Restart, una nuova partenza per Antonio Cocomazzi, pianista d’eccellenza, che ritrova la collaborazione di Mario Marzi al sax per tutte le 11 tracce di cui l’album si compone.
Un nuovo inizio, ma anche un “dove eravamo rimasti”: nel disco sono presenti cinque rivisitazioni di brani presenti nei suoi lavori precedenti, questa volta in versione duo, una sorta di filo che congiunge l’Antonio di ieri con quello di oggi, la visione del passato e quella del presente, con uno sguardo verso il futuro (It’s time)
Restart è un viaggio che parte con una Sonata per sax (Sonatax) si snoda attraverso tutte le sonorità, dalle più classiche alle più contemporanee, permeate da influenze jazz che non hanno nulla di improvvisato (come il genere richiederebbe), ma aiutano a tener viva una tensione di fondo, un continuo gioco di note, con passaggi repentini tra momenti ritmici e armonici, che ci trascinano in un giro sulle montagne russe delle emozioni.
Insomma indicizzazione impossibile, in un mondo che la richiede sempre più spesso, per questo lavoro, che di sicuro segna un ritorno in grande stile sulle scene musicali di Antonio Cocomazzi, che continua la sua carriera di insegnante e compositore/arrangiatore.
Il musicista pugliese, che vanta quasi 300 lavori in Italia e all’estero che spaziano dalle composizioni per pianoforte solo al repertorio da camera e per coro e orchestra, ha avuto l’occasione di scrivere la Messa da Requiem in memoria di Padre Pio, eseguita in prima assoluta proprio a San Giovanni Rotondo (FG), suo paese natale.
Decisiva e fondamentale anche la partecipazione di Mario Marzi che con le sonorità dei due sassofoni (soprano e baritono) riesce a fare perfettamente da spalla e talvolta a rendersi protagonista di un lavoro dall’indiscusso valore musicale.
Ha bisogno, probabilmente, di più d’un ascolto e di un pubblico preparato, ma anche i fruitori meno “istruiti” a livello musicale sapranno godere, pian piano, dei voli pindarici delle partiture di Cocomazzi, che, probabilmente data la vastità ed eterogeneità dei suoi lavori, sembrano a volte chiamare a sé scene di film, come a volersi imporre quale colonna sonora. E chissà che poi qualche regista non se ne serva davvero…