Ermal Meta al Forum: prima che si alzi ancora il vento, tre anni in una festa

Il cantautore italo-albanese si congeda momentaneamente dal suo pubblico con un concerto-evento al Mediolanum Forum nel giorno del suo trentottesimo compleanno: noi c'eravamo e vi raccontiamo i momenti più significativi di un magnifico live.

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Assago, esterno giorno: c’è una festa di compleanno, il 20 aprile; una festa che coincide con la fine di un percorso di studi di tre anni. Il festeggiato è Ermal Meta, che spegne 38 candeline. L’esame finale del corso in trasposizione sonora dei colori della vita avrà come aula il Mediolanum Forum di Assago. Gli invitati? Beh, quelli sono tanti, davvero. Da ogni angolo d’Italia, d’Europa. Perché sì, lo studente in questo periodo s’è fatto voler bene davvero, costruendo la sua carriera su pilastri solidissimi di umanità, franchezza, dedizione e rispetto, materiali raffinati eppure non pretenziosi, robusti e coriacei, e intrinsecamente eleganti. Per qualcuno, forse, un po’ troppo antichi, ché oggi van di moda leghe meno rifinite, più cangianti e flessibili, più duttili ed economiche. Ma dipende sempre da che genere di edificio etico s’intenda costruirvi su…

… ed Ermal, in questo, è stato fin dal principio un architetto dalle idee chiarissime: prova dopo prova, rifiuto dopo rifiuto, applauso dopo applauso, progetto dopo progetto, ne ha modificato l’altezza, le decorazioni, i colori. Ma mai il disegno di base, né la struttura portante: fatica, studio, integrità, coraggio, empatia, e ancora studio. Strano corso, il suo. Un corso nel quale l’unica commissione giudicante valida è costituita da un numero di membri sempre crescente, applica come strumento di valutazione il cuore e stabilisce la scala di votazione non in trentesimi, ma in lacrime e sorrisi. Commissione severa, sia chiaro, severa e progressivamente più esigente, ché di studenti svogliati e furbi, con scritto sul palmo della mano la rima calcolata e tra le righe del pentagramma, in piccolo, la sequenza di sei o sette note strasentita e stravenduta, ne ha visti e ascoltati così tanti da averne le orecchie piene.

Oggi la commissione chiede a Ermal ancora di più, perché sa che poi lo rivedrà all’opera tra un bel po’ di tempo, in un corso di livello ancora superiore, e le aspettative saranno ancora più alte: ancora, àncora. Stessa parola, accento diverso, medesima speranza: quella di trovare di nuovo in suoni e parole un appiglio, un pennello, una mano tesa, una vela, un paio di scarpe comode, una riserva di ossigeno, un foglio bianco, una porta aperta, un cuscino morbido, una telefonata inaspettata. E perciò gli concede di costruire questo esame, che è esame e festa insieme, come lui desidera.

Certo, il tacito sottotesto c’è, e lo sanno molto bene sia lo studente che la commissione: a legarli c’è un affetto profondissimo, le cui radici sono piantate in un terreno fertilizzato con kilometri macinati, complicità insperate, ricordi in barattolo, salvezze colte in uno specchio. Ma non per questo l’uno smette di impegnarsi, l’altra smette di conservare un occhio critico, ché sennò quell’affetto diventerebbe devozione e le radici perderebbero la loro fonte di nutrimento. E poi, questa volta, i ruoli sono più sfumati: lo studente è il festeggiato, la commissione è il suo parterre di amici. Ci sarà gioia. Tutto sta nel capire quali vestiti indosserà.

