John Mayall, blues di un eroe senza tempo

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La grinta di John Mayall a Udine (Daniele Benvenuti)

Quando personaggi leggendari, che hanno costruito la storia che conosci e ami di più, arrivano a una certa molto veneranda età, devi solo ringraziarli per ciò che sono stati e per il privilegio di incontrarli una volta ancora, e magari lasciarti sorprendere. John Mayall è tutto questo e molto di più. Neanche un anno fa l’ex moglie Maggie aveva informato i media che l’anziano musicista era stato ricoverato in ospedale in gravi condizioni per una polmonite. Si temeva il peggio, considerati i suoi 84 anni. E invece eccolo qui, a Udine, per un nuovo tour italiano in quartetto, arzillo come non mai, tanto da aspettare l’ora d’inizio del concerto dietro a un tavolino nella hall del teatro, vendendo i suoi dischi più recenti, in attesa dell’ultimo Nobody Told Me, autografandoli e stringendo mani. “Perché poi sarà stanco”, immagini. Neanche per sogno. Appena il tempo di far la strada dopo l’ennesimo bis ed eccolo di nuovo sorridente a ripetere l’operazione davanti a una folla ben più numerosa.

John Mayall è un eroe senza tempo. Lui e Alexis Korner hanno praticamente inventato il British Blues e aperto la strada a tutti quei giovani che oggi consideriamo “leggende del rock”, da Eric Clapton a Jeff Beck, Peter Green e mille altri passati per i suoi Bluesbreakers, mentre Alexis svezzava i Rolling Stones, i Led Zeppelin e mille altri ancora.

Quando ero adolescente comprai tutti i suoi dischi in un colpo solo da un amico: dieci album, uno diverso dall’altro per stile e band. Imparai lì i rudimenti di una musica che aveva fatto tanta strada e tanta doveva farne. Mayall era un musicista versatile. Cantava, suonava l’organo, più raramente il piano o la chitarra, ed era un dio con l’armonica, ma soprattutto sperimentava, dal blues acustico a quello elettrico, con o senza sezioni di fiati, e con nomi sempre diversi che andavano a fare la loro parte inventando elementi nuovi. Erano blues originali o classici, reinterpretazioni, spunti per improvvisazioni, spesso con la diligente annotazione della tonalità usata.

Fu  Alexis Korner nel ’62 a telefonargli a Manchester dove operava sin dagli anni ’50, invitandolo a spostarsi a Londra dove “stava succedendo qualcosa”. Aveva ragione.

Lo incontrai per la prima volta nel ’78 a Jesolo chiamato per un concerto alla storica discoteca “Il Muretto”. Gli portai una maglietta del Gazzettino che indossò lasciandosi fotografare. La foto divenne la controcopertina del mio libro sulla storia della musica rock, “Musica G”. Mayall aveva 45 anni ed era felicemente accompagnato da una giovanissima corista, Maggie Parker, con cui sembrava in più che ottimi rapporti. Si erano conosciuti da poco, grazie ad Harvey Mandel con cui lei cantava. Non fu una sorpresa sapere poco dopo che i due si erano sposati, e con basi tanto solide che il matrimonio durò 33 anni, fino al 2011, e che i rapporti sono rimasti ottimi anche dopo.

A quel tempo Mayall era una specie di pioniere anche nel look, pizzetto al mento, capelli lunghi, la consueta giacca di pelle con le frange tanto amata dai musicisti dell’epoca. Giravano su di lui tante voci curiose. Di una chiesi conto al suo chitarrista la sera a cena. Lui la girò ad alta voce a Mayall: John, è vero che a casa hai una piscina fatta a forma di pene?. Lui rispose semplicemente no, come se fosse la domanda più normale del mondo e continuò a mangiare e conversare.

A Cittadella incontrò il bluesman veneziano Guido Toffoletti, chiamato ad aprire il suo concerto. Si complimentò e si scambiarono telefono e recapiti oltre a qualche parola sul comune amico Alexis Korner. La cosa servì a Guido qualche tempo dopo perché Mick Taylor, con cui aveva concordato una nuova collaborazione per un disco, era irreperibile a Londra. Qualcuno gli suggerì di chiedere a John Mayall. Così fece, e John, che era in California, gli disse che Mick era proprio da quelle parti che stava provando con la band e gli diede un numero da chiamare. La voce che rispose sembrava piuttosto seccata dall’intrusione: Da chi hai avuto questo numero?. Guido rispose: John Mayall. L’altro al telefono sembrò rassicurato e rispose solo: Ah, ok. Mick è qui, ora lo chiamo. Mick Taylor arrivò al telefono e spiegò che stava facendo le prove per accompagnare Bob Dylan in tour, aggiungendo che quella era proprio casa di Dylan e che era Bob ad aver risposto al telefono…

Toffoletti fu uno dei primi artisti a salire sul palco di Pistoia Blues, e John Mayall non poteva essere da meno, diventandone uno degli ospiti più frequenti fino al 2017. Lo vidi nel 2004, aveva già una settantina d’anni. Fece il suo concerto, poi tornò sul palco durante una pausa a raccogliere e caricare di persona i suoi strumenti sul furgone: Sono arrivato stamattina dall’Australia – mi spiegò – e domani sera suono in Inghilterra.

Sette anni fa a Padova, (dove fu raggiunto sul palco dal compianto Rudi Rotta),  mi era sembrato stanco e con tutti i segni dell’età avanzata. Questa volta no, tutto il contrario. Accompagnato da un eccellente trio con l’ottima chitarrista e cantante Carolyn Wonderland, che ha collaborato al nuovo album (con Little Steven, Joe Bonamassa, Todd Rundgren e altri) e una solida sezione ritmica con il bassista Greg Rzab, scuola Pastorious, e il batterista Jay Davenport, scuola Chicago, con lui da un decennio.

A 85 anni Mayall dimostra di saper ancora spaziare lungo tutto l’arco del blues alternandosi con grande maestria all’armonica, all’organo, al piano, un po’ meno alla chitarra, raccontando e dirigendo, cantando e sollecitando il pubblico a condividere con lui la passione di una vita. Non ho mai dato peso agli anni e credo sia merito della passione per quello che faccio – ha spiegato in una intervista a L’Adige – finché ho tutta l’energia che ci vuole non ho alcuna intenzione di smettere.

Giò Alajmo

(c) 25 marzo 2019

 

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