Un sole artificiale all’Atlantico: Le Luci Della Centrale Elettrica

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Foto di Ernesto Notarantonio

La notte dell’Eur è meno scura del solito, seppure la luce dei riflettori viene assorbita dalla folta barba dell’ormai habitué di Via Dell’Oceano Atlantico Vasco Brondi, stavolta c’era qualcosa in più.
C’era che Le Luci Della Centrale Elettrica si sono trasformate in un reattore nucleare illuminando a giorno e investendo di energia un pubblico che probabilmente si aspettava un concerto completamente diverso.
Perché diverso? Beh l’album si era presentato come un film introspettivo francese: un girato tecnicamente notevole (almeno rispetto alle produzioni precedenti), un potenziale comunicativo che se compreso è d’impatto ma non di immediata fruizione; l’ultimo fattore difficilmente inficia sulla qualità di un disco ma un concerto in una venue come questa c’è bisogno di qualcosa di più Tarantiniano.

Pensato, detto, fatto.
A diversi anni dall’ultimo concerto a cui ero presente (Costellazioni) l’artista sembra irriconoscibile: un’esplosione di energia figlia di una sicurezza mai vista finora, figlia probabilmente del suo “nuovo” sound e probabilmente figlia del fatto che alla fine è un superpotere essere vulnerabili.

Ma veniamo a noi.
Apertura più che dignitosa con un Colombre (qui la nostra intervista) che spicca il volo con la sua acustica pur senza mai monopolizzare l’attenzione del locale ma la magia si spezza con un Flavio giurato che si destreggia ottimamente tra l’uso della chitarra e di un inglese misto a italiano misto a napoletano (ma d’altronde il fratello Luca di lingue ne parla 8, solo tutte insieme) che all’inizio suscita curiosità ma poi si perde nell’indifferenza generale quasi annoiando il pubblico.

Il tempo di una birra e di una chiacchierata e nell’Atlantico si naviga a vista, sarà che il secondo artista ha fatto calare un po’ le aspettative ma d’un tratto le luci si spengono di nuovo e la ciurma sconsolata si anima gridando «TERRA!» alla vista dell’ormai tipica giacchetta sfoggiata dal comandante che ha lasciato finalmente in cabina la divisa cerimoniale per scendere sottocoperta a festeggiare con l’equipaggio.
Si parte da Qui che fa da manifesto al concerto per poi mandare in cortocircuito la folla con Stelle marine, seguono classici riarrangiati tra cui una meravigliosa C’eravamo abbastanza amati che fa subito mettere mano ai fazzoletti.
I fotogrammi delle nuove canzoni prendono tutti vita uno per uno nella performance dando la sensazione di vivere una puntata di Sense8 mentre un’ondata di emozioni fa quel che può per lenire il dolore che le corde vocali provano mentre si grida su Cara catastrofe o su Le ragazze stanno bene.
Piccola parentesi, ho bastonato il buon Vasco Brondi quando c’era da bastonare, sono stato anche parecchio spietato nelle critiche ma quando sei a pochi metri dall’origine di quell’intensità che scaturisce dal verso “E sempre come un amuleto porto i tuoi occhi nella tasca interna del giubbotto” sai che vorresti avere un cappello a portata di mano solo per togliertelo.
All’appello rispondono Moscerini  e l’acclamata A forma di fulmine, il finto distacco di Dal profondo veneto per poi ribadire quanto siamo felici da far schifo nello Scontro tranquillo e nell’incontro reale e mai virtuale sulle note di una Iperconnessi che fa sciogliere felicità distillata nella forma di un abbraccio sincero da parte di una ragazza sconosciuta fino a pochi minuti prima che conferma le parole pronunciate poco prima dal padrone di casa.

Nonostante il progresso non ci sarà mai il tasto abbraccia

Si conclude come si conclude ogni concerto, con un finto arrivederci seguito da un bis, sforando il Coprifuoco e regalando, almeno per una sera ancora, uno sguardo ottimista verso i Destini generali, allungando l’ultimo verso che è un “Pa Pa Pa” per trattenere ancora il mare di volti che a breve defluirà attraverso le porte per tornare a casa scrutando il cielo dal finestrino della macchina mentre percorrono la Cristoforo Colombo in attesa della prossima avventura e del prossimo viaggio. Di seguito la photogallery a cura di Ernesto Notarantonio.

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