Assago, interno notte. Ermal Meta mette subito le sue carte in tavola, di fatto sparigliandole: tutti si attendono che il discorso di esordio arrivi sulle note di Non abbiamo armi, come è accaduto in tutte le altre date a partire dallo scorso anno, ma non è così, perché questa volta il ritmo pulsa più in profondità, e più fitto. Fitto, nello stomaco, da dove origina tutto ciò che di più ancestrale rende Umano, uno fra i brani forse meno noti e insieme più densi della intera discografia di Meta, più onesti, più intensamente suoi: il dialogo poetico e  sfacciato con un’anima scheggiata, che irride per difendersi e pretende perché troppo viva. Un esordio illuminato da giochi visivi che tagliano l’aria fianco a fianco con le strofe, amplificandone la potenza e la carica emotiva. LE PAROLE:“stanco di chi cambia faccia come il vento, stanco di chi vince senza aver talento, di chi rompe i denti per sentirsi duro, di chi ruba il pane per sentirsi furbo”.

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La canzone successiva risponde alla silenziosa richiesta, da parte della commissione, di un respiro di leggerezza dopo uno scossone viscerale: arriva così Bionda, melodia saltellante e accattivante, una primavera quasi fanciullesca di immagini leggere, simpaticamente stereotipate, ma indispensabili nella loro semplicità. Di ben altro tenore sono le risposte alle due domande che seguono, sempre ultrasoniche, non percepibili a nessun orecchio che si collochi più in alto del centro del petto: come si annulla l’eredità di dolore frutto  dell’impatto con un demone? Come si costruisce dolcezza intorno a un incontro senza parole? Lettera a mio padre è ancora un’àncora da sempre, per chi conosce e ama la musica di Ermal: a volte s’inciampa nel male camminando su strade che sono casa, e i segni di quella caduta si ha la tentazione di scegliere, quasi, di portarseli addosso, ché se l’asfalto nato per sostenere i tuoi passi t’ha tradito, quale terreno sarà più sicuro? E invece no: ogni male è un bene quando serve e ogni ferita chiusa è bussola essenziale per capire qual è la direzione sbagliata, così da non perdere mai di vista quella giusta. LE PAROLE:“non c’è più paura, non c’è niente, quello ch’era gigante oggi non si vede; quando sulla schiena hai cicatrici, è lì che ci attacchi le ali”

Piccola anima, poi, è la prova inconfutabile della capacità di Ermal di catturare con dolcezza l’ispirazione in qualsiasi condizione di luce si nasconda, e di darle viso, voce e storia anche quando è solo occhi e silenzio: nata dall’incrocio casuale di sguardi con una sconosciuta per strada, è diventata prima un magico duetto con Elisa, poi un dolce fil rouge con il pubblico, incitamento a ricordare che è nel piccolo che spesso si cela la vera grandezza, ma anche e soprattutto reciproco rinnovarsi la promessa — per niente fragile, questa — di camminarsi accanto, (per) sempre. LE PAROLE: “qualcuno è qui per te, se guardi bene ce l’hai di fronte, fugge anche lui per non dover scappare, se guardi bene, ti sto di fronte, se parli piano, ti sento forte”

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Ragazza Paradiso e Io mi innamoro ancora sono l’interludio lieve, le domande per prender fiato e insieme perderlo nella foga del raccontare ciò che si conosce meglio: e quanta foga c’è, davvero, nella rincorsa di Ermal sul lungo braccio verticale del palco a croce… la stessa che c’è, da parte di chi è intorno a lui, nel saltare su quel tanto criticato pronome al maschile che è perdonabile come una marachella seguita da un sorriso.

In questa sessione d’esame del tutto speciale, allo studente è permesso di convocare amici e colleghi ai quali affidare l’onore e l’onere di supportarne il talento narrativo ed espressivo: e così, dopo le domande semplici, arriva J-Ax ad aiutare Ermal a rispondere a una piuttosto ostica: dove trovano un equilibrato punto d’incontro due storie musicali così diverse senza sbiadirsi a vicenda né cozzare tra loro fino ad ammaccarsi? La risposta è Un’altra volta da rischiare, chiarissima: è l’onestà del racconto a portare viaggiatori lontani sulla stessa rotta. E nelle parole di Ax a proposito del più giovane compagno di palco non c’è retorica. NO, come quello che risuona fortissimo tra le pareti del Forum, uno dei momenti più suggestivi dell’intera serata.  LE PAROLE: “mentre io mi chiedo ancora cosa poi farò da grande, tu sorridi e dici che c’è ancora tempo per pensare, un’altra volta da rischiare”.

