George Michael: quando l’ipocrisia cerca di nascondere l’arte

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Prima di scrivere questo post, è necessaria una premessa importante: non sono una fan di George Michael. Non conosco tutte le sue canzoni a memoria, non ho tutti i suoi dischi. Quando ha iniziato la sua carriera così sfolgorante, quando ha pubblicato successi come Last Christmas e Carless Whisper non ero ancora nata, e non ho vissuto pienamente il suo periodo d’oro. Però…però la sua immagine così forte, la sua voce decisamente unica, il suo essere così fuori dagli schemi, così riconoscibile, lo ha sempre reso, ai miei occhi, un artista da guardare con attenzione. La notizia della sua morte è arrivata così, all’improvviso, proprio la sera di Natale. Ed inevitabilmente non si può non pensare a quanto il destino possa essere beffardo. Morire proprio a Natale, quando in tutte le radio ed i negozi del mondo risuona Last Christmas, cosa che accade da più di 30 anni.  Morire a soli 53 anni, nel letto di casa tua, da solo.  I comunicati  ufficiali dicono che sia morto “serenamente”, eppure io di sereno ci vedo ben poco. Perché George Michael era tutto, ma non sereno. Era gioia, sfacciataggine, talento, sensualità, passione, romanticismo, malinconia…ma non serenità. In un anno tremendo per la musica (e non solo) come il 2016, che si è portato via pezzi di storia che non ritorneranno più, la sua morte risuona forte. E non solo (purtroppo) per il dispiacere di aver perso un talento unico così presto. No. Ciò che prevale, accanto al dolore di colleghi, amici e fan, è l’ipocrisia, la morbosità. Si inizia ad indagare meglio sul suo passato, a riportare alla luce i suoi eccessi, i suoi momenti bui, senza ricordare che la solitudine che ha attraversato è stata causata dagli stessi che adesso continuano a commentare, a dare opinioni.  Si inizia a giudicare il privato di una persona tralasciando il valore artistico. Perché è decisamente più comodo parlare degli argomenti più scabrosi, piuttosto che dei 125 milioni di dischi venduti, o delle novità che George ha dato alla musica mondiale. E lo so, è così che funziona, da sempre, e per tutti. Ma questa volta c’è un po’ di amarezza in più. George Michael  ha dato un calcio netto alle convenzioni, e nelle poche interviste che ha concesso nella sua carriera, parlava a ruota libera. Rileggevo proprio in questi giorni le due interviste rilasciate al giornale britannico The Guardian pochi anni fa, che ormai sono entrate nella storia. George raccontava senza remore dei suoi problemi, era un ottimista, aveva molti progetti  da realizzare, sogni. Ha anticipato le mode, ha sdoganato argomenti tabù, ha risposto alle critiche e alle prese in giro con la sua musica, e usando la sua grande ironia (come dimenticare il video di Outside, girato dopo essere stato arrestato per atti osceni in luogo pubblico). E se ci pensiamo bene, le sue intemperanze e debolezze le ha pagate sempre e a caro prezzo. Quello che davvero infastidisce è chi dopo le parole Dispiacere, Cordoglio, Artista di successo, deve sempre abbinare altri termini come Omosessuale, Drogato, Eccessivo. Come se fosse un obbligo scrivere, anche dopo la sua morte, che non era un uomo perfetto, come se l’omosessualità fosse un difetto, un marchio da sopportare. E conta poco tutto quello che si è scritto e cantato, non basta. Il privato va a surclassare tutto il resto, l’ipocrisia perbenista ricorda appena due canzoni e poi via, avanti un altro. George Michael ha saputo affrontare bene questi meccanismi, almeno pubblicamente. Ha intitolato un disco Listen without prejudice, “ascoltate senza pregiudizio”, che penso dica già abbastanza. E non parlava solo di pregiudizi circa la sua persona privata, ma come artista. Perché per alcuni anni ha pagato lo scotto di essere arrivato al successo con un’ immagine e dei brani decisamente da boyband, che offuscavano troppo il suo talento e la sua voce. Ha dovuto lottare per acquisire credibilità, per essere considerato un grande cantante. Perché, ci tengo davvero a dirlo e spero lo ricordino tutti, George Michael aveva una voce meravigliosa, calda, precisa, grintosa, semplicemente unica. Una voce che sapeva interpretare con disinvoltura ogni genere, che ha conquistato la stima di artisti come Aretha Franklin, Elton John e Whitney Houston. L’unico che ha interpretato Somebody to love dei Queen come degno sostituto di Freddie.

Sarebbe davvero bello se ciò che resta di George Michael fosse racchiuso nei suoi dischi e nelle parole commosse di fan e colleghi. Perché in molti casi, la musica basta a se stessa.

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