Bob Dylan, la rockstar con l’anima jazz

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Triplicate
di Bob Dylan
Voto: 6 e mezzo
Sony Music

Innervosire i propri fan dev’essere una delle perversioni preferite di Bob Dylan, che mai come quest’anno ha deciso di mostrare al mondo – qualora non si fosse capito – di essere una vera rockstar; uno di quelli che fa le cose solo secondo la sua volontà, senza badare troppo agli altri.
Nell’anno in cui ha messo in crisi l’Accademia di Svezia per il ritiro del Premio Nobel, Dylan ha deciso di alzare la posta portando altri tre album di cover, giusto per indispettire gli adepti più fedeli (Triplicate è il terzo episodio della sua raccolta filologica iniziata con Shadows in the Night e proseguita con Fallen Angels).
I fan volevano sue parole nuove dopo due dischi considerati transitori e lui, che le volontà dei fan le usa per fare l’esatto opposto, si è rituffato sugli standard, facendo finta di dimenticare come si tiene una penna in mano per scrivere versi epici.

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Ora il discorso è questo: quasi tutti avrebbero preferito ascoltare ancora le sue parole piuttosto che altri tre dischi di cover (da sommare agli altri due). Ma Dylan ora si diverte a rimetter mani a pezzi che tra il ’30 e il ’50 hanno fatto la storia (As time goes by di Casablanca su tutte) e questo ha voglia di farci ascoltare.
Magari Triplicate non sarà l’album più memorabile di Dylan, ma resterà nel complesso una pietra che segnalerà un preciso momento di un artista che ha sempre avuto voglia di misurarsi con contesti musicali differenti tra di loro. Oggi è il turno del jazz e non si può dire che l’esperimento sia venuto male.
Ha portato brani leggendari come My one and only love e How deep is your ocean e ha retto il confronto con i colossi della musica che le hanno interpretate. Ha reso Stardust più frizzante della versione sinatriana e si è superato con These foolish things.

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Ha riletto bene tanti altri bei brani, ma non sono i singoli il succo di tutto. Il succo del lavoro è che Dylan ci ha dimostrato un amore viscerale per una musica che consideravamo antitetica alla sua. Abbiamo creduto per anni che Bob avesse fatto fuori con le sue stesse mani questo genere per introdurne un altro.
Ora è tornato lì, sul luogo del delitto, con la circolarità tipica delle sue canzoni. È tornato per farci vedere che probabilmente tutta la sua opera discografica antitetica a questa è nata proprio dopo esser cresciuto con quegli standard e con quelle canzoni.
I fan incalliti di Dylan sono arrabbiati perché lui ha iniziato a fare jazz, ma non possono non ammettere che lui l’anima del jazz l’ha sempre avuta ricostruendo (e spesso storpiando) tutte le sue canzoni ad ogni live.
Motivo per cui, contro tutti i pronostici, anche Triplicate sarà negli scaffali degli amanti di Dylan come un disco degno di nota.

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