Andrea Amati si racconta. Dai Nomadi al suo nuovo disco

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Andrea Amati è un giovane cantautore romagnolo che ha pubblicato lo scorso 2 marzo il suo disco di inediti Bagaglio a mano, con la produzione di Massimo Marches. Il disco è composto da 9 inediti tutti scritti e arrangiati dallo stesso Andrea e una cover, La ballata della moda di Luigi Tenco. Lo abbiamo raggiunto per farci raccontare il suo progetto.

Chi è Andrea Amati?
Andrea Amati è un giovane uomo di Rimini, di 34 anni, che da un po’ scrive canzoni ed ha appena pubblicato il suo secondo disco che si chiama Bagaglio a mano. Sono arrivato alla musica attraverso un percorso un po’ tortuoso perchè per anni ho praticato il teatro, una cosa parallela ma comunque differente. Poi c’è stato l’incontro con l’opera di Fabrizio De Andrè che ho conosciuto in modo più approfondito e che mi ha fatto venire voglia di cantare le sue canzoni e successivamente di scrivere le mie.

Come sta andando il disco?
Il disco sta andando bene, innanzitutto sono molto contento di come è venuto, che è una cosa molto importante. E poi lo sto portando in giro come opening act nel tour dei Nomadi, un tour molto importante visto che stanno celebrando i 55 anni di carriera. Essendo l’opening ufficiale ho il privilegio di fare un sacco di date e di far sentire le mie canzoni ad un pubblico davvero ampio. Parallelamente sto facendo le mie serate e continuerò a farle per tutto l’autunno/inverno, quindi posso dirmi molto soddisfatto.

Ti sei esibito durante la festa dei 55 anni di carriera dei Nomadi, fatta proprio a Rimini, tua città natale. Che esperienza è stata?
Il mio rapporto con loro è splendido e cresce di data in data. Tutto è nato nel modo più banale possibile: la mia etichetta ha fatto ascoltare a Carletti il mio disco e Beppe, che lo ha particolarmente apprezzato, ha chiesto ufficialmente di avermi come opening act. L’esperienza in se è molto bella perchè ai concerti dei Nomadi hai proprio la percezione della famiglia, ci sono almeno 3 generazioni presenti e vedi quanto è forte il legame che lega la band e il pubblico. Dai fan sono sempre stato accolto bene, ora che ho fatto un po’ di date iniziano a conoscermi ed a chiedere di me, perchè tra loro c’è uno scambio continuo, anche con cose apparentemente marginali come un opening act. I fan dei Nomadi vivono tutto come una famiglia e questa una cosa direi unica. E poi loro sono persone davvero semplici e squisite, soprattutto Beppe. La mia gratitudine nei suoi confronti non sarà mai sufficiente.

La prima canzone del tuo disco è Mi sono perso. L’hai definita un po’ come il tuo manifesto. Qual è il tuo messaggio?
Bagaglio a mano è un disco molto personale. Ha avuto una gestazione molto lunga e sono andato a fondo raccontando molto di me. Mi sono perso sotto questo punto di vista rappresenta l’esempio più preciso, perché mi presento e parlo in maniera molto cruda, nascosta sotto tutta quell’ironia e quell’arrangiamento così particolare. Racconto realtà e cose che nel corso degli anni mi hanno fatto soffrire e riflettere. E quindi in questo senso lo considero il manifesto perchè è l’episodio più clamorosamente autobiografico di un album che è già molto autobiografico.  Mi sono perso rappresenta però anche un altro aspetto, ovvero la voglia di uscire un po’ dallo schema della canzone d’autore italiana, sentivo questa voglia di giocare un po’ di più, di osare, di divertirmi con la musica. Ho fatto una scommessa con me stesso, di provare a raccontare qualcosa facendolo in un modo che potesse arrivare anche in modo leggero.

C’è sempre più la necessità, nel cantautorato italiano, di utilizzare l’ironia, il sarcasmo, la leggerezza per mascherare la disillusione, per fare critica e per lanciare messaggi. Ti ritrovi in questa affermazione?
Vedo anche io questa evoluzione. Se 30 anni fa l’unico artista (o uno dei pochi) che faceva un massiccio uso di ironia era Bennato oggi queste realtà sono molte di più. Probabilmente per svariati motivi: in primis perché inevitabilmente le cose cambiano e gli schemi non si possono ripetere all’infinito. C’è un linguaggio che non può essere sempre quello corretto per leggere i tempi. Da lì io ci vedo la voglia e l’esigenza di trovare strade che vadano oltre quegli schemi. Personalmente con Bagaglio a mano è arrivata anche a me questa esigenza, sia per la voglia di mettermi in gioco, sia, se vogliamo, per la volontà di farmi ascoltare, sapendo che, volenti o nolenti, i tempi oggi sono cambiati.

Dobbiamo avere un po’ la libertà di essere cazzoni.
Si, non avrei saputo dirlo meglio. Si può essere cazzoni anche dicendo qualcosa, o ribaltando il concetto, si può dire qualcosa anche se sembra di essere cazzoni.

I tuoi brani nascono prima come come testo o come melodia?
Sicuramente il testo. Parto sempre da qualcosa di scritto. La title track dell’album, Bagaglio a mano, è nata in treno, subito dopo aver finito di leggere un libro che si chiama Solo bagaglio a mano di Gabriele Romagnoli, che mi ha portato a riflettere sulla necessità di liberarci per poter andare avanti più veloci. Tendenzialmente, per il 95% dei casi parto, sempre da qualcosa di scritto che poi vado a modellare in base a quel che viene fuori dopo.

Un sogno nel cassetto?
In questo momento mi verrebbe da dire quello di portare in giro il più possibile queste canzoni, questa storia, questo disco. Sono stato contento di come è uscito e di quanta curiosità sta generando. Spero possa aumentare la possibilità di fare concerti con queste canzoni, vista la difficoltà di fare questo lavoro oggi.

Stiamo vivendo un momento molto difficile in cui l’odio la fa da padrone. Come può la musica porre rimedio a questa escalation di violenza?
Sono preoccupato quanto te. La cosa che salta maggiormente agli occhi è che stiamo vivendo un problema di umanità che ci sta sfuggendo di mando. Sembra veramente di stare in un film. E la cosa preoccupante è che noi viviamo queste cose come se fossimo storditi. Ma il dramma è che si tratta di un problema mondiale. Si è trasformato tutto in una guerra tra poveri, anche perchè, a forza di dividere il mondo in pochi sempre più ricchi e tanti sempre più poveri, forse da un certo punto di vista ce lo si poteva aspettare. A me quel che fa paura è vedere la ciclicità della storia.
Per quanto riguarda l’arte è risaputo che la bellezza in generale rappresenta un palliativo per quelli che sono i mali del mondo, perchè comunque l’arte ti porta a farti delle domande. Il problema grosso è che sta venendo sempre meno anche l’educazione all’arte, perchè la gente non è più abituata a fruirne perchè i fruitori sono sempre meno. Serve un cambiamento generale che riguarda tutti noi, perchè se guardi il bicchiere mezzo vuoto non puoi trovare via d’uscita se la situazione non migliora da se.

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Di origini torinesi, ma trapiantato ormai da diversi anni in quella magnifica terra che ha dato i natali ai più grandi musicisti italiani, l'Emilia. Idealista e sognatore per natura, con una spiccata sindrome di Peter Pan e con un grande amore che spazia dal Brit rock passando per quello a stelle e strisce, fino ai grandi interpreti italiani. Il tutto condito da una passione pura, vera e intensa per la musica dal vivo.

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