Ride

Che fatica mettere a fuoco il dolore se alla vedova del morto sul lavoro non viene da piangere

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Ride
di Valerio Mastandrea
con Chiara Martegiani, Arturo Marchetti, Renato Carpentieri, Stefano Dionisi, Milena Vukotic
Voto 7 e 1/2

Muore sul lavoro un operaio di 35 anni. La città e i compagni di fabbrica si preparano al cordoglio. Il padre militante si trincera dietro un muro di dolore. Il figlio di 10 anni gioca a prepararsi alle domande delle televisioni. La fidanzata degli anni di scuola viene a piangerlo a casa sua. Due amici di famiglia confidano alla vedova che stanno per lasciarsi, giusto per condividere dolori. La vicina di casa spiega alla vedova che deve truccarsi e prepararsi. Il fratello che ha preferito l’illegalità alla fabbrica si fa vivo dalla clandestinità per accusare il padre. E la giovane vedova? Lei non riesce a piangere. Si sforza e non le viene. Non dorme e non le viene. Ascolta musica, guarda foto, rimemora momenti e non le viene. Fa le prove allo specchio e non le viene. Prepara pasti fantasma al morto e non le viene. Il bambino l’accusa di essere cattiva perché non piange. Anzi, ride. C’è in profondità tutto Mastandrea in questa opera prima: la poesia della vite difficili, la provincia imbastardita, la vecchiaia e l’infanzia, il senso della morte e il senso della lotta. E come in Mastandrea attore, accanto alla tristezza più depressiva c’è un tratto ironico, buffone con grazia, tragico ma non serio, con punte surreali. È un film perfetto? No, grazie al cielo. Pencola tra borgata, militanza, poesia e impossibile. Ha un bel po’ di finali (quello d’amore, quello di lotta, quello di rabbia, quello che apre un varco all’immaginario: scegliete quello che preferite. ). Si sente il Mastandrea che ha terminato il film di Caligari e quello che segna le migliori commedie, anche con un tocco funerario, quello che butta lì una pioggia casalinga alla Lars Von Trier degli amori assoluti. Le soluzioni estetiche passano dal ricercato al puro e duro, certe musiche fanno capire l’urgenza di quello che aveva dentro. Che ha dentro? Il bisogno di raccontare il dolore, non la sua immagine vendibile, in un’Italia che applaude ai funerali. Qui non si applaude.

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