Negli ultimi giorni prima di addormentarmi leggo qualche pagina di Born to run, l’autobiografia di Bruce Springsteen in Italia edita da Mondadori. Ieri sera un paragrafo l’ho riletto due volte: «Uno o due anni prima che Jimi Hendrix approdasse al Wha?, i Castiles ci suonavano regolarmente il sabato e la domenica. Nel locale accanto, in MacDougal Street, si esibivano i Fugs, mentre al Warwick Theater, dietro l’angolo, c’erano i Mothers of Invention. Al Bitter End io e Steve guardammo Neil Young promuovere il suo primo album solista, facendo tremare le pareti con l’inconfondibile Gibson nera collegata a un minuscolo amplificatore Fender. Nessuno faceva molto caso ai Castiles, tranne uno sparuto gruppo di ragazze provenienti da fuori Manhattan che si erano affezionate a noi e venivano sempre a vederci. Il Greenvich Village del 1968 era un mondo sconfinato e libero, un mondo nel quale i fricchettoni come me potevano mostrarsi per ciò che erano senza essere presi a botte. Era un mondo che sentivo mio, una piccola finestra sul mio futuro».
Dopo aver riletto questo passo, mi è scesa addosso una malinconia infinita. Perché quel mondo che racconta Bruce quasi certamente non tornerà mai più. Certo, la città è New York, l’area il mitico Village in anni altrettanto mitici. Ma ve li immaginate tutti insieme, nel giro di poche centinaia di metri, i Castiles, Neil Young, i Fugs, i Mothers of Invention? Oggi tutt’al più potremmo incontrare Justin Bieber e Chris Martin, che risponde con banalità alle banali domande di Fabio Fazio.
Ora le “star” non nascono più nei locali piccoli e fumosi, ma vengono selezionati dai vari X-Factor e The Voice. La parola “gavetta” pare sia stata abolita e, per uno che esce da lì che potrebbe anche avere qualcosa da dire, ce ne sono diecimila che non valgono niente. Però sono talmente pieni di sé che sono convinti di poter conquistare il mondo con un semplice schiocco di dita. E attorno hanno persone alle quali della musica non frega niente che glielo lasciano credere.
Già stasera nella nuova puntata di X-Factor cercheranno di convincerci che quelli che lì sono tutti dei piccoli geni destinati ad avere chissà quale futuro. “A spaccare”, come si dice. Io credo che sarebbe meglio se avessero alle spalle perlomeno un piccolo passato. E comunque in quel futuro così radioso non riesco a crederci. La realtà dimostra che nella quasi totalità dei casi sono destinati a tornare nel nulla da cui sono partiti, per poi non ricomparire mai più.
Io comunque stasera X-Factor non lo guardo. Preferisco andare all’Alcatraz di Milano per verificare di persona se questi Thegiornalisti di cui tanto si parla sono un bluff o un gruppo che potrebbe crescere ancora. Loro, perlomeno, quel po’ di seguito che hanno se lo sono conquistato col sudore della fronte suonando davvero. Soltanto per questo meritano rispetto.