Tre anni senza Lou Reed: il ricordo di Saturnino

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Tre anni fa moriva, a 71 anni, Lou Reed, uno dei maggiori esponenti del rock a stelle e strisce. Per ricordarlo, pubblichiamo un estratto del capitolo che Saturnino ha voluto dedicargli nella sua autobiografia Testa di basso, scritta con Massimo Poggini ed edita da Salani. Un ricordo molto intimo, che vi svelerà qualcosa di più su the human side of the rockstar.
Buona lettura…

di Saturnino

Il critico d’arte Demetrio Paparoni un giorno mi ha messo in contatto con Davide De Blasio, un imprenditore napoletano appassionato di musica.
Davide, che era un grandissimo fan di Lou Reed, riuscì ad incontrarlo e col tempo tra loro due è nata una bella amicizia. Un giorno mi disse: «Lou Reed mi ha invitato alla prima di Berlin a New York. Non voglio presentarmi a mani vuote, ma non so cosa regalargli».
Io gli dissi: «Te la do io l’idea giusta. Il mio basso è stato fatto a Lambrate. Se gli regali una chitarra realizzata nello stesso posto vai sul sicuro».
«Ma che cazzo, regalo una chitarra a Lou Reed!».
«Fidati, farai un figurone!».
Lo portai nel laboratorio di Lambrate, dove realizzarono uno strumento ad hoc.
Davide lo portò con sé a New York. La sera della prima in sala c’erano talmente tanti artisti che avrebbero potuto fare un’altra Woodstock. Quando Davide entrò nel camerino si trovò di fronte a personaggi come Bono e David Bowie.
Disse al suo amico Lou che gli aveva portato un regalo, e la sua prima reazione fu disarmante: «No, cazzo, un’altra chitarra! Basta chitarre!».
Davide si sentì morire, credo che in quel momento mi abbia stramaledetto. Ma dopo aver aperto la custodia, Lou Reed osservò la chitarra per qualche secondo in religioso silenzio, poi la afferrò e disse: «Strano! Questa chitarra non è fatta con una conoscenza da semplice liutaio. C’è qualcosa di più», rimanendo quasi in adorazione di fronte a quello strumento.
Il giorno dopo chiamò Davide per ringraziarlo una volta ancora: «Questa chitarra è fantastica, mi hai fatto un regalo bellissimo». (…)
Un paio di settimane più tardi ai liutai di Lambrate arrivò una mail: era il backliner di Lou Reed che faceva una lunga serie di domande.
Successivamente di mail ne arrivò una seconda, sempre scritta da Hurwood. Poi una terza, questa volta firmata direttamente da Lou Reed: «Questo strumento mi piace un sacco, mi ispira molto e lo suono sempre. Quando sarò a Milano vi verrò a trovare».
Tutti pensavano che fosse la classica frase di cortesia, invece qualche mese dopo Lou a Milano ci venne sul serio per inaugurare una mostra di sue fotografie organizzata da Photology, una galleria d’arte in via della Moscova.
Giornata indimenticabile, quel 26 marzo 2007. Intorno a mezzogiorno ricevetti una telefonata. Era Davide De Blasio. «Sono a Napoli e non riesco ad essere a Milano prima delle 18. Devo vedermi con Lou. L’inaugurazione della mostra è domani e lui oggi ha la giornata libera. Vuole andare nel laboratorio della N.O.A.H. Siccome non mi fido di nessun altro, mi faresti la cortesia di andare a prenderlo al Gran Hotel et de Milan e portarlo a Lambrate?».
Affittai una Golf e andai immediatamente in albergo. Lo trovai che mi aspettava, tranquillo e solitario, nella hall. Mi presentai, lo condussi fino alla macchina e lui salì dietro.
«Are you the driver?», domandò prima che mettessi in moto.
E io: «No, sono un amico di Davide». Allora scese e si sedette davanti. (…)
Ci muovemmo alla volta di Lambrate, dove ci stava aspettando il fotografo Guido Harari, pure lui vecchio amico di Lou Reed. Appena entrati nel laboratorio, Lou notò una Noah Parafina disegnata da Lorenzo Palmeri. Era un prototipo realizzato per essere esposto al Salone del Mobile. La imbracciò, e a quel punto cercano di fargli una fotografia ma lui, stizzito come una vera rockstar, borbottò: «Per favore, niente foto!».
Dopo aver collegato la chitarra a un amplificatore, alzò il volume a palla e iniziò a fare un riff distortissimo. Poi chiuse gli occhi per alcuni istanti, quasi sognante, e dopo averli riaperti esclamò con grande entusiasmo: «Ora potete fare tutte le foto che volete!».
Iniziò a fare domande a raffica. Sembrava un bambino entusiasta e non voleva saperne di uscire da quel laboratorio. Volle vedere la cantina dove costruivano le chitarre, la casa, tutto. Rimanemmo lì per oltre quattro ore, tanto che quando Davide atterrò con l’aereo, ci raggiunse direttamente a Lambrate.
Più tardi, dopo aver verificato che l’allestimento della mostra fosse a posto, lui e Davide andarono a cena. In quei giorni a Milano c’erano anche i miei genitori, così decisi di prenotare un tavolo nello stesso ristorante. Durante la cena spiegai ai miei chi fosse Lou Reed. Gliel’ho pure presentato. (…)

(Dal libro Testa di basso, Salani Editore, di Saturnino con Massimo Poggini)

Saturnino, Testa di basso

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