Gatto Panceri: «In “Pelle d’oca e lividi” racconto i lividi della nostra società» (intervista)

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Gatto Panceri ha da poco cominciato una nuova vita artistica: dopo il grande successo degli anni ’90 sia come cantautore (Abita in te, L’amore va oltre, Un qualunque posto fuori o dentro di te, Io sto bene dove sto) che come autore (basti solo citare Vivo per lei, capolavoro cantato da Andrea Bocelli e Giorgia capace di vendere 45 milioni di copie in tutto il mondo) è tornato con Pelle d’oca e lividi, un album che ha al suo interno ben 19 brani di cui è autore, arrangiatore, polistrumentista e produttore.
Abbiamo fatto con Gatto una lunga chiacchierata a tutto tondo sul nuovo album, le sue canzoni, la scena musicale italiana e molte altre cose.
Buona lettura!

Sono passati molti anni dall’ultimo disco in studio. Come mai questa lunga attesa prima di Pelle d’oca e lividi?

Nel 2010 è uscito S.O.S., dopo due anni un disco live, poi nel 2014 ho fatto un singolo, ma ho visto che io non sono un cantante da singoli. Da lì ho deciso di produrmi il disco, però questo vuol dire avere uno studio, quindi crealo, attrezzalo, impara a usare le macchine, scrivi 19 belle canzoni, cioè come se fosse un disco doppio, e in questo modo sono passati cinque anni.
In sostanza si è trattato di un tempo tecnico, visto che questo è un disco che mi vede per la prima volta non solo autore dei testi e delle musiche, ma anche arrangiatore e produttore. E’ stata una gestazione lunga, perché per me è stata la prima volta che affrontavo la lavorazione di un album in questo modo. Dovessi farne un altro ora probabilmente ci metterei la metà del tempo, però io non sto a guardare il tempo: l’importante è uscire con un disco quando è bello, quando spingi play e ti soddisfa.

Un disco di 19 brani per un’ora e un quarto di musica: praticamente due album in uno.

A me sono sempre piaciute le full immersion musicali, soprattutto coi miei artisti preferiti. Io non ascolto i singoli, ma preferisco ascoltare l’album per farmi un viaggio di un’ora con l’artista che mi piace.
Sono ancora dell’idea che un album sia qualcosa di bello, anche se ad oggi se ne fanno sempre meno: solitamente ora si fanno dei singoli e poi si raccolgono in un album, ma non si tratta più di un album nel senso che aveva fino a qualche anno fa, bensì di una raccolta di pezzi spaiati. Io sono voluto andare un po’ in controtendenza e ho fatto un disco come si facevano una volta: curato bene, suonato in ogni parte, quindi anche costoso a livello di produzione. Tutte cose che al giorno d’oggi sono ormai fuori moda nel mondo della musica.

Com’è nata la collaborazione con Roby Facchinetti? Ha influenzato in qualche modo la realizzazione dell’album?

No, devo essere sincero. Lui ha sentito il disco quando era già “chiuso”, cioè completamente registrato e mixato.
Io avevo già completato l’album, però avevo bisogno di un’etichetta che stampasse il disco, che credesse nel progetto e che mi desse una mano nel promuoverlo. Allora ho fatto il giro di tutte le case discografiche, piccole e grandi, major comprese, e quello che mi ha dato la sensazione di credere di più in questo disco, nel suo progetto e nelle canzoni che ci sono al suo interno è stato Roby.
E’ bello avere un discografico che fa il tuo lavoro, che finalmente capisce qualcosa di musica e Roby è sicuramente sulla mia stessa linea di pensiero, quindi c’è stato entusiasmo e ho voluto fare con lui quest’avventura perché mi dava più garanzie rispetto al firmare con una major. Anche lui come me dà molta importanza alla melodia, mentre oggi invece imperano il rap e la trap, ma con tutto il rispetto sono generi dove l’importanza è quasi esclusivamente sul testo, mentre a me piace lavorare sulla melodia oltre che lavorare su dei testi con dei contenuti.

Il nuovo singolo, Bombay, è stato montato completamente tramite varie App di Apple. Come mai questa scelta particolare?

Stavo scherzando una sera per fare un post veloce su Facebook su questo singolo e mi sono messo ad usare le solite app che hanno tutti di default su iPhone, però poi mi sono detto “cavoli, lavorandoci con il montaggio può venir fuori una cosa interessante”, così ho contattato la Apple, gli ho fatto vedere il prototipo di video che stavo realizzando e loro mi hanno dato tutte le App migliori a livello professionale, come iMover, e da lì abbiamo fatto questo gemellaggio.
Quindi Bombay è un video filmato col mio telefonino, lavorato e montato tutto quanto con tecnologia Apple, ed è la dimostrazione che se tu hai creatività oggi puoi fare qualcosa di interessante grazie a quest’azienda e alle tecnologie che ti sa mettere a disposizione.
Io sono un po’ stanco dei soliti video patinati, con la bella location finta, le modelle pagate, ecc. e ho deciso di prendere gente comune: un mio amico che vende il pane, una mia fan incinta che allatta veramente, e io stesso mi sono divertito a camuffarmi dietro altri personaggi.
Per assurdo questo video realizzato con le app è più vero di tante altre cose. Non è convenzionale, sa di vero e non di finto.

