Suburbicon è il villaggio ideale dei suburbi per la buona piccola borghesia americana del boom anni fine anni Cinquanta: villette monofamigliari, comunità selezionata, supermarket, giardinette, banche, chiesa, polizia, pompieri. Unico neo: arriva una famiglia nera e il bambino del manager Matt Damon, che vive lì con moglie bionda su sedia a rotelle e la sua gemella bruna (ambedue interpretate da Julianne Moore) gioca con il ragazzino nero. Quella notte due tipi da iconografia sudista del linciaggio s’infiltrano nella villetta, narcotizzano tutti e la signora paralizzata muore. A sangue freddo di Capote s’incrocia con il melò di Douglas Sirk. Ma essendo una sceneggiatura dei terribili fratelli Coen s’incrocia anche con le polizze e i piani criminali di La fiamma del peccato di Billy Wilder. Presto capiremo che la comunità è sì molto razzista ma che il vedovo Matt Damon, forse per passione d’amore, è un terribile delinquente. Il problema è che il crimine, nel cinema dei Coen inciampa abbracciato alla stupidità, e Clooney regista, che da tempo accarezzava il progetto di questa sceneggiatura, ci ha aggiunto una sua malinconia intellettuale, fino a rasentare una miscela splatter sarcastica e meditabonda vista attraverso gli occhi di un innocente. il bilancio è tremendo, ma non serio…
VENEZIA 74. Suburbicon. Com’è nera l’America bianca
Cloney mixa i fratelli Coen con Douglas Sirk, Truman Capote e Billy Wilder