De André parla romanesco. Ma è un bel film

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Principe libero

Per predisporsi nel migliore dei modi alla visione di Fabrizio De Andrè – Principe libero bisogna partire da un presupposto: non ha la pretesa di essere un film biografico, ma un racconto che abbraccia circa quarant’anni della vita del cantautore genovese. Questa premessa è necessaria, altrimenti i fan del grande Faber potrebbero anche sentirsi “traditi” dalle varie inesattezze storiche (la prima chitarra, tanto per dire, non gliela regalò il padre, ma la mamma) e dalle tante “toccata e fuga”. Una delle quali, giusto per fare un esempio, riguarda un capolavoro come Non al denaro non all’amore né al cielo, liquidato con una sola battuta: «La Nanda (Pivano, n.d.r.) mi ha aiutato a fare un intero disco».
L’intento di produzione (Rai Fiction e Bibi Film Tv) e regia (il bravo Luca Facchini, peraltro fan dichiarato di De André) era di raccontare la vita di uno dei più grandi poeti della nostra musica non in modo didascalico, ma facendo immergere lo spettatore nella sua straordinaria umanità, nei suoi ideali, le sue paure, i suoi dubbi. E sotto questo aspetto il film è riuscito: trasmette emozione e fa scoprire lati dell’uomo De André fino ad oggi poco noti a chi non aveva avuto la fortuna di frequentarlo personalmente.
Non certo a caso, un ruolo fondamentale nell’attuazione di Principe libero lo ha avuto la persona che più di chiunque altro gli è stata vicina, Dori Ghezzi, che ha partecipato seguendo ogni passo del progetto, dalla scrittura alla scelta degli attori protagonisti alla realizzazione delle scene. Addirittura ha fornito alcuni costumi originariamente indossati da lei o da Faber. «Ma soprattutto», sottolinea Luca Facchini, «ci ha permesso di entrare nel mondo di Fabrizio, attraverso i suoi racconti e il suo modo di vedere e vivere la vita».
Racconta Dori: «Ci sono voluti molti anni prima che questo progetto vedesse la luce. Prima ho dovuto superare tutti i miei dubbi e mi sono dovuta convincere che per fare un buon lavoro a volte è necessario scendere a compromessi, magari tradendo la realtà, senza però tradire l’essenza della storia. È stata una grande sofferenza lasciare fuori personaggi che per Fabrizio avevano rappresentato molto. Ne cito due soltanto: Enza Bozzano e Nina, che sono state sue grandi amiche. Ma se avessimo messo dentro tutto forse avremmo generato solo confusione, così invece la storia è ben definita e le scelte drammaturgiche sono quelle giuste».

«Fin dal primo giorno», dicono gli sceneggiatori Giordano Meacci e Francesca Serafini, «non siamo stati mossi da un intento documentaristico, ma piuttosto dalla volontà di dedicare a Fabrizio la “nostra” canzone, naturalmente eseguita sulla falsariga della sua autobiografia. Per arrivare a questo, siamo partiti da un lavoro meticoloso di documentazione, con un’attenzione particolare a tutti i componenti familiari. Ma quel materiale, per forza di cose, imponeva delle scelte di carattere drammaturgico, portandoci a selezionare drasticamente tra gli incontri importanti per Fabrizio, sia privati sia professionali, solo quelli che ci permettevano di raccontarlo nelle fasi determinanti delle sue scelte di vita. E di questa necessità abbiamo dovuto convincere Dori Ghezzi, cercando di superare le sue resistenze, dovute alle rinunce che le proponevamo, alcune per lei davvero dolorose da accettare».
Aggiunge Dori: «In ogni caso vorrei dire che secondo me gli attori sono tutti bravissimi, a cominciare da Luca Marinelli: tra i tanti a cui abbiamo pensato, lui è senz’altro il più credibile».
«Marinelli», chiosa il regista, «non interpreta Fabrizio: lo rappresenta».
Ecco, buona parte del merito della riuscita di Principe libero va proprio a Luca Marinelli, davvero bravo non a emulare (anche se a tratti la sua somiglianza con Faber è notevole), ma a creare un personaggio. Ed è molto bravo anche quando canta, a volte addirittura trae in inganno l’ascoltatore. Per esempio, quando canta Il pescatore, potrebbe persino sembrare l’originale.
Tanta bravura fa passare in secondo piano persino la critica più pesante che si potrebbe fare al film: un uso esagerato della cadenza romana, non solo di Marinelli-Faber, ma di diversi altri personaggi. Forse quelli che danno più fastidio sono i due discografici, uno parla in romano, l’altro addirittura in napoletano: la Karim, prima etichetta discografica di De André, era nata a Genova, fondata da genovesi, incluso suo padre Giuseppe.
Qualche fan noterà pure che la colonna sonora (che comunque è uno dei punti forti del film) in alcune occasioni è usata in modo poco filologico: la scena in cui Faber firma il suo primo contratto discografico (1961) è sottolineata dalla musica di Le acciughe fanno il pallone (1996) e quella in cui Tenco gli confida che andrà a Sanremo (1967) è sottolineata dalle note di Ho visto Nina volare (1996).
Il film inizia col rapimento avvenuto in Sardegna nel 1979, poi torna indietro nel 1954, quando Fabrizio aveva 14 anni e già s’intravedeva il suo carattere ostinato e contrario. I 25 anni che intercorrono tra il ’54 e il ’79 vengono raccontati in mondo abbastanza dettagliato, in particolare la tragedia del sequestro durato ben quattro mesi: per lui, paladino d’ogni forma di libertà, quella fu la negazione di tutte le libertà. Ma anche in questo caso riuscirà a trasformare un evento drammatico in grande arte, scrivendo un capolavoro come Hotel Supramonte.
Invece agli ultimi 20 anni di vita di Faber vengono dedicati solo pochi minuti. Del resto, lo abbiamo già detto: non è un film con intenti documentaristici. È tutto incentrato sugli aspetti umani ed emozionali, e da questo punto di vista fa ampiamente il suo dovere.
Dice il regista: «Ho avuto la fortuna e l’onore di poter raccontare le vicende di un essere vivente meraviglioso, profondo, fondamentale per molti di noi. Un essere vivente, appunto, mai scomparso davvero. Per me, oggi, Fabrizio è diventato un (vivissimo) organismo poetico, che si trasforma e si rinnova nella vita i coloro che lo ascoltano, lo amano e lo ameranno».
Appuntamento al cinema il 23 e 24 gennaio (qui info e biglietti). Poi, il 13 e 14 febbraio sarà trasmesso in due puntate su Rai 1.
Ed ecco un’altra ampia fotogallery con vari personaggi di Principe libero

Chiudiamo con il trailer ufficiale

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Massimo Poggini è un giornalista musicale di lungo corso: nella seconda metà degli anni ’70 scriveva su Ciao 2001. Poi, dopo aver collaborato con diversi quotidiani e periodici, ha lavorato per 28 anni a Max, intervistando tutti i più importanti musicisti italiani e numerose star internazionali. Ha scritto i best seller Vasco Rossi, una vita spericolata e Liga. La biografia; oltre a I nostri anni senza fiato (biografia ufficiale dei Pooh), Questa sera rock’n’roll (con Maurizio Solieri), Notti piene di stelle (con Fausto Leali) e Testa di basso (con Saturnino) e "Lorenzo. Il cielo sopra gli stadi", "Massimo Riva vive!", scritto con Claudia Riva, "70 volte Vasco", scritto con Marco Pagliettini, e "Lucio Dalla. Immagini e racconti di una vita profonda come il mare".

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