New York, la Città in Fiamme e 1000 pagine di amore.

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Grazie ad alcuni viaggi in treno, diversi spostamenti espletati su sedili di un furgone malconcio e alcune notti autunnali, mi sono letto il romanzone di Garth Risk Hallberg, “Città in Fiamme”, un poema epico sulla città di New York sul finire degli anni 70, in piena esplosione del punk.

Il lavoro di Hallberg è stato al centro di un notevole caso editoriale seguito al versamento di 2 milioni di dollari da parte dell’editore americano Knopf, storie come ne succedono solo oltre oceano, che a noi italici ricordano un poco le avventure di Paperon Dè Paperoni e la sua Numero Uno, il decino alla base della sua ricchezza ultra capitalistica.

Il libro è definitivamente, se mai ce ne fosse ancora bisogno, un atto d’amore verso la città di New York che viene descritta, dileggiata, amata e odiata fino al culmine, che è chirurgicamente disegnato durante il blackout del 1977.

“Chi ha smesso di sognare un mondo diverso? Chi tra noi – se ciò volesse dire rinunciare alla follia, al mistero, alla bellezza totalmente inutile delle migliaia di New York un tempo possibili – è pronto perfino ora ad abbandonare la speranza?”

Il libro parla di giovinezza, non quella spensierata e a la Norman Rockwell pubblicizzata dalla coca cola ma, piuttosto, quella storta e distopica di chi tenta di trovare una sua strada in un mondo che ha per sua definizione la difficoltà, da quando l’uomo ha dovuto abbandonare l’eden e il rapporto con la natura. In un luogo comunque da sempre iconico come New York, il rapporto con la natura si è trasformato in qualcosa che ha il sapore della sfida, tra idranti e Meatpacking District, gli incendi di Harlem e le speculazioni edilizie del capitale al suo massimo lucore.

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La musica è protagonista ma, comunque, lo è sempre stata a Gotham, la città dove se ce la fai, ce l’hai fatta ovunque.

Il 1977 io l’ho vissuto, ero adolescente e ho vissuto un’epoca di rivolgimenti e stravolgimenti ove la politica, chiamiamola “il Movimento”, la faceva da padrone, anche in termini di conformismo. Dovevi a tutti i costi essere di sinistra, se no eri out. Qui, con il romanzo che è anche l’esordio di questo giovane scrittore della Louisiana, capisci cosa ci differenzia dagli amerigos, noi cominciamo a fare delle teorie di tipo politico, lì vivono. Anche se pure lì viene descritta una sorta di reazione politica allo scoppio dell’eroina, dei diseredati, dei protagonisti delle ingiustizie.

“In quegli anni, dovunque ti girassi vedevi collanine dell’amore, e poi love-in, Love Me Do e When a Man Loves a Woman. Era impossibile essere un cittadino di quell’epoca senza credere, in qualche modo, che l’amore, come diceva un’altra canzone, fosse tutto ciò di cui avevi bisogno.”

Hallberg ha impiegato sette anni a scrivere questo romanzo. Qualche centinaio di pagine, soprattuto verso il centro del libro, sono superflue, servono a fart risaltare la parte finale, la risoluzione.

Lo scrittore si “sente” dietro la storia, è un burattinaio che crea inesplicabili occasioni di incontro tra persone appartenenti a classi sociali molto diverse e vi dico che la cosa, in una società come quella newyorkese è possibile ma piuttosto difficile, il sistema delle caste indiano in America trova assolutamente operatività.

Non mi stupirei se, cavalcando la tigre, il libro divenisse una serie televisiva, sembra infatti che il mondo si divida tra quelli che guardano le serie e chi non le guarda, tra quelli ci sono orgogliosamente io.

New York l’ho visitata per lavoro nel 1989, la mia prima volta. Ricordo una città dominata da un freddo glaciale, ancora immersa in una delinquenza notevole ma anche assolutamente crudele, gli homeless che dormivano per strada, sulle grate per raccogliere il riscaldamento dei grandi buildings.

Non era la New York qui descritta ma alcune pagine del libro mi hanno riportato la’ in mezzo alle strade di quella città di luce e fiamme.

“Forse l’anno non è questo, ma quello; e tutto ciò che segue deve ancora venire. Forse una molotov sta volando nel buio, forse un reporter sta attraversando di corsa un cimitero; forse la figlia del pirotecnico è ancora appollaiata su una panchina coperta di neve a proseguire la sua veglia solitaria. Perché se le prove indicano qualcosa, è che non esiste un’unica Città. O che, se esiste, è la somma di migliaia di varianti, tutte in gara per raggiungere lo stesso punto”.

Sul sito dedicato al libro potete leggere il primo capitolo e trovare una utile playlist Spotify.

http://cittainfiamme.it/

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