Fabrizio Moro esalta il Palalottomatica: «Paura? È più forte l’amore»

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Fabrizio Moro
@Danilo D'Auria

Non ho visto il concerto.
Ho un amico, si chiama Manuel, abbiamo passato i cinque anni del liceo insieme in un modo o nell’altro: più lavativo di me, più erratico di me e se possibile anche più incasinato. Ora io e Manuel non ci vediamo più tanto spesso. Le serate disagiate si sono ridotte, girare sfranti per Corfù alle 5:00 di mattina è solo un lontano ricordo e il malinconico spettro del futuro allora lontano è sempre più motivo di preoccupazione e meno argomento di conversazione.
Ho detto che non ho visto il concerto? Scusate volevo dire: “Non ho visto il concerto che avete visto voi”. Ma non ne sono neanche così sicuro in realtà, anzi!
Era da qualche mese che stavo a corto di musica dal vivo dopo un periodo in cui batoste, delusioni e distrazioni hanno sgomitato per prevalere nella mia mente, dopo tanti, tantissimi giorni in cui non sono riuscito a scrivere due righe avevo bisogno di un nuovo inizio. E quale migliore inizio se non L’inizio?
Essere sotto a quel palco è stato rivedere Manuel dopo sei mesi e prenderci una Budweiser fredda dal bangladino di piazza Re di Roma sulle panche ormai abbandonate che fino a pochi anni fa erano prese d’assalto da aspiranti rimastini, è stato vedere un amico che ha incontrato il futuro e ha messo la testa a posto ma che alla terza Tennent’s torna a essere lo stesso debosciato di sempre.

Apre con Pace ma anziché la bandiera bianca issa il Jolly Roger e va all’arrembaggio del Palalottomatica con la crew di una volta, gli Strani Giorni. O almeno così mi dice una ragazza con qualche primavera in più di me mentre le brillano gli occhi nonostante questa sia l’ennesima volta che lo vede esibirsi: «Io lo seguo da dieci anni, calcola che me lo ricordo alla sagra della ciliegia». Chapeau sugar. Si fosse trattato di un altro artista a cui sono meno legato affettivamente la liquiderei definendola una fanatica ma non è questo il caso, non può esserlo.
Il “mio primo suo concerto” è stato un’esperienza random, dovevo semplicemente accompagnare una mia amica e le canzoni erano ok, poi c’è stato il secondo dove ho imparato ad apprezzarlo e poi è arrivato il resto, e lì ho capito che esistono artisti migliori senza dubbio, ma pochi sono in grado di toccare le corde dell’anima che tocca lui.
L’album scorre, carina la coreografia su Giocattoli, bello il momento con Bianca Guaccero in cui duettano sulle note di È più forte l’amore parte di un momento acustico che è stato adornato con pezzi di pregio quali Il senso di ogni cosa e i “prestiti” Sono solo parole (Noemi io ti voglio bene ma non c’è confronto) e Un’altra vita durante la quale è salita sul palco Elodie.
Poi lui è il tipo che parla a 7.000 persone ma sembra che le prenda sul palco una ad una, a volte si ferma e guarda con quel sorriso compiaciuto di chi si rende conto che sono tutti lì per lui, lo sguardo innamorato di chi non si stanca di alzarsi accanto alla stessa donna ogni mattina, è il tipo che imbruttisce al pubblico sfoderando un’attitudine da Badass cinematografico mentre canta Un pezzettino o che si atteggia a rockstar mentre canta Aspettando Babbo Natale.
Il concerto viene spesso interrotto dai suoi “monologhi”, sin da prima delle aperture (ragazzi apprezzo l’impegno ma siete stati veramente trascurabili) con un ringraziamento al pubblico per esser venuti alla faccia del terrore, della paura e della divisione intentata dal terrorismo (QUI il video) per poi regalare un momento particolarmente toccante dedicando Alessandra sarà sempre più bella ad una sua fan che se ne è andata qualche giorno fa per colpa di un male che è «un gran figlio di puttana», lo stesso figlio di puttana che ha portato via un’amica e di cui non abbiamo potuto far altro che scacciare lo spettro cantando a squarciagola.
Sul palco è uno stand-up comedian che punta a tutt’altro che alle risate: mette a nudo i suoi difetti e si fa fregio di ogni sua debolezza, grida aiuto alle persone della sua vita, si celebra il paradosso di un pubblico che adora il più umano tra gli umani, racconta con una semplicità quei sentimenti a cui non riusciamo a dare una definizione neanche sforzandoci. E STICAZZI SE STECCA!
Il resto, beh, il resto è come assistere a dei flashback, come guardare un film: torno bambino con Pensa, Libero ha ancora l’odore e il sapore delle prime manifestazioni in piazza, dell’ardore, dell’ideologia così leggera e superficiale che ci faceva sentire parte di un tutto che non è mai esistito e delle prime cannette con gli amici.
Durante Eppure mi hai cambiato la vita ho pianto, per la prima volta ho pianto ad un concerto, vederla dal vivo dopo aver provato sulla mia pelle gli effetti di quella canzone è stato troppo anche per un pezzo di ghiaccio come me: la colonna sonora della più bella storia d’amore della mia limitata esperienza, la canzone che mi ha regalato alcuni dei mesi migliori, la promessa che son riuscito a mantenere parlandone proprio con Fabrizio stesso mentre la sicurezza stava per portarmi via e mille altri momenti che mi hanno visto scendere le lacrime.

Il concerto di Fabrizio Moro non è il kebab di Alì ad Arco Di Travertino, il concerto di Fabrizio Moro non è il biliardo dell’Extraball, il concerto di Fabrizio Moro non è guardare i playoff dell’NBA su un proiettore alle 3:00 di notte gridando come se fossimo allo Staples Center. Ma allora perché le sensazioni sono le stesse? Non ho visto il concerto. Ho visto tutto.

Di seguito la photogallery del concerto a cura di Danilo D’Auria.

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