Sei convinto di amare la musica, ma non ascolti un’opera da anni, né vai più ai concerti.
Non ti fermi neppure più ad ascoltare ciò che un tempo ti aveva fatto vibrare.
Non lo fai oggi, per molte ragioni, e non lo farai domani, e neppure tra un mese o due. Dovrai prima occuparti delle tue utenze, andare al mare perché ne hai bisogno, comprare al più presto una nuova automobile, un nuovo modello di telefono, rinnovare il guardaroba, e tutto il resto ancora di cui sei ostaggio.
E non ti sarà rimasto più niente per te.
Non uscirai più la sera, preferendo rimanere al giogo dei notiziari che ti racconteranno in modo sempre più vincolante e condito un mondo straziato da guerre, dilaniato da bombe e da ruberie, ingiustizie e calamità, e ogni giorno ti segnaleranno una nuova sciagura di cui indignarti e che ti incollerà allo spettacolo irrinunciabile e seducente del tracollo del pianeta.
Resterai così drogato dall’orrore che avanza ovunque da non saper neppure uscire di casa senza una ragione più che valida.
Non sarai più in grado di uscire per il piacere di andare a scovare la semplice visione della luna.
E malgrado le mire ecologiste che credi di avere, nella ricerca di anestesia, rimarrai recluso con ogni stagione in quella che tu credi casa tua e in cui credi di essere ragionevolmente al sicuro, dove sarai bollito da un riscaldamento eccessivo in inverno, rinfrescato a sproposito in estate.
Attraverso lo schermo spierai con santo distacco le immagini di migliaia di ragazzi, di bimbi e di donne galleggiare ormai morti sui flutti come brutti pesci dopo una mattanza, o annaspare nei loro salvagente arancione in attesa di essere salvati. Penserai che è un’ingiustizia, ma lo stesso una parte di te sarà ben contenta di non trovarsi in quelle acque, e non solo come profugo, ma neppure come salvatore.
Farlo sul serio costerebbe tempo, fatica, freddo, paura, l’angoscia della vita vera presa in pieno petto, laddove si capisce che non è affatto bella certe volte, la vita, non è rassicurante, né calda o consolante, né avvolgente, accogliente.
La vita colta dal lato amaro è un dolore potente e interminabile. E tu vorresti non conoscerlo fino in fondo.
Vorresti esserne esentato, risparmiato, sollevato, licenziato, emendato.
Ma se proprio deve essere, tu vuoi l’anestesia.
Per questo ti accontenti, scontento, di rimanere in un limbo di mezza-vita.
Preferisci così solo pensare che sia importante aiutare, ma all’occasione non muoverai un dito neppure per chi troverai a lato della strada con l’auto in panne. Ti racconterai di avere fretta, ti racconterai di non poterti fidare, e che non si sa mai.
Chiuso nel tuo guscio di protezioni, soffrirai di meno il freddo, non conoscerai l’angoscia della fame, non sarai esposto ad alcuna aggressione, le tue proprietà ridicole ai quali è aggrappata tutta la tua esistenza ti sembreranno la giusta garanzia per l’oggi e per il domani, e le tue uniche preoccupazioni saranno quelle di proteggerle da eventuali aggressioni e reinvestire i tuoi risparmi.
Per il futuro, ti dici. Un’epoca radiosa e irreale in cui tutto sarà facile e possibile, niente più fatica, niente più restrizioni, bocconi amari, difficoltà, attese. Il domani. Una dimensione sospesa, avvolta in una caligine della quale non conosci l’origine, ma accetti che sopraggiunga a velare il tuo orrore.
Per questo non conoscerai il piacere acuto e scardinante di incrociare un nuovo sguardo che possa mutare anche solo di dentro il tuo destino, disorganizzando ogni centimetro di esso.
Non farai più l’amore per scoperta ma solo per regola fisiologica, durerà poco ogni volta e sarà sempre uguale, con gli stessi gesti e le stesse immagini in mente, una recita affettuosa della quale non ti importa poi più molto, ma che ugualmente ti consolerà celebrare.
E a differenza di quando conoscere qualcuno era la conseguenza di nuovi azzardi, di rischi accettati, di imprese a perdere tentate il tutto per tutto, oggi, davanti alla macchina-schermo capace di darti una vertigine di informazioni, segnali, contatti e presunte amicizie, sarai comodamente più solo di prima.
Persino il rapporto col mondo sarà divenuto masturbazione.
Anni fa, una notte incrociasti la creatura che ha fatto vibrare le cellule del tuo firmamento.
Poi, per paura che il desiderio non si potesse realizzare, invece di inseguire quel turbamento, invece di proseguire a desiderare, le hai preferito una conoscenza più comoda e sicura, a portata di mano.
Vent’anni fa scopristi per caso l’artista divenuto poi il tuo amore musicale. Da allora esci di casa ogni sei o otto mesi solo per rivedere l’ennesimo concerto di quell’artista invecchiato con te, perché oltre a quello, ti dici, non c’è più buona musica in giro.
Trent’anni fa per avere il disco di un artista che ti aveva smosso il sangue eri disposto a percorrere chilometri, disposto ad affrontare nebbia, neve, sole torrido, pur di andare all’incontro con la musica amata come a quello col più acuto amore.
L’uscita di un nuovo disco speciale era un evento nella tua vita, e la somma di eventi come quello ti hanno formato, hanno dato un senso alle cose più vive e intense che tu abbia saputo provare.
Oggi che puoi avere facilmente davanti agli occhi quasi ogni cosa che venga pubblicata al mondo, scopri con ritardi di mesi del passaggio nella tua stessa città di una mostra che avresti tanto voluto vedere, e come quella molte altre perdite costellano la tua attuale esistenza.
Sensibilmente parlando, sei morto.
Sapendo che tutti scivoliamo verso una soluzione biologica e tutto il nostro bene con noi, potresti convenire che vivere nel frattempo sarebbe il miglior modo per onorare la vita, ma dovresti metterti in gioco.
Dovresti disordinare.
Scardinare.
Scombinare.
Preferisci invece attendere in fila, tirando un sospiro ogni volta che qualcuno cade accanto o davanti o dietro di te, pensando che per fortuna non è toccata a te.
Sei malato, amico, sei impallidito sino a quasi scomparire.
E io non posso più salvarti da te stesso.
Ti ho teso la mano con i miei errori, con la mia confusione, con la sovversione e con l’eresia, con l’assenza di danaro, con il rischio, con l’insubordinazione e la disillusione, con la sregolatezza e con la meraviglia, con l’assenza di genere e l’assenza di ruoli, con la perdizione e con l’amore per l’amore.
Ma è stato tutto inutile e ora, per quanto mi sforzi di guardare dalla tua parte, non ti vedo ormai quasi più.
Per questo il tuo vivere è un lento spreco di bellezza. Che mi addolora.