L’albero dei frutti selvatici

Ritratto dell’artista (antipatico) da giovane?

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L’albero dei frutti selvatici
di Nuri Bilge Ceylan
con Dogu Demirkol, Murat Cemcir, Bennu Yildirimlar, Hazar Ergüçlü, Serkan Keskin
Voto 7

Sinan vuole fare lo scrittore, è tornato al paese dopo la laurea, dovrebbe fare il concorso per andare a insegnare alle elementari nella Turchia dell’est (o finire soldato, prima professione in un paese dilaniato da scontri interni), ha pronto un romanzo di pure impressioni ed è in polemica con il padre maestro elementare in apparenza incosciente, dissipatore (gioca e fa debiti) che sogna di fare il contadino ma non segue la tradizione. Sinan è un antipatico aggressivo che ha il dono di entrare in collisione col mondo a partire da poco, nell’amore, nelle simpatie letterarie, negli affetti famigliari, persino nella teologia islamica. Sinan è in perenne silenzioso scontro con un quasi amore, con i genitori, con uno scrittore ammirato/odiato/invidiato, con la politica e con i mullah. È seguito con grande esattezza esasperante (leggi anche lentezza) dal fare cinema di Ceylan, che per paradosso sembrerebbe a un passo dal fare a meno delle immagini (che a volte sembrano un puro sfondo per le parole) eppure usa le immagini per scandire i tempi di un vivere faticoso e mai ovvio. Così è la crescita di Sinan, che di incomprensione in incomprensione arriva alla comprensione di sè. Spezza il cuore a volte, spesso anche la resistenza.

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