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La risposta alla successiva è ancora un’àncora, forse L’àncora per eccellenza, nella produzione di Meta: Vietato morire è fin dal 2017, anno nel quale si è classificata al terzo posto nella Sezione Campioni del Festival di Sanremo portando a casa anche il Premio della critica intitolato a Mia Martini, il momento catartico in ogni concerto di Ermal. Chi nella caldissima e lunghissima giornata d’attesa si è lasciato incuriosire dalla folla festante e stremata osservandola con attenzione, non avrà faticato a scorgerne i versi su corpi e abiti, tatuati indelebilmente sulla pelle tanto quanto nelle storie di chi era lì a mostrar gratitudine per una salvezza non trovata di certo nelle note, ma da esse suggerita. Sprone a una disobbedienza implacabilmente costruttiva, al rifiuto del concetto di destino immobile, al coraggio di (ri)costruire il proprio futuro a prescindere dalle fragilità dei pilastri piantati dal passato, il brano continua a essere amatissima colonna sonora di vite e progetti (di recente vi abbiamo dato notizia della conquista della certificazione del doppio platino) e a rappresentare un momento di condivisione live di più rara, struggente bellezza. LE PAROLE: “che cosa ti aspettavi da grande, non è tardi per ricominciare; scegli una strada diversa e ricorda che l’amore non è violenza; ricorda di disobbedire e ricorda che è vietato morire”.

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Il vento della vita, Gravita con me, 9 primavere, Rien ne va plus, ciascuna a suo modo, sono altrettante soluzioni a quesiti che tutti ci siamo posti chissà quante volte, e che in in questa sessione di festa nascono quasi spontaneamente da altri input, senza soluzione di continuità pur così stilisticamente e semanticamente differenti tra loro: come si trasforma il senso di colpa generato da una sosta forzata in energia per una ripartenza? Come si abbraccia una solitudine trasformandola in passione? Come si protegge l’amore dall’insulto del rancore dopo un inevitabile addio? Come si ricorda a se stessi che il sarcasmo può diventare autodifesa contro le ferite generate da un tradimento? La parola alla musica e al suo infinito catalogo di spendibili saggezze.

Eccolo, un altro amico al quale chiedere aiuto. O forse, al quale semplicemente lasciare il dovuto spazio dopo averlo visto camminare accanto a sé per così tanto tempo. Ermal presenta Andrea Vigentini, suo chitarrista e corista fin dall’inizio dell’avventura da solista, che ha appena pubblicato il suo secondo singolo, Come va a finire, dopo Magari (qui la nostra intervista esclusiva), selezionata tra i 69 finalisti dello scorso Sanremo Giovani; Andrea si affida con dolce sicurezza all’abbraccio di amici che sa non lo lasceranno cadere, e il risultato è premessa di un futuro sorprendente.

