Venezia 74. Una famiglia. Concepite e vendete

Coppia terribile, lui orco lei fattrice, nell'Italia di oggi

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Quando Patrick Bruel fa l’amore con Micaela Ramazzotti in Una famiglia di Sebastiano Riso, in concorso a Venezia 74, tremi: l’orco sta ingravidando la fattrice, come un animale, in case tristi e in scene umide, con soldi nascosti nei bagni, per avere un bambino da vendere a caro prezzo attraverso mediatrici disgustose e ginecologi criminali a famiglie sterili che aggirano la legge. Uno dei bambini venduti è richiesto da una coppia di omosessuali, attori, benestanti. Purtroppo il mostro crea figli malati e malformati, che durano poco e vengono rigettati dagli acquirenti. Lei non ha mai visto i figli che ha fatto, ne ha sfornati fino ad essere a rischio e ne vorrebbe uno suo, da tenere. Lui è una variante metropolitana dei mostri dei Miserabili di Hugo: lo vediamo gestire le gravidanze e la domanda e l’offerta, e verso la fine circuire come un ragno una nuova vittima designata a partorire. Lei è “la madre di Cosetta”: non sai a che livello arriva la rabbia o la pena. È melodramma che si vorrebbe gelido con punte rauche, senza musica che non siano urla strazianti o il pianto del neonato, che “per natura” deve urtare i nervi (è la richiesta base di essere nutrito per restare in vita). Qui per natura deve urtare i nervi dello spettatore come tutto il film. Difficile dire se non piacerà perché ha difetti come le creature concepite dalla triste coppia o perché il tema è – come per molte delle ultime produzioni italiane- da ultimi giorni dell’umanità…

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