Musicarelli e camei. Pippo al cinema si veste sempre da Baudo

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FF. SS…. Cioè: che mi hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene?

Non si può certo dire che l’«attore» Pippo Baudo ci abbia lasciato testimonianze filmiche memorabili. La carriera recitativa del nostro comincia alla fine degli anni Sessanta, sulla scia del successo ottenuto col Settevoci televisivo. È l’età aurea dei musicarelli, quel sottogenere cinematografico che agiva come veicolo promozionale dei 45 giri (oggi diremmo dei singoli) delle celebrità dell’epoca. In mancanza di internet e di un apparato mediatico pervasivo quanto bastasse, allora funzionava così: sceneggiature allegramente penose, regie coerentemente senza pretese, performance interpretative dei cantanti-attori su cui stendere un velo. Ma a chi andava al cinema tutto ciò poco importava, anzi sfuggiva proprio: e poi vogliamo mettere mattoni maciulla-cabbasisi sfornati dai vari Pasolini e Godard con la scoppiettante prevedibilità dei tormenti amorosi di Gianni Morandi e Little Tony, scanditi dalle canzoncine alla moda?

A proposito di Little Tony, è proprio lui il protagonista dei primi due film di Baudo, che interpreta se medesimo in Zum zum zum  (1968) e nell’omonimo sequel (1969) e lo fa con un’eleganza già riconoscibile, benché esposto alle provocatorie scempiaggini di un Peppino De Filippo evidentemente su di giri.

w le donne
W le donne

Sicuramente Baudo si sarà sentito più a proprio agio nei due film successivi, Il suo nome è Donna Rosa (1969, protagonisti Al Bano e Romina Power) e W le donne (1970, ancora Little Tony). Le canzoni Donna Rosa e W le donne erano infatti sigle di Settevoci e di entrambe le musiche egli era il coautore. Nel primo, il suo personaggio è il Duca Pippo Della Corte, mentre nel secondo interpreta il colonnello Bertoluzzi che, tra le altre cose, assiste divertito all’esibizione canora del protagonista, supportato da Franco Franchi e Pippo Franco.

fenomeno paranormaleUn salto di oltre dieci anni e, dopo alcune fugacissime comparsate in alcune produzioni televisive, eccolo figurare, più che mai nei propri panni, nei sogni di Lucia Canaria, interpretata da Pietra Montecorvino, custode ai bagni pubblici e aspirante cantante nello strampalato ma non privo di humour FF. SS…. Cioè: che mi hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene? (1983) di Renzo Arbore, oppure intervistare il “fenomeno paranormale” Alberto Sordi nel film di Sergio Corbucci Sono un fenomeno paranormale (1985) e rischiare l’infarto “professionale” per l’orgasmo della platea femminile scatenato dalle doti miracolose dell’ospite.

Arriviamo così al 1990 e alla fortunata parodia televisiva dei Promessi sposi del Trio Lopez-Marchesini-Solenghi, dove Baudo interpreta un improbabile padre di Lucia-Marchesini, nobile di origini siciliane soprannominato “Pennellone”, a cui Renzo-Solenghi chiede la mano della figlia: la gag è gustosa, perché vi si mescolano espliciti riferimenti alla carriera del vero Pippo Baudo e alla sua storica fama di presentatore, nonché di scopritore di talenti canori nostrani.

Ancora una veloce apparizione nel sequel di Anni ‘90 (1993) di Enrico Oldoini, quindi eccolo intervistato in due docufilm di registi siciliani del calibro di Ciprì e Maresco e Giuseppe Tornatore, rispettivamente nei tributi all’arte di Franchi e Ingrassia in Come inguaiammo il cinema italiano. La vera storia di Franco e Ciccio (2004) e alla figura del produttore Goffredo Lombardo ne L’ultimo gattopardo (2010).
Infine, l’ultimo (piccolo) cameo in Tutti al mare di Matteo Cerami del 2010.

Che dire in conclusione? Non è certo un caso che il più delle volte il presentatore siciliano sia comparso nei panni di se stesso, quasi a rassicurare lo spettatore medio, desideroso di conferme. Probabilmente la spiegazione sta nel fatto che, come molti divi del piccolo schermo assai noti tra gli anni ’60 e gli ‘80, il suo profilo nazional-popolare e la sua inclinazione, diciamo così, “filogovernativa” furono abilmente sfruttati da registi e produttori dell’epoca per conferire alle pellicole in uscita – tutte, confessiamolo, di modesta qualità – l’intrigante valore aggiunto di ciò che, in qualche modo, aderisse al costume e ai tempi correnti, quelli della televisione come pensiero unico.

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