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L’esame-festa continua. Ed Ermal ancora una volta chiede di poter contare su un ausilio esterno. Che ausilio, poi: loro sono gli amici del Conservatorio, i Bruce Wayne con lo smoking da supereroi della Classica che imbracciano i loro strumenti di legno e metalli preziosi per disegnare storici capolavori con incantevoli, tecnicamente impeccabili virtuosismi e poi, una volta salvato il mondo, smettono mantello e spartiti preziosi per indossare la maglia di un gruppo rock e trasformare un violoncello in basso e un violino in una Stratocaster. I magnifici musicisti dello GnuQuartet, già compagni di viaggio in un tour teatrale di altissima qualità, tornano in scena e lo fanno per quattro pezzi bonus, quattro discorsi uno più pregno ed evocativo dell’altro, partendo con Voce del verbo, dal punto di vista di chi scrive una gemma tanto inestimabile quanto inspiegabilmente poco valorizzata della discografia di Ermal Meta: testa china a stringere tra le mani i propri limiti, un ultimo abbraccio prima di consegnarli a chi si spera sappia prendersene cura senza stropicciarli né impugnarli al primo contrasto. Una preghiera, occhi lucidi e piano in luce, a se stessi e a chi si offre di amarci, perché insieme si possano affrontare i giorni a petto in fuori, col cuore in vetrina, cicatrici esposte e solo una gran voglia di vivere a proteggerle. Sullo struggente finale strumentale, in grafica alle spalle dei musicisti, proprio quel velo, bianco, che sembra sollevarsi come ali, simbolo di un volo fragilissimo e insieme irrefrenabile, come quello di tutti noi, nati per vivere, non solo per esistere. LE PAROLE: “camminare senza fretta, fare soltanto quello che spaventa, lasciarsi vivere perché è bellezza, mandare a fanculo tutta la tristezza”.

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Quello che ci resta, quasi mai eseguita nel corso del tour estivo 2018 e conservata con cura per i live in teatro, è una sfera tanto delicata quanto evocativa: gli aranciati di una fiammella, le mani che si stringono a proteggerla per poi separarsi rischiando di spegnerla, i silenzi che in quel flebile calore cercano speranza. Poesia. Voodoo love è, invece, la risposta che lo studente presenta in formato video: la proiezione mostrata è quella di una spiaggia, dei suoi chiaroscuri, dei falò ferragostani, delle danze in gonne lunghe e piedi scalzi, della sabbia tiepida e degli occhi che riflettono scintille calde. Libertà vasta, infinita, come il mare, come il primo giorno di una vacanza, come il primo passo sulla strada di un sogno. Alle spalle di Ermal e di ciascuno degli Gnu, una sfera rossa luminosa che fa ordine tra linee geometriche: proprio un sole, forse, tra mille costellazioni. Come quello che accende Roberto Izzo col suo assolo di violino, che spezza e riscrive la melodia, colorandola di nuova passione. LE PAROLE: “senza difese il tuo respiro indosserò, che bel rumore che fanno le cose quando iniziano…”

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Le luci di Roma è una proiezione diversa: stavolta lo sguardo si sposta sulle stelle. E sì, nel buio di un luogo chiuso, illuminato artificialmente, migliaia di torce fanno giorno, ma un giorno ovattato, tiepido, come un abbraccio che si sente addosso e che fa pungere gli occhi. Le teste si voltano incredule, le labbra si tendono incontenibili in una affettuosa schermaglia con le palpebre che vincono entrambe, perché sebbene il quadro dipinto dai versi sia quello di un addio, anche se qualche lacrima scappa, è sempre su un sorriso di dolce empatia che finisce per scivolare. LE PAROLE: “volevo darti un aereo di carta da lanciare nell’aria, ho scritto lì tutti i miei sogni per vederli andare via”.

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Molto bene, molto male è il capodopera tecnico dell’intero esame-festa: Ermal decide di giocarsi l’artiglieria pesante, schierando gli Gnu e la sua band per un pezzo che ricorda il calpestio di un esercito in avvicinamento, col clangore delle percussioni e le vibrazioni degli archi. Spettacolare, vivido, viscerale incitamento ad andarsi a prendere la vita senza temerne gli scherzi infidi, sanguigno come il rosso che sempre accompagna questa performance, non a caso. LE PAROLE: “non c’è risposta se non ti chiedi mai se quello che fai sarà abbastanza, si può cadere, se non provi non sai… indietreggiare, prendi rincorsa”.

