L’addio a Zard, il senso di un’epoca che sparisce

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David Zard se n’è andato. La storia della musica dal vivo in Italia è passata attraverso le sue invenzioni, le sue intuizioni, gli errori e le idee, le scommesse, il guardare lontano dei suoi occhi azzurri il fisico solido che da tempo aveva cominciato a dare segni di cedimento, pur avendo saputo reagire anche a un trapianto di fegato per ributtarsi in una nuova avventura. Ebreo, nato in Libia, Zard aveva trovato con la famiglia rifugio in Italia dopo la guerra dei Sei Giorni e aveva iniziato presto a cercare spazio nel mondo dei concerti rock, diventando con Franco Mamone e Francesco Sanavio uno dei pionieri del mestiere di impresario. Allievo ideale di Bill Graham, era a Milano quando al Vigorelli scoppiò la grana Led Zeppelin (“Peter Grant mi puntò un coltello alla gola e impose: I ragazzi suonano ora! E così li mandammo sul palco anche se fuori c’era ancora la fila di gente ai botteghini, e fu l’inizio del disastro”, mi raccontò) poi cominciò a gestire gli eventi in proprio. Considerato un “padrone della musica” divenne presto bersaglio degli autoriduttori che pretendevano musica gratis.

Lo conobbi di persona nel 1978 a Roma, improvvisandomi suo difensore a un convegno-processo, in cui tentava di spiegare che la musica è gratis se te la fai tu, ma quella degli altri ha dei costi ed è un lavoro da retribuire. Gli fecero la guerra, che portò alla devastazione di piazza Bra a Verona e poi alle molotov sul palco di Santana a Milano. Mi raccontò Salvetti: “Cercarono di entrare nell’Arena dove Santana e Chicago suonavano per il Festivalbar: urlavano Dov’è David Zard? E io cercavo di spiegare che qui c’ero io, un privato, che organizzava il Festivalbar, non Zard. Allora uno urlò agli altri: Non è di Zard, via tutti! Uno fischiò e scomparvero”.

David ZardI grandi della musica si fidavano di lui, del suo senso pratico, del suo essere visionario. Non si poteva non amare il suo senso di grandiosità, il superamento dei limiti, delle convenzioni. A suo modo era un artista, anche se spesso i conti non tornavano, perché era stato speso più di quanto guadagnato, pensando sempre a costruire una situazione successiva.

Fu impresario storico di Angelo Branduardi, portandolo ad essere, con le sue ballate medioevali, artista da grandi spazi e grande credibilità, e sperimentando con lui e il Banco del Mutuo Soccorso assieme ad artisti etnici e danzatori un tipo di spettacolo al tempo anomalo, la “Carovana del mediterraneo”. Fu al fianco di Claudio Baglioni nel suo ritorno sulle scene dopo l’incidente d’auto, il divorzio e la crisi creativa sfociata in “Oltre”. E con lui inventò il palco centrale nello stadio e poi nei palasport.

Rolling Stones 2014. Foto di Giò Alajmo

Portò in Italia i Rolling Stones nel 1982, pur scontrandosi con i Mondiali di calcio con un’Italia inaspettatamente in finale e poi campione. E quando Mick Jagger gli chiese: “Come finisce stasera?” gli suggerì profeticamente “3-1 per l’Italia” e quando l’Italia la sera vinse il Mondiale 3-1 molti pensarono che Jagger l’avesse previsto avendo fatto un patto col diavolo. A lui si affidarono Michael Jackson, Madonna, Bob Dylan e gran parte del Gotha rock.

Tra le tante iniziative di Zard vi fu anche il disco italiano per Live Aid. Fu un’impresa riunire tutti i principali cantanti italiani per un progetto benefico (il primo in Italia degno di nota) sull’onda di We Are The World e Do They Know it’s Christmas, tanto che si dovette optare per una canzone neutra come Volare (nel blu dipinto di blu) per non scontentare nessuno. Ma quando si trattò di tradurre il tutto in un evento dal vivo, Zard si lamentò che tutti si tirarono indietro con mille scuse, ritenendo sufficiente aver partecipato al disco. In realtà nessuno in Italia si era reso conto di cosa avrebbe rappresentato Live Aid e che portata avrebbe avuto. E il progetto del terzo concertone italiano fallì. Vi furono solo L’Italia fu presente con Gianna Nannini ma solo per caso. Era in Germania dov’era famosa e la intervistarono durante il collegamento col set tedesco. In Italia la Rai tradusse l’intervista dal tedesco parlando della “nostra amica Diana”. Ma anche Madonna non fu riconosciuta dai nostri commentatori che si chiedevano chi fosse quella ragazza che girava per il palco tra un concerto e l’altro inquadrata dalle telecamere…

Ho miriadi di ricordi che affiorano alla mente in 40 anni di frequentazione e di amicizia. Il concerto dei Pink Floyd a Venezia, quando salvò me e alcuni colleghi dalla calca invitandoci dalla finestra dell’albergo Danieli nella sua suite fronte palco con spumante e fragole, che passavamo ai ragazzi in bilico sul cornicione sottostante. O Norimberga, dopo il concerto degli Stones che gli avevano affidato l’organizzazione della successiva tappa a Milano, seduti nella notte in un Burger King tra cumuli di rifiuti e lui che sbianca e chiede: “Conosci mica un buon otorinolaringoiatra a Milano?”. Jagger era rimasto afono per il vento. Milano saltò.

Fu a Padova per un convegno di Civitas dove l’avevo invitato, per parlare di disabilità e accesso agli spettacoli, e fu attore nel film “Il muro di gomma”, sempre versatile nei suoi interessi.

La sua ultima scommessa fu l’opera pop contemporanea. Comprò i diritti di Notre Dame de Paris di Cocciante per l’Italia. In Francia aveva avuto un successo stratosferico. In Italia il genere era sconosciuto. Fu una grande scommessa. L’ennesima. Allestì un cast italiano pescando in una scuola artistica inesistente, quella dei cantanti attori. Si costruì addirittura un teatro apposta a Roma, perché non voleva compromessi scenici e in Italia non esistevano strutture adatte. Vinse la scommessa. Ne provò altre, con successi alterni, “Dracula” della Pfm, “Pia” della Nannini, fino all’ultima “Romeo e Giulietta, ama e cambia il mondo”, altra superproduzione affidata al figlio Clemente.
David se n’è andato a 75 anni. Lascia un grande vuoto. E il senso di un’epoca che sta passando per sempre.

Giò Alajmo
(c) 27 gennaio 2018

Giò Alajmo ha la stessa età del rock'n'roll. Per 40 anni (1975/2015) è stato il giornalista musicale del principale quotidiano del Nordest, oltre a collaborare saltuariamente con Radio Rai, Ciao 2001, radio private e riviste di settore. Musicalmente onnivoro, è stato tra gli ideatori del Premio della Critica al Festival di Sanremo e ha scritto libri, piccole opere teatrali, e qualche migliaio di interviste e recensioni di dischi e concerti.

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