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In alcune canzoni dell’album suoni praticamente tutti gli strumenti. Perché hai deciso di fare tutto da solo?

Nella vita ho avuto la fortuna di essermi diplomato in chitarra classica al conservatorio, poi il piano un po’ lo suono per comporre le canzoni, sono molto portato per le percussioni, mentre la batteria la suono a scomparti: suono prima la cassa, poi il rullante e così via, però alla fine la porto a casa.
Quando hai uno studio tuo è importante che tu sia polistrumentista, perché magari di notte ti svegli con l’idea che in un determinato pezzo ci starebbe bene uno shaker. Allora cosa fai? Dovresti svegliarti il giorno dopo, chiamare il percussionista, che però è impegnato in tour con Jovanotti e allora potrebbe fra un mese. Allora sai che fai? Accendi il microfono alle tre di notte, prendi uno shaker e lo suoni tu.
Devi essere artigiano, devi subito provare, poi magari se non ti viene devi avere l’umiltà di aver preso un appunto e poi lo farai rifare. Oggi poi ci sono anche i computer, quindi qualcosa si mette a tempo anche con quelli, e disogna essere onesti, il computer ti aiuta molto.
Essere autonomi oggi è fondamentale anche perché purtroppo, col mercato discografico che c’è, se non sai un po’ arrangiarti diventa improponibile fare un lavoro fatto di fino, quindi meno male che me la cavo a fare di necessità virtù.
In certi brani ho preferito fare così, anche se naturalmente non mancano musicisti importanti.

Com’è possibile, secondo te, che un autore di talento e che ha scritto uno dei brani italiani più venduti di sempre possa essere messo in disparte in questa maniera?

Tutto può essere, ognuno ha la sua storia: io ho fatto la mia carriera facendo i miei passi uno alla volta e ho ancora speranze di poter dire qualcosa in questo ambiente, magari di avere più riconoscenza. Le cose da autore sono più da addetti ai lavori, nel senso che chi scrive il pezzo è sempre nascosto: è vero che io ho scritto il testo di Vivo per lei, però chi è diventato famoso è Bocelli, ma io sono uno coi piedi per terra, sono soddisfatto anche così.
Ho incontrato nella mia carriera personaggi che avrei giurato non avrebbero mai fatto niente e poi sono diventati Laura Pausini. Ho prestato lo studio a Renga perché era ai ferri corti con la Universal e lui due anni dopo ha vinto Sanremo.
Quindi non possiamo mai sapere cosa sarà Gatto Panceri tra un anno, due o tre. Magari sparirà oppure potrebbe diventare addirittura un numero uno, chissà. Certo, negli ultimi sette anni non c’era più, quindi qualcuno ha pensato che aveva smesso, ma già con questo disco sta dicendo che è vivo.

Pensi che sia difficile emergere con canzoni fatte ancora “alla vecchia maniera” in un periodo in cui a dominare è la trap e la musica usa e getta senza significato?

Io sono contento di come sta andando Pelle d’oca e lividi, sta vendendo bene ed è stato primo in classifica per due settimane su iTunes. E’ la prova che il cantautorato, che appare così in crisi, io lo rappresento ancora, e purtroppo non siamo rimasti così tanti a farlo. Mi auguro che questo disco faccia bene non solo a me ma alla categoria, in modo che la musica cantautorale, di qualità, con dei testi un po’ meno vuoti della musica leggera che sentiamo oggigiorno, possa avere ancora dello spazio, e per adesso i segnali sono molto positivi.
E’ molto difficile avere spazi nelle radio importanti perché hanno intrapreso una linea editoriale come se esistesse solo questo rap e trap, però anche le case discografiche, che stanno investendo solo su quei prodotti, non si rendono conto che c’è un pubblico sopra i trent’anni che viene praticamente ignorato e che non ha più la sua musica, perché a un quarantenne o a un cinquantenne non potrà mai piacere un pezzo trap. Tra l’altro questa fascia d’età è composta da gente che compra dischi perché è ancora legato all’oggetto fisico del cd, mentre quelli di vent’anni se li ascoltano su YouTube, quindi quello che mi lascia perplesso è che si ignora e non si considera un’intera fascia di pubblico.
Allora perché in una proposta discografica non ci deve essere anche qualche altro tipo di artista o qualche cantautore? Oggi in Italia è difficile perché le radio e le case discografiche stanno considerando solo il rap e la trap, ma guarda che poi le mode passano. E quando questa sarà passata?