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Canzone dopo canzone, la sensazione che l’atmosfera di celebrazione stia sciogliendo l’ansia da esame finale si avverte sempre più forte: l’immaginaria scrivania posta a separare le migliaia di occhi da una parte, Ermal e i suoi compagni di viaggio dall’altra, sbiadisce come le immagini dei protagonisti di Ritorno al Futuro nella celebre fotografia, confermando la certezza che non si è mai davvero trattato di una prova da sostenere, se non nelle intenzioni dell’artista. Ma della meticolosità con la quale Ermal prepara ogni singola esibizione non è ancora giunto il momento di parlare. Sì, perché adesso è la commissione degli amici innamorati e grati a far sentire la sua voce. Ed è una voce stentorea, seppur fissata su fogli colorati e caratteri scuri: un enorme GRAZIE. Che rimbomba muto e caotico tra i settori del palazzetto, una estesissima bandiera bianca che è sì resa, ma gioiosissima, proprio sulle note di Non abbiamo armi. LE PAROLE: “se anche questa vita può finire, tutto può succedere, oppure a volte niente, e se da adesso in poi non ci vediamo più, tu abbracciami senza fine”. Esattamente ciò che i presenti hanno inteso fare. Riuscendoci meravigliosamente.

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Prima di Non Abbiamo armi, è la volta di Odio le favole, il primo, amatissimo singolo datato 2016 che ha segnato l’inizio del percorso da solista di Ermal: basta una strofa perché torni il ricordo di un viso da ragazzino, di palpebre arcobaleno, di una scommessa incerta e tenace… e il finale, Ermal e il suo sorriso compiaciuto lo sanno bene, resta grido divertito e complice. Seguono Non mi avete fatto niente, trionfatrice alla kermesse ligure nel 2018 — preceduta da un saluto corale e affettuoso dell’intero Forum al compare e complice Fabrizio Moro — , inno di coraggio e resistenza divenuto patrimonio comune di nazioni e popoli dalle bandiere e dalle lingue le più diverse, e poi Dall’alba al tramonto, spensierata e energizzante come un pomeriggio assolato, Volevo dirti, grintosa metafora di un amore che diventa scudo contro  un mondo furbo e distratto arricchita dalle sfumature jazz regalate dal sax del maestro Luca Brizzi, Schegge, affascinante e lirica dichiarazione d’amore nei confronti della Musica e della sua straordinaria capacità di contenere mondi pur restando inafferrabile, Amore alcolico, flusso di coscienza onesto e caotico che ricorda quello che spesso accompagna una sbornia, intelligente operazione sonora che nasconde tra le pieghe di una melodia solo apparentemente leggera un messaggio tutt’altro che privo di spessore.

Ogni pretesa di vestire questi festeggiamenti di qualsivoglia abito che non sia un taglio di sartoriale, grata contentezza viene meno quando partono le note di Straordinario: l’impressione che si ha è che sia arrivato il momento della torta, quando tutti gli invitati, sparsi in gruppetti in giro per il giardino o la sala, ciascuno immerso nella propria conversazione, vengono richiamati al centro e le voci dapprima individuali diventano unico coro. Quando Ermal invita i presenti ad abbassarsi per l’ultima volta,  la gioia è troppo grande perché si possa badare al pizzicore lieve della malinconia in qualche punto lì nel petto. E l’onda umana che s’accompagna con la doccia di coriandoli è il tappo che salta via, la prima fetta accompagnata da cori goliardici, ogni pensiero buio spinto ai margini dell’anima per lasciare la passerella alla bellezza di una incontenibile felicità. LE PAROLE: “andiamo insieme fino in capo al mondo, perdiamoci, ma mano nella mano, questo viaggio avrà un finale straordinario se viaggi con me”.

