È già tempo di Natale per Sergio Sylvestre, che ha da poco pubblicato un nuovo album, Big Christmas, nel quale reinterpreta i grandi classici natalizi (con qualche aggiunta “fuori stagione”) in chiave soul.
Cosa significava il Natale a casa Sylvestre?
È sempre stata una giornata di amore. Un giorno pieno di felicità in cui mi sono sempre divertito molto. A casa mia si cantavano le canzoni di Natale: in inglese e in spagnolo, viste le origini messicane di mia madre. Canzoni religiose, perché la mia famiglia è molto credente. Mia mamma iniziava a preparare il cenone (rigorosamente messicano) una settimana prima. C’era un’atmosfera bellissima, piena di amore. Anche quando i miei genitori non avevano niente di fisico da darci, ci trasmettevano le emozioni.
Adesso forse non è più come una volta.
È vero: in molti non conoscono più il significato della parola “Natale”. Io in questo sono fortunato, perché a casa mia si è sempre respirato l’amore: stare vicino alle persone a cui vogliamo bene. E io spero che questo disco possa portare la magia del “vecchio Natale”.
Qual è il ricordo più bello che hai del Natale?
Mio fratello, che è più grande di me, aveva un costume da Power Ranger rosso. Avrei tanto voluto averlo anch’io, e infatti piangevo moltissimo. Allora un Natale mio padre mi comprò il letto da Power Ranger rosso, così ho fregato mio fratello! Quello fu probabilmente il Natale più bello della mia vita.
E il regalo più bello?
Un anello d’oro che mi regalò mio padre. Non lo porto mai: sia perché ho paura di perderlo, sia perché è un po’ tamarro! Quando lo indossavo, i miei amici mi prendevano in giro dicendomi che sembravo un rapper degli anni ’90! Mio papà veniva da una famiglia molto povera. Poi ha cambiato città, ha studiato ed è diventato un neurologo. Come primo regalo volle darmi a tutti i costi questo anello. Lo amava molto e mi diceva che mi avrebbe portato fortuna. E io lo conservo a casa in un posto sicuro, perché per me è un ricordo molto speciale
Perché hai deciso di celebrare il Natale in musica?
Avevo bisogno di realizzare un disco divertente e che mi ricongiungesse alla cultura americana. E, dopo la morte di mio padre, a maggio, avevo bisogno di fare qualcosa che parlasse di lui. Il prossimo sarà il primo Natale senza mio papà. Quello che mi rimane è il suo insegnamento: sorridere sempre e andare avanti. Attraverso questo disco voglio ricordarlo: ricordare l’amore e la felicità che mi trasmetteva.
La scelta dei brani com’è avvenuta?
Ho scelto undici classici che mi ricollegano al mio background gospel. C’è anche un brano a cui tengo moltissimo, Little drummer boy: canzone famosissima in America, ma che in Italia non è molto conosciuta.
Avrei voluto incidere anche Feliz Navidad, perché per me è un pezzo fighissimo, ma me l’hanno impedito! Ho cantato solo canzoni che sentivo “mie”. Quelle in cui c’era “l’effetto karaoke” le ho scartate. Ho voluto che ci fosse magia in ogni pezzo: come diceva mio padre, “quality, not quantity”.
I pezzi a cui non avresti potuto rinunciare?
Hallelujah, una canzone che amo alla follia: per il mood, il testo e le emozioni che regala. Jingle bell rock, per il groove. Il mio omaggio a Nat King Cole. Una sfida per me (credo, superata alla grande). E poi Oh happy day e The Christmas song.
Hai inserito anche Over the rainbow, che con il Natale non c’entra molto.
Era una delle canzoni preferite di mio padre. La fischiettava sempre e per questo anch’io, nell’album, ho voluto fischiare. È stata molto dura registrare quel pezzo: ho passato dei veri momenti di crisi in studio, perché non riuscivo a contenere l’emozione. Mio padre era un uomo meraviglioso ed è anche grazie a lui se mi sono trasferito in Italia, perché mi ha fatto viaggiare.
Che regalo hai chiesto quest’anno?
Un costume da Babbo Natale per Pablo, il mio cagnolino di cinque mesi!
E un desiderio da esprimere?
Che la mia vita diventi sempre più bella. Non mi aspettavo il successo di Amici e di Sanremo. Avevo paura che la canzone che ho portato al Festival non piacesse. E invece il pezzo è uno dei più richiesti ai miei concerti. Spero di riuscire a cantare sempre di più dal vivo, anche se quest’anno ho fatto 30 date e alla fine ero distrutto!
Vorrei diventare una persona migliore: portare avanti gli insegnamenti di mio padre. Le cose che mi diceva ma che non ascoltavo, perché ero un ragazzino, ma che ora capisco. Ora che l’ho perso, capisco quanto erano importanti le sue parole. E voglio portare avanti tutto questo: l’amore e il mio essere diverso.
Come festeggerai quest’anno?
Per la prima volta in Italia con la mia famiglia, e sono felicissimo! Mia madre verrà da Los Angeles solo per cucinare messicano e cantare le canzoni di Natale. Spero solo che Pablo non faccia troppo casino, perché è un cane molto vivace (spero che non mangi l’albero di Natale!).
Due anni fa ho trascorso il Natale da solo in albergo, mentre l’anno scorso ero a Londra, sempre solo: insomma, è stato piuttosto triste. Quest’anno invece sarà bellissimo.
Il tuo futuro lo vedi in Italia?
Per ora sì. Vivo a Lecce e mi trovo benissimo. Mi vergogno di quello che sta succedendo in America: quella non è la sua vera faccia. C’è paura per il diverso e io questo non riesco ad accettarlo: è anche per questo se me ne sono andato. Magari un giorno tornerò in America con la mia musica, ma non ora.