“Go away from my window, Leave at your own chosen speed
I’m not the one you want, babe I’m not the one you need” – Joan Baez (Bob Dylan)
Eri a pochi metri da me …
Il primo album ad entrare in casa nostra fu Joan Baez volume 5.
In quel lontano inizio degli anni ’60, oltre a questo, avevamo anche un album di Peter, Paul and Mary, un trio folk newyorkese di estremo talento ed il primo album dei Beatles.
Mia madre amava la musica e quella di Joan Baez in particolare. Mia madre era bella come era bella Joan Baez. Mia madre era bella come sono belle le persone che amano la musica. Joan Baez sapeva cantare con quella voce unica, inconfondibile, a volte acuta e stridula come quella di un uccellino che si lamenta delle gocce di pioggia che, cadendo dalle foglie, bagnano le sue sottili penne, una volta conquistato il posto sul ramo di un albero.
Era un caldo pomeriggio d’estate, il ramo di un albero, ricco di foglie, ti proteggeva con la sua ombra. Da tutto il resto ti proteggevo io, con il mio sguardo. Mi davi le spalle e io ti osservavo così intensamente da fartele scrollare.
Mi innamoro ovunque: su un autobus, in un ristorante, sul treno o addirittura passeggiando, riesco ad avere il tempo di innamorarmi di colei che sta arrivando dalla parte opposta. Figurati se non mi innamoro ad un concerto. Poi non resta nulla. Superato il momento giustamente non resta nulla. Ma non per te.
Quando Tracy Chapman, salita sul palco prima di te, intonò la sua prima canzone,
tu iniziasti a dondolarti sulle gambe, lentamente, con leggera dolcezza, con ipnotica eleganza.
Facendo un pieno di coraggio mi sono avvicinato, ti ho preso le mani tra le mie
e ti ho fatto danzare con la stessa lentezza, quasi a voler rallentare il tempo, a ritardare lo svolgersi della canzone. Non poteva terminare, doveva durare all’infinito.
Sentivo tra le braccia tutta la tua storia, tutta la storia, la storia di tanti, anche la mia. Ho ballato con te anche per mia madre che ti ammirava mentre ascoltava la tua voce, per come cantavi e per quello che cantavi.
Più tardi, quando sei salita tu sul palco, guardandomi, hai interpretato un messaggio preciso:
“But it ain’t me, babeNo, no, no, it sure ain’t me, babeIt ain’t me you’re lookin’ for, babe”
Modena – giugno 1989
Era la realtà, non un sogno
Per un attimo, con te tra le braccia,
mi sono sentito come Bob Dylan