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Ma no, siamo ancora ben lontani dallo scrivere la parola fine. Ermal lascia il palco, solo per qualche minuto. E al suo ritorno, le note suonate costringono a posare piatti e bicchieri sul primo tavolo disponibile, per non lasciarsi distrarre: Mi salvi chi può, pezzo di chiusura dell’album Non abbiamo armi, è un ostico e dolente canto in due tempi, due stili, due modalità vocali, due intenzioni: ballad e rock, elettronica e piano, sussurro e grido, resa e rabbiosa richiesta d’aiuto. E colpisce che, forse per la prima volta, Ermal la canti quasi tutta con gli occhi aperti: rubare qualcosa dai visi di chi lo sta abbracciando smette d’essere strofa e si fa immagine, mai come in questa occasione. E quel “cazzo, da soli fa male” torna a strappare un frammento d’anima, come nell’indimenticabile concerto a Tirana del primo giugno 2018. Più che una canzone, un diamante sporco e tagliente da cercare molto in profondità, senza lasciarsi ingannare dalla sua luminosità celata sotto molte screziature. LE PAROLE: “e accettare che il senso sia solo quello che è, l’affetto muore di stenti e non si ammazza da sé […] perché da soli fa male pure l’aria, anche una goccia di buio ti avvelena un sole intero di felicità”.

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Prima dell’arrivederci vero, c’è spazio anche per il nuovo singolo, Ercole, sperimentazione di genere che rende dal vivo più di quanto faccia al solo ascolto in cuffia. E per A parte te, la bandiera invisibile dell’intera compagnia viaggiante di tappa in tappa fin dal 2016: il clima cambia completamente fin dalle prime note. Scompaiono le sedute, gli schermi, le proiezioni. E vengono sostituite da quelle che l’anima crea dietro le palpebre: cancelli, facciate di vecchie scuole, strade sterrate, il viso sorridente e trasparente di quel qualcuno che ciascuno di noi vorrebbe ancora poter abbracciare e non può, ma che sa di portare con sé in ogni vittoria e in ogni errore, testimone silenzioso di una storia che ha contribuito a costruire. Colorandosi di positività, A parte te è il vocabolario scritto da Ermal e dai suoi supporters, il codice segreto di una comunicazione esclusiva fatta di ricordi e di istantanee il cui significato profondo è noto solo a chi c’era quando sono stati vissuti e scattati. E qui, beh, gioia a parte, ignorare gli sguardi che si cercano, uniti dalla stessa patina di lucida nostalgia è un po’ più arduo. Ma accade sempre, al ” vi ricordate quando…” che chiude ogni festa d’arrivederci. Sì, malinconia. Ma dolce. LE PAROLE: “sempre sarai l’eccezione di un difetto, un respiro lento che scandisce il tempo che nessuno ferma mai. Per sempre con me sarai, nella tasca destra in alto, ascolterai ridendo ogni mio segreto che nessuno a parte te, a parte noi, ha visto mai”.

Torta, brindisi, memorie, regali scambiati: è il momento di congedarsi. Ed Ermal e la band decidono di farlo sulle note di quella che lui stesso presenta come “la nostra canzone”. In effetti, le parole de La vita migliore non potrebbero essere colonna sonora più appropriata per il momento degli abbracci e dei saluti intarsiati di promesse. LE PAROLE: “dopo un concerto si sa, brindiamo insieme alla vita, potrebbe essere questa la migliore mai avuta […] è stato bello sognare, sognare insieme”. Decine di palloni giganti riempiono lo spazio del palazzetto, rimbalzando sul palco e tra le mani di pubblico e artisti, in un gioco infantile che sembra voler prolungare all’infinito i momenti che precedono la chiusura della porta alle spalle degli invitati e del festeggiato. Ma ogni festa termina, così come ogni viaggio ha il suo approdo e il mic drop, gesto teatrale che Ermal compie a occhi e pugni chiusi, è la chiave che ruota nella serratura: poi, la sacralità dell’arte lascia spazio alla naturalezza dell’affetto puro: piovono abbracci, i “grazie” da parte di Ermal diventano troppi per poterli contare, e ci si stringe così forte che ogni goccia di malinconia si spegne sulla spalla di un amico, diventando quasi impercettibile. Meta affida al suo pubblico Andrea Vigentini e Cordio, il giovanissimo cantautore siciliano che ha aperto tutte le sue date teatrali, in un ideale, affettuoso passaggio di testimone; ancora palleggia, ancora abbraccia, ancora ringrazia a perdifiato, senza mai negarsi né negare un sorriso.

