In principio fu Sparo Manero: no, non è l’inizio di un kolossal, ma è semplicemente il primo ricordo che mi lega