L’atelier

I ribelli senza causa di oggi. Sovranisti o sovrastati dalle cose?

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L’atelier
di  Laurent Cantet
con Marina Foïs, Franck Libert, Matthieu Lucci, Warda Rammach.
Voto 6/7

L’atelier è un film di Laurent Cantet, regista chirurgico del sociale con un bisturi che gli deriva da una cultura del documentario. I suoi film sono La classe, Tempo Pieno, Verso il Sud, Risorse umane. Questo l’ha scritto con il Campillo di 120 battiti al minuto. Quando parla di “Atelier” qui il regista intende un workshop: arriva da Parigi una famosa scrittrice per tenere un seminario sulla scrittura con un gruppo di ragazzi: i ragazzi sembrano quelli ormai standard da banlieue francese,  multietnici, scazzati, tirano sui nervi. Stavolta vengono inseriti frammenti sociologici in più. L’azione si svolge a La Ciotat, che un tempo era un luogo di orgoglio dei lavoratori, i cantieri navali di Marsiglia. E ora dopo la globalizzazione è un posto dove pochi e poveri sono utilizzati per la manutenzione degli yacht di pochissimi e straricchi. La lotta di classe, e la fattura del romanzo che l’insegnante cerca di far costruire alla classe, passa per la memoria dei cantieri e l’orgoglio operaio. Ma il più bravo a scrivere se ne frega della politica e ha in mente soprattutto  la superviolenza dei ragazzi che fanno stragi nelle scuole e dei terroristi che fanno stragi nelle strade. Gioca con gli spara spara, segue su internet i gruppi sovranisti, ogni volta che si confronta con un compagno di estrazione nordafricana o di cultura islamica è uno scontro o una provocazione. E forse prova qualcosa per la bella insegnante parigina. Voglia andarci a letto o voglia di ammazzarla?
Il finale ambiguo fa pensare ai percorsi (al confronto con l’amore, il lavoro e l’ideologia), dei ragazzi della Generazione Perduta dopo il massacro della prima guerra mondiale.

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