Si chiude così un concerto potente e suggestivo, caratterizzato da un caleidoscopio di visioni e universi la cui costruzione è stata affidata a schermi e proiezioni: volti scissi e cambi di prospettiva, astri e tempeste, geometrie e flussi di luce degni di uno show d’Oltreoceano; la componente umana, gli eccellenti compagni di scena — Marco Montanari e la valida new entry Simone Pavia alle chitarre elettriche, Roberto Pace a tastiera e synth, Emiliano Bassi alla batteria, Andrea Vigentini alla chitarra classica e ai cori, Dino Rubini al basso, Luca Brizzi al sax — così complici da rendere uno sguardo sufficiente a contenere interi accordi, non ha certo un peso minore nella riuscita del live e il protagonista che si diverte divertendo dimostra piena padronanza di un palco che lo scorso anno, complice lo stress post-calderone sanremese, l’ansia da prima volta e il gran numero di ospiti, sembrava aver parzialmente soffocato la sua verve e la forza del suo narrare.

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Quando le luci si spengono, accendendosi, lo scenario che si presenta è quello tipico di ogni chiusura, seppur provvisoria, della quale non si conosca con esattezza il prosieguo: volti che da sconosciuti sono diventati famiglia si osservano smarriti, alla ricerca di promesse negli sguardi altrui, della certezza che, venuta meno giocoforza la condivisione periodica di intense emozioni a scandire ritmi e addolcire pene, non ci si perderà nonostante la vita.

Non è desueto che un artista, in un momento particolarmente fortunato della propria carriera, si ritrovi a macinare date su date, e che perciò i suoi fan facciano di incontri ed eventi quasi il calendario sul quale regolare ritmi e impegni, ma il caso di Ermal Meta è più peculiare nella sostanza di quanto lo sia nella forma; in poco più di dieci anni sotto i riflettori, Ermal ha costruito due progetti paralleli e di identico valore, uno artistico e uno umano: uno sconfinato amore per la musica che è stato fin da subito richiamo istintivo e imprescindibile e non scoperta casuale da spolverare e ricostruire, il cantautore ha ricevuto in dono dalla sorte non solo un talento e una sensibilità fuori dal comune, ma anche un viso e un’anima rivestiti da un invisibile repellente che gli ha impedito e tuttora gli impedisce di indossare un qualsiasi genere di maschera, facendo di lui un abitante sui generis in un universo che ogni giorno di più spinge nella direzione di saloni di bruttezza presso i quali applicare di volta in volta il maquillage più adatto a audience, circostanze, aspettative. Così, libero e testardo, Ermal ha percorso l’asfalto bollente e sconnnesso della gavetta con scarpe di integrità e tenacia, di quelle che vengono guardate con disprezzo dai puristi del cuoio furbo e stringono i piedi fino a spaccare la pelle, ma restano indistruttibili a prescindere da quanto taglienti siano le pietre da calpestare. Musicista, frontman, poi autore, poi solista, Meta ha curato in prima persona fin dal principio con maniacale attenzione ogni singolo dettaglio del suo racconti in parole e note, senza mai lasciarsi ammaliare da alcuna sirena che non fosse il rispetto per se stesso e per il suo pubblico. Una dignità sfacciata nella sua nitidezza, che l’ha portato a esporre le proprie cicatrici senza svenderle né santificarle, semplicemente mostrandole con l’etichetta “vita”, creando così con chi lo ascolta una empatia informale e immediata, ma profonda, e scongiurando il rischio di vedersi costretto a veicolarla attraverso testi e melodie banali abbastanza da non offuscare il messaggio-cardine.