Infatti io penso che ci sia un enorme divario rispetto a tanti anni fa. Ricordo che quando ero piccolo ascoltavo la radio e creavo il mio gusto musicale andando a cercare le canzoni che mi piacevano di più. Adesso tutte le radio trasmettono sempre le stesse canzoni, il pubblico è cambiata totalmente, purtroppo anche a livello culturale, e da troppi anni ho la sensazione che sia l’artista ad adeguarsi alla condizione del momento per far sì che i suoi pezzi piacciano, piuttosto che cercare di attirare gente con la sua proposta musicale. Questo, secondo me, ha creato un capovolgimento totale che ha avuto effetti mostruosi sulla qualità della musica che ascoltiamo.

Certo, è esattamente un’analisi perfetta quella che hai fatto, è successo proprio questo ed è un vero peccato.
Per esempio oggi se tutti i miei sostenitori chiamassero una radio che non mi passa, loro non mi passerebbero lo stesso, quindi questo cosa significa? Che la radio non passa più la musica che vuole la gente, passa quello che vuole lei e alla gente poi dopo un po’ piace quella musica lì perché la sente in continuazione. Ma un pezzo non può piacere al pubblico se non viene fatto ascoltare.
Una volta invece come funzionava? La radio era una vetrina par condicio per tutti, poi c’erano le richieste. Il direttore della radio magari vedeva che Gatto era molto richiesto e difatti io passavo in radio perché ero molto richiesto. Oggi se anche per assurdo mi richiedessero tutti quanti gli italiani io non passerei in una radio se per loro non fossi un business.

Poi al giorno d’oggi molti network sono anche editori musicali, quindi passano i loro artisti, in una sorta di folle corto circuito.

Esatto. Passano i loro artisti, quelli che hanno i soldi per poter pagare spot e compagnia bella e quelli che fanno la musica di tendenza di oggi. Ecco perché io passo meno, mentre un tempo era la gente che mi faceva passare per radio grazie alle richieste.
Tu hai più sentito per radio un programma con le canzoni a richiesta? Io no.

Infatti io non ascolto più la radio da anni. Non ne posso più, mi viene la nausea ad ascoltare certa musica, oltretutto sempre la stessa.

E fai bene, perché la radio non pensa più a te, ma pensa solo a lei.

Del fatto che le case discografiche, ma soprattutto le radio, abbiano completamente saltato la mia generazione me ne accorgo perché gli artisti che vado a vedere ai concerti da anni vengono considerati i “nuovi cantautori”, anche se ormai hanno alle spalle oltre 20 anni di carriera: vedi Niccolò Fabi, Daniele Silvestri, ecc…

Che poi se ci pensi le radio non passano neanche loro, non solo Gatto. Anzi, ti dirò di più: se tu ci pensi io sono ancora fortunato perché su qualche radio passo, mentre questi artisti bravissimi non li sento e mi dispiace. Non sento da una vita un pezzo di Bersani in radio, e lui è un altro molto bravo.
Quindi c’è stato proprio un taglio esagerato, quasi fosse una sorta di discriminazione, però non dobbiamo accettarla e bisogna far qualcosa. E questo come si fa? Solo con le vendite: loro si devono rendere conto, ad esempio, che il disco di Gatto sta vendendo quindi alla gente piace, non gli piace solo il rap e la trap..

Hai nominato Samuele Bersani ed io avevo una domanda proprio su questo: hai mai fatto caso al fatto che S.T.R.O.N.Z.O. sembra scritta apposta per lui? Sembri quasi cantarla a modo suo.

Ti dirò di più: è l’unico arrangiamento di tutto il disco co-firmato con Roberto Guarino, che era il produttore di Bersani ed è volutamente Bersaniana.
E’ un brano che avevo scritto pensando di darlo a lui, però lui aveva già fatto il disco, non sapeva quando avrebbe potuto pubblicarlo, quindi ho deciso di metterla nel mio album. Ho voluto farla così perché siccome era nata “alla Bersani”, allora ho deciso di arrangiarla “alla Bersani”. Cantata da lui starebbe da dio, e per fare ancora più credibile quel tipo di jazz, chiamiamolo country-jazz, ho detto a Roberto Guarino “questa la devi fare tu, perché hai fatto delle cose con Samuele straordinarie, e dato che questo è un pezzo che ha quel taglio voglio addirittura che tu aumenti questa angolazione verso il mondo di Bersani”.
Non si fa mai una musica che non arrivi da un qualcosa che hai già sentito, e questa è una legge universale: ogni canzone è figlia di un’altra, di qualcosa che hai già sentito e che poi tu rielabori a tuo modo. I Coldplay sono figli dei Genesis, dei Pink Floyd e dei Dire Straits, poi hanno trovato un loro stile. Io sono figlio di Battisti, di Dalla, di quei cantautori lì. L’importante è che non sia una melodia o un testo copiato.

