La malattia ti rende solo.

La difficoltà ti fa sentire dimenticato, abbandonato da ogni bene, oscurato, annegato. Ti fa sentire sottratto dal giro del mondo, sequestrato e separato a forza dalla felicità cui sai intimamente di avere diritto.

Ogni difficoltà è una prova di resistenza del tuo volere.

Ma se quando ti senti forte, indipendente e sicuro di te e della tua affermazione, e una patina invisibile di distanza da tutti ti ammanta, è allora che ti fai un torto. Lo fai a te stesso e a tutti gli altri. Come se tu fossi l’unico misteriosamente esentato dal soffrire, smetti di comprendere cosa possa significare trovare difficile il compiere un qualunque passo. Alzarsi dal letto. Camminare, andare a riempirsi un bicchiere d’acqua, uscire al sole, fare l’amore. Tutte cose che si fanno senza pensarci quando la vita fluisce serena.

Capita però che il disagio ti visiti improvvisamente, al punto che tu stesso non possa credere di doverne così brutalmente soffrire. Possono essere momenti brevi, certo, o durare la vita intera. In ogni caso sono i momenti in cui tu, noi, tutti, abbiamo bisogno di sentirci condivisi e accolti, sollevati e ascoltati, accompagnati e riavviati, un piede dopo l’altro.

Perché siamo vivi, e sentiamo forte, desideriamo, e malgrado tutto e tutti continuiamo vedere nascosto da qualche parte un futuro dove gli altri non vedono più nulla.

Parla di questo in sostanza la Legge Basaglia, e dovrebbe ricordarlo a ciascuno di noi, medici inclusi, in ogni momento.

Affermatasi quarant’anni fa dopo molte inenarrabili vicissitudini sopportate da colui di cui porta il nome, la legge potè entrare in vigore il 13 maggio del 1978, grazie all’opera di un medico che non voleva essere medico, ma uomo.

Quella legge non ha cambiato solo la psichiatria e la presa in carico dei pazienti psichiatrici, non ha solo aperto i manicomi e liberato il malato mentale da un giogo mostruosamente strutturato per escluderlo dal mondo. Ha cambiato radicalmente il modo di considerare la malattia, per arrivare ad accoglierla come principio di uguale potenza e vitalità tanto quanto la cosiddetta sanità.

Dietro Basaglia e ai suoi principi ci sono secoli di pensiero filosofico e di studi ritenuti sino a quel momento astratte congetture.

C’è l’umanissimo Jaspers, filosofo, c’è l’acutissimo Husserl, filosofo, e la sua suddivisione tra corpo oggettivo e corpo soggettivo, c’è il controverso Heidegger, filosofo, e le sue riflessioni sull’essere. C’è Michel Foucault, filosofo, sociologo e altro ancora, e la sua critica radicale alla psichiatria.

Ci sono principi per i quali scienza e pensiero, sensibilità e potenza interiore si fondono. Vi si fondono dunque in qualche modo naturale e umano oriente ed occidente: i principi occidentali di medicina empirica, e quelli di cura e attenzione alla persona nella sua interezza e al suo universo interiore che sono propri della millenaria filosofia orientale.

Ma quando Basaglia arriva alle sue soluzioni e propone di aprire alla vita coloro che sono ritenuti pazzi, dunque, secondo un’accezione tuttora in voga, dei diversi, dei deragliati pericolosi e nemici di ognuno di noi, la società e il mondo – come sempre accade – non sono pronti.

Serviranno così anni di incomprensioni, di diffidenza, di esclusione e di lotte con apparati della medicina ufficiali, dogmaticamente schierati a favore di una visione baronesca del medico come curatore sterile, intoccabile, privilegiato depositario della cura, e al di sopra di ogni empatia con chi soffre, considerato minore.

Quello che oggi può apparirci scontato, non era affatto facile che venisse riconosciuto.

E non sappiamo cosa sia lottare contro apparati freddi e ottusi. Così come non sappiamo cosa possa essere stato un ricovero per squilibri legati alla sfera emotiva o mentale.

