Lazzaro felice

La fiaba del contadino un po' animale e un po' angelo che vinse la morte e attraversò il tempo

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Lazzaro felice
di Alice Rohrwacher
con Adriano Tardiolo, Alba Rohrwacher, Sergi Lopez, Nicoletta Braschi, Tommaso Ragno, Luca Chikovani, Agnese Graziani.
Voto 7/8

C’era una volta una marchesa che teneva i suoi contadini in una zona non raggiunta dalla civiltà (L’Inviolata) e li considerava sua proprietà, come nel medioevo. Suo figlio il marchesino le diceva “tu li sfrutti”, e lei rispondeva “tutti sfruttano qualcuno, io sfrutto loro, loro sfruttano Lazzaro”. Lazzaro era una ragazzo senza genitori che veniva usato come un animale per la sua silenziosa pazienza e il suo sguardo tra la pecora e l’angelo. Lui non sfruttava nessuno. Un giorno Lazzaro cadde dalla montagna e morì, poi arrivò un elicottero dei carabinieri e i contadini vennero liberati dalla prigionia della marchesa. E consegnati all’inurbamento: cioè da poveri di campagna con molto poco si aggiunsero ai poveri delle metropoli con quasi niente, mischiati ai ladri e ai derelitti. Sembrava una favola e all’improvviso scopriamo d’essere in una denuncia. Ma come? Con un salto geniale che è valso la Palma alla sceneggiatura a Cannes. Lazzaro (lo dice il nome) torna dalla morte, si alza e cerca di raggiungere la sua famiglia adottiva in città e arriva in uno scalo ferroviario gelido vestito come quando era caduto dalla montagna, da contadino in un ex-voto (il protagonista ha anche la faccia da quadro naif). Ha attraversato il tempo e la morte: i bambini che conosceva sono adulti, il marchesino è un disastrato sociale decaduto, tutti gli altri sembrano una variante dei barboni di Miracolo a Milano. In sostanza, la favola sociale di Alice Rohrwacher parte da Ermanno Olmi e arriva nei dintorni di De Sica e Zavattini. E nel finale c’è qualcosa che ricorda Racconto di Natale di Dino Buzzati. Lo stile è coerente con l’estetica da cantastorie alle prese col passaggio alla modernità , come in Corpo celeste e Le meraviglie: una quieta anarchia poetica.

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