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Hai scritto per decine di artisti tra i più importanti della musica italiana. Ti chiedo un nome maschile e uno femminile di due artisti con cui vorresti collaborare.

Se devo dire dei nomi di gente che mi piace direi Ferro, ma lui le canzoni se le scrive, così come Elisa tra le donne, anche lei cantautrice, quindi devo andare su artisti che sono interpreti: uno è sicuramente Celentano, perché dopo aver avuto Morandi, Bocelli e Leali nel mio carnet manca solo Adriano, che è una voce con cui io sono cresciuto fin da piccolo.
Per quanto riguarda le donne ci sono parecchie cantanti che hanno una bella voce e una di queste è Annalisa. Mi piace anche la Michielin ma anche lei è una cantautrice.
Tra i rapper mi piace Ghali, è il più interessante, ma non penso che lui canterebbe mai un mio testo o su una mia melodia, i nostri mondi musicali sono troppo distanti.

Durante questo mese di Agosto su Spettakolo.it invece di nominare un’artista del mese, visto il brutto clima di intolleranza che si respira in Italia abbiamo deciso di far sentire la nostra voce e dedicare la copertina del nostro sito alla lotta contro ogni forma di discriminazione, che sia razziale, sessuale o di qualsiasi altro tipo. Tu hai scritto tra l’altro Abita in te, brano molto importante sull’amore che attraversa le difficoltà e le diversità, quindi volevo un tuo parere sull’argomento.

Io naturalmente sono per la tolleranza totale e lo si vede anche già a partire dal titolo dell’album, Pelle d’oca e lividi.
I lividi cosa sono? Sono i lividi della società, e non c’è niente più reale dei lividi quando i sono la violenza e la discriminazione, che portano ad atti inumani, ed io sono completamente sensibile a questo tipo di realtà che mi fa paura.
C’è una frase in Pelle d’oca e lividi che dice “e chi è violento e dice che ama è solamente un figlio di…”, però poi è la chitarra che dice “puttana”. E’ una presa di posizione ben precisa.
A me interessa la diversità, non mi spaventa anzi mi arricchisce, e la cosa più bella è l’abbraccio della gente nella diversità: questo è il mio pensiero.

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Nelle scorse settimane sei stato giudice di Castrocaro 2018 e nei giorni successivi è iniziato il tuo tour estivo, che ti ha visto impegnato in un’importante iniziativa sociale, suonando nel carcere di Reggio Calabria.

Sono contento di essere stato chiamato dalla Rai perché dopo la polemica che c’è stata riguardo l’ultimo Festival è stato un po’ come sancire la pace. Inoltre sono stato contento della giuria, perché vedo a volte nei talent giurie formate da persone che non sono nemmeno musicisti e che sono invece lì a decidere della carriera artistica di altre persone. In questo caso si è trattato di una giuria di quattro persone molto preparate: Fio Zanotti è un grande arrangiatore, Katia Ricciarelli è una delle cantanti liriche più famose che abbiamo in Italia, Alessandra Drusian dei Jalisse è una che fa da 20 anni il suo lavoro con grande onestà. Mi fa piacere che mi abbiano chiamato perché penso che dopo 30 anni di musica sono in grado di poter giudicare se uno canta bene, se ha personalità o meno.
Non è la prima volta che canto in un carcere e ogni volta vado molto volentieri, perché se noi riteniamo che il carcere sia un luogo dove recuperare delle persone che si sono perse in passato, bisogna fare anche in modo che diventi un luogo di crescita positiva, e la musica ed il messaggio che porta sono importanti in questa direzione.
Quando canto L’amore va oltre, nel punto in cui dice “l’amore va oltre le persone, evade una prigione”, mi emoziono ogni volta, perchè so che cantare quella frase proprio in quel luogo ha un significato ancora più speciale ed importante, perchè chi ascolta sta vivendo realmente quella condizione.
Quando partecipo a queste iniziative spero di portare quella scintilla che possa essere utile ed educativa affinchè queste persone possano trovare un domani, una volta usciti dal carcere, la via giusta. Dobbiamo renderci conto che quando sei in un carcere molti, facendo della stupida ironia, dicono “è facile, mangi pure gratis”. Però prova ad immaginare che lì dentro non vedi mai un concerto, non vai mai al cinema, non vai mai in un ristorante, quindi io credo che per loro sia bello il fatto che vada lì qualcuno a fargli sentire un po’ di musica dal vivo con la chitarra: li fa sentire considerati e più inclusi nella società, e questa credo sia una cosa molto importante.
Inoltre resta qualcosa anche a te che lo fai, perchè non è che dai soltanto, ma ricevi anche, come sempre in queste cose.

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