Un tipo di musica come non se ne sentiva da tempo. Magia, esoterismo, alchimia sono alcune delle componenti che hanno scatenato il flusso creativo dell’ensemble. Ne fanno parte Giada Colagrande, ai testi e musica oltreché al canto, Arthuan Rebis, ai testi e musiche, voce, chitarre, bouzouki e programmazioni, infine Vincenzo Zitello all’arpa celtica e arrangiamenti. The Magic Door hanno fatto uscire il loro primo omonimo album e dopo averlo presentato dal vivo a Roma e Fidenza approdano allo Spirit de Milan di via Bovisasca a Milano, giovedì 22 novembre. Per capirne di più sul disco appena uscito, e su quello che si ascolterà dal vivo, abbiamo interpellato i protagonisti.
Come siete arrivati a questo tipo di musica, esistono stadi intermedi o è quello che avete sempre suonato e cantato?
Arthuan: La nostra musica è un distillato di quelle che sono state le nostre esperienze. Personalmente ho trascorso molteplici fasi, dalle passioni gotiche della prima giovinezza, passando poi a influenze folk ad ampio spettro, prog, celtiche, orientali, medievali. Ho studiato e praticato vari generi, su vari strumenti. Per Giada è la prima esperienza discografica e da songwriter, ma canta e suona la chitarra, bossanova e non solo, da molti anni. Nella prima fase di stesura musicale ero io a trascinare lei, ma già dal secondo brano ha iniziato a suggerire giri armonici, acquisendo maggior fiducia, fino alla completa maturazione con il brano Vitriol dove si sente tutto il suo stile.
Giada: Abbiamo lavorato in simbiosi artistica per qualche mese, sia sulle musiche che testi. Terminata questa fase avevamo in mente un trio d’archi per arrangiare il disco, con l’intenzione di aggiungere qua e là strumenti etnici che però non spostassero troppo il genere in una certa direzione. A questo punto entra in gioco Vincenzo Zitello, polistrumentista, anche lui, grande amico di Arthuan, che lo considera il suo maestro di arpa celtica. Gli abbiamo chiesto di curare gli arrangiamenti che avevamo abbozzato. Ciò che ha fatto è andato ben oltre. Le nostre tre menti sono diventate una. Anche l’aspetto visivo è molto importante per noi, infatti durante i concerti proiettiamo un video che accompagna lo spettatore in un vero e proprio viaggio tra i pianeti, le forze della natura e gli elementi, l’interno della Terra e del corpo umano. Il video è stato realizzato da me e da Giulio Donato.
Avete preso a modello qualche artista o qualche tipo di musica in particolare?
Arthuan: Sono emersi spontaneamente certi punti di riferimento, dal folk britannico degli anni Settanta al dark folk, dalla musica celtica…
Giada: …a quella brasiliana, al tango argentino degli anni quaranta (mia altra grande passione), senza dimenticare quella mediterranea. Da tutto questo siamo contenti di aver creato e realizzato un sound personale e omogeneo.
Da dove deriva il nome del gruppo?
Giada: Sia il nome del progetto che del disco vengono dalla Porta Alchemica di Roma, un monumento a cui è associata una leggenda che abbiamo raccontato nell’Intro dell’album. Sulla porta sono incise sette epigrafi corrispondenti a sette pianeti e altrettante operazioni alchemiche. Abbiamo tradotto le epigrafi dal latino all’inglese e le abbiamo usate per i ritornelli dei brani. Quello evocato dalla Porta Alchemica è un universo di simboli e suggestioni che vanno al di là dell’Alchimia o della Roma ermetica del ‘600, si tratta infatti di un immaginario collettivo che appartiene alle profondità della Natura e dell’Uomo. Questa è l’essenza dei Simboli e la Porta in sé è simbolo di apertura, se si è pronti a varcare la soglia.
Molti simbolismi vi accompagnano, che valore assumono?
Arthuan: I simboli ci accompagnano nella vita tanto quanto nell’arte. Aprono la mente a una vastità che non è comprensibile razionalmente e che trascende le barriere. Usano la forma per andare oltre, edificando strutture verticali al di là del tempo. La conoscenza dei simboli può aiutare ad incanalare le energie creative, ma siamo noi stessi a dover diventare “buoni canali”.
Ecco un esempio: per scrivere il brano su Giove (Jupiter’s Dew) abbiamo passato due giorni interi a sfogliare libri di simbolismo alchemico, cercando di cogliere l’essenza di questo pianeta. Abbiamo stracciato vari fogli e alla fine il testo è arrivato di getto con un sogno, nel quale tutti gli elementi eliminati si erano mescolati e avevano trovato un nuovo ordine e soprattutto un’anima.
Dal vivo suonate con altri artisti?
Giada: Al momento la formazione è composta da me, Arthuan e Vincenzo, a cui si aggiunge il percussionista Nicola Caleo. Nell’album abbiamo avuto un ospite d’onore, Glen Velez alle percussioni.
La partecipazione di Zitello si estende anche dal vivo?
Arthuan: Si, Vincenzo suona con noi arpa celtica, viola e lama sonora. Inoltre ha aperto gli ultimi due concerti suonando alcune sue composizioni.
Giada, hai altri progetti in corso?
Giada: Per mia fortuna è un periodo questo di grande fermento: il mio ultimo film «Padre» sta avendo in queste settimane una distribuzione nelle sale di diverse città italiane, mentre gira ancora per festival, a due anni dalla prima mondiale in Messico. Nel frattempo sono in preparazione del mio prossimo film «Tropico» che girerò in Brasile nel 2019. In tutto ciò i concerti con The Magic Door si sono rivelati una fonte di ispirazione e di ricarica energetica.
Arthuan per parte tua? Oltre al progetto The Magic Door?
Un nuovo album solista. Un nuovo disco con il gruppo In Vino Veritas. Concerti con varie formazioni e qualche collaborazione. Ultimamente ho anche formato un duo con Paolo Tofani, però ora è in India. Ho partecipato come ospite al nuovo disco di Vincenzo Zitello e posso anticipare che si tratta di un bellissimo concept album. Inoltre organizzo vari eventi culturali con l’amico e scrittore Angelo Tonelli.