Il sequestro dell’esistenza intera. La negazione di qualunque bisogno, l’addio più completo a se stessi e a ogni amata vita.

Non lo immaginiamo. Non possiamo.

Ma ogni volta che sentiamo il bisogno di aiuto, vorremmo che il mondo agisse come quel medico disegnato da Franco Basaglia. Vorremmo che il medico non fosse un estraneo in camice che mette le mani nella nostra vita senza sapere chi siamo, cosa desideriamo, cosa e chi abbiamo amato, e cosa vorremmo che il mondo fosse affinché assomigliasse almeno un poco a noi.

Se il medico fosse così, qualunque dolore ci affliggesse sapremmo di non essere soli, sapremmo che la vicenda umana è davvero, profondamente, intimamente condivisa, e avremmo la certezza che la vita è sì un viaggio spesso scomodo, ma con improvvisi e inattesi squarci di luce pura, un avvenimento dorato che ti ripaga di ogni ferita sopportata, e sapremmo che chiunque, come te, esattamente come te, persino il medico che ti siede davanti, condivide lo stesso identico dolore, e persino il tuo destino.

Un medico è tale se conosce su di sé la sofferenza e può condividerla.

Senza questo, non esiste medicina.

Allora, per omaggiare questo squarcio di luce nel più fitto grigiore della medicina ordinaria, proverò a riassumere qui il pensiero di Basaglia in alcuni punti. E voi ditemi se non è meraviglia quella che vi coglie.

Il malato non è un rifiuto umano da tenere lontano da ogni contatto sociale in virtù della sua patologia.

La malattia comporta caratteristiche che se ben considerate, da limiti possono trasformarsi in pregi tanto per la persona quanto per la collettività.

Per questo il sofferente non va rinchiuso, non va segregato e sottratto brutalmente alla società, al lavoro e ad un ruolo in società.

Ciò che si considera come malattia mentale, è una complessa risposta dell’organismo corpo-mente a fattori della più diversa origine. La classificazione di tali risposte individuali, in quanto individuali, non può essere relegata a una visione meramente clinica “oggettiva” e “da manuale”.

Ogni individuo è un mondo a sé, complesso e sensibile, e come tale va considerato e trattato.

Il medico non è un mero tecnico, osservatore freddo e distaccato di tali processi patologici, né è esente dal dolore.

Il medico, piuttosto, è a sua volta coinvolto nello sviluppo e nella gestione di ogni più sottile forma di disagio psicofisico, non temendo di entrare in risonanza con la sofferenza, sviluppando anzi l’empatia con la persona che la manifesta.

Fatto.

Chi conoscesse un medico così, avrebbe dato inizio con lui a una rivoluzione umana.

Perché non c’è rivoluzione se non nasca da uno stato d’animo o da un dolore condiviso.

Basaglia ha sollevato un problema tanto intimo e universale da necessitare di essere disvelato al più presto alla vista di tutti, scardinando le ipocrisie di cui era ed è tuttora intriso il mondo, fessamente suddiviso tra sani e malati.

Ma se fosse necessario iscriversi ad una delle due categorie, io non avrei dubbi.

Malato, per sempre, di vita.

Il malato guaritore.

gianCarlo onoratoMusicista, scrittore e pittore fuori dagli schemi, ex leader di Underground Life. Ha pubblicato i dischi: Il velluto interiore (1996), io sono l’angelo (1998), falene (2004), sangue bianco (2010, Premio Giacosa), ExLive (2014) con Cristiano Godano, quantum (2017), “quantum Edizione Extra” (2018), ha curato la co-direzione artistica del Tributo a Luigi Tenco come fiori in mare Vol. I (2001) e Vol. II, in “Sulle labbra di un altro” (2011), ed i libri: Filosofia dell’Aria (1988), L’Officina dei Gemiti (1992), L'ubbidiente giovinezza (1999), Il più dolce delitto (2007), “ex-semi di musica vivifica” (2013), La formazione dello scrittore” (2015). Ideatore del Seminario del Verbo Musicato, ha centinaia di concerti alle spalle e un disco, un tour e un nuovo romanzo nel prossimo futuro. giancarloonorato.it

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