Coltissimo, curioso, studente e ascoltatore infaticabile, Meta scrive ragionando e ragiona scrivendo, sente raccontando e racconta sentendo: parte dell’ultima, fortunata generazione allattata con i cantautori con la C maiuscola e svezzata da un pop commerciale cresciuto però con robuste radici di storia musicale studiata, compresa e plasmata sulla contemporaneità, Ermal ha trasposto e continua a trasporre nella sua narrativa insegnamenti e suggestioni colti da ogni incontro e ogni scontro, cucendo con grande maestria messaggi corposi su melodie ricche e multisfaccettate anche quando all’apparenza lievi e lineari: c’è ricerca, c’è coraggio, c’è scrupolosissima professionalità. E il binario sul quale far scorrere questi vagone di sofisticata tecnica è, come si diceva inizialmente, una sincerità che non è scelta, ma esigenza, che non è tattica, ma urgenza.

Tre anni di vittorie, di sfide, di prese di coscienza, di riscontri, di cambi di rotta, di  parole cancellate e riscritte, di prospettive ribaltate e confermate: sarà molto interessante capire con quale penna e quale inchiostro Ermal deciderà di scrivere la seconda parte della sua storia solista; tuttavia, si ripartirà da una certezza: oggi come domani chi si accosta e s’accosterà alla sua musica, che la senta o meno affine al proprio modo di guardare il mondo e di respirarlo, non correrà mai il rischio di veder interposto tra il suo orecchio e i suoni della vita un filtro di commerciale superficialità o di artefatta profondità. Che non è certo una base trascurabile sulla quale edificare. Il resto, parafrasando, in fondo è tutto da scoprire…

LA SCALETTA:

Umano
Bionda
Lettera a mio padre
Piccola anima
Ragazza Paradiso
Io mi innamoro ancora
Un’altra volta da rischiare (in duetto con J-Ax)
Vietato morire
Il vento della vita
Gravita con me
9 primavere
Rien ne va plus

Il palco viene lasciato ad Andrea Vigentini, che canta il suo singolo Come va a finire

Voce del verbo (con lo GnuQuartet)
Quello che ci resta (con lo GnuQuartet)
Voodoo love (con lo GnuQuartet)
Le luci di Roma (con lo GnuQuartet)
Molto bene, molto male (con GnuQuartet e band)
Odio le favole
Non abbiamo armi
Non mi avete fatto niente
Dall’alba al tramonto
Volevo dirti
Schegge
Amore alcolico
Straordinario

PAUSA

Mi salvi chi può
Ercole
A parte te
La vita migliore

Numerose sono le fotogallery dell’evento: tra le tante, vi segnaliamo la nostra a cura di Riccardo Medana, quella di Shining Production e quella firmata Claudia D’Acunzo. Per i video, si ringrazia Laura Sordelli.

Classe ’83, nerd orgogliosa e convinta, sono laureata con lode in ingegneria dei sogni rumorosi ed eccessivi, ma con specializzazione in realismologia e contatto col suolo. Scrivo di spettacolo da sempre, in italiano e in inglese, e da sempre cerco di capirne un po’ di più della vita e i suoi arzigogoli guardandola attraverso il prisma delle creazioni artistiche di chi ha uno straordinario talento nel raccontarla con sincerità, poesia e autentica passione.

4 COMMENTI

  1. Chiara mi hai rapita con il tuo ‘articolo’ che non è solo un articolo ma il racconto di un cuore che ama la Musica. È straordinario. Vedo un grande futuro per la tua penna
    ❤️

  2. Semplicemente estasiata da una simile recensione!Complimenti davvero per la ricca,ma fluida ricchezza lessicale e per la straordinaria capacità di raccontare e far rivivere ogni aspetto più dettagliato di quella magica serata.Emozionante il modo in cui viene sottolineata l’eccezionale umanità di un artista oggi prezioso e fuori dal comune.Grazie di cuore per un simile contributo.

  3. Amo Ermal e lo seguo dai tempi de “la fame di Camilla” e sono felice che finalmente,dopo tanta gavetta, sia stato notato e stia avendo tanta gratificazione,è un’anima bella oltre che un artista straordinario.
    Questo articolo gli rende giustizia ed è scritto con amore,mi ha commossa e mi ha fatto rivivere le emozioni di quella bellissima festa!
    Grazie ! ❤

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