E così è andato Scott Walker. Le cose finiscono, dunque.

Come se non lo sapessimo, certo, finiscono. Tutto finisce, e anche le vite. Ma ogni volta accorgersene è come impararlo una nuova volta, come non lo si tenesse a mente, come se fosse necessario ogni volta rammentarlo o impararlo da capo, andare a verificare qualcosa della cui esistenza si è pure certi, ma lo stesso dovere andare a guardare e dire: è così.

   Tutti ora volendo potranno costatare chi fosse, ma in verità non sono in molti a sapere chi fosse. Lo sanno in pochi persino tra coloro che giurano di avere amato e di amare alla follia il superlativo David Bowie.

Anche quelli non sanno chi fosse Scott Walker.

  Ma se avete presente la voce profonda e le evoluzioni vocali di certe canzoni del Duca, allora sappiate che Bowie, da grande autore quale era, era capace di imparare da altri. E quella sua certa voce l’aveva amata e appresa da Walker.

 Niente nasce dal niente, benché vogliano farcelo credere persino al Cern di Ginevra. Ci dicono che sono vicini a risalire all’istante in cui sia nato tutto da un infinitesimale punto di concentrazione di ogni energia posto nel nulla, e da quel nulla sia scaturito poi l’ogni cosa. Ma non dobbiamo crederci, non bisogna mai credere a chi ti dice di credere, niente nasce dal niente, e questo è visibile ovunque.

 E niente soprattutto svanisce nel niente.

Se davvero ci potesse essere una nascita dal nulla, allora saremmo come dire certi che la morte riporti a quel nulla che ci sottosta.

Ma non è così.

   Chiunque abbia sopportato il peso di una morte, sa bene che la scomparsa di una persona davvero importante per te non cancella la sua presenza.

  Così se per la biologia, per la fisica, per la storia, per l’anagrafe e così via si muore, per la presenza no di certo. La presenza resta, vola sopra le nostre teste, soffia dietro il collo, vaga in trasparenza, muove le cose e genera rumori sia fisici quanto inudibili ma lo stesso in qualche misura percepibili.

  Niente che sia nato davvero morirà mai, niente tra ciò che nascerà non sarà nato da altro se non da certa presunta morte.

  Scott Walker è stato in vita un autore appartato. Bellezza e tristezza gli si addicevano. Ha lasciato una serie di dischi venati di una melanconia che farà tempo, sin dalla fine degli anni sessanta, a venire. Quella che poteva dirsi al principio canzone pop ha lasciato il posto a una miscela in cui canzone della più alta fattura, sperimentazione, musica contemporanea e avanguardia si sono congiunte in un crogiuolo per cucinare lentamente le coscienze.

   Chi ha amato e ama le ballate di Nick Cave, se non lo sapesse, sappia che Cave deve molta ispirazione e maledizione lui pure alla poesia vocale e orchestrale, minimale e esistenziale, ammalata e allo stesso tempo purissima, come un’aria fortemente ossigenata che dia il capogiro, prodotta da Scott Walker.

  Anna Calvi ha amato Scott Walker.

E lo ha amato Beck.

Tutto questo, come è giusto, si sente nelle opere dei rispettivi autori che da quel certo autore hanno appreso una direzione e l’hanno seguita, e questo li ha portati lontano.

Si potrebbe continuare l’elenco, se andate a cercare in buona parte della canzone più evoluta degli ultimi cinquanta anni troverete qualcuno che deve qualcosa a quell’oscuro cantore dal viso bello, dai capelli dorati e dalla voce incredibilmente triste. E se credete che la tristezza sia da evitare, allora prego, abboffatevi pure di vuota beata inconcludenza. Perché non c’è riflessione accurata che non possa sfociare nella malinconia, non vi è considerazione oggettiva che non porti a sentirsi almeno in parte immersi in una ricerca che non vuole fine.

   Per questo la sua voce e voce come la sua saranno sempre fuochi ai quali chiedere calore.

E ora è andato, e sia.

Ma se volete farvi del bene, cercate e ascoltate la sua voce baritonale appoggiarsi, poi inchinarsi, quindi innalzarsi e volare sulle trame di orchestre davvero impensabili, sentitelo fraseggiare con importanza, e pensate al suo fantasma dorato per sempre svolare le vostre teste. 

Niente muore davvero, niente che sia nato davvero.

gianCarlo onoratoMusicista, scrittore e pittore fuori dagli schemi, ex leader di Underground Life. Ha pubblicato i dischi: Il velluto interiore (1996), io sono l’angelo (1998), falene (2004), sangue bianco (2010, Premio Giacosa), ExLive (2014) con Cristiano Godano, quantum (2017), “quantum Edizione Extra” (2018), ha curato la co-direzione artistica del Tributo a Luigi Tenco come fiori in mare Vol. I (2001) e Vol. II, in “Sulle labbra di un altro” (2011), ed i libri: Filosofia dell’Aria (1988), L’Officina dei Gemiti (1992), L'ubbidiente giovinezza (1999), Il più dolce delitto (2007), “ex-semi di musica vivifica” (2013), La formazione dello scrittore” (2015). Ideatore del Seminario del Verbo Musicato, ha centinaia di concerti alle spalle e un disco, un tour e un nuovo romanzo nel prossimo futuro. giancarloonorato.it

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