbagliati.

Che il rock ti mantiene vivo e giovane per sempre.

Se accetti la possibilità di fallire.

Puoi

vincere.

Long Live Rock and Roll.

Keep Dreaming.

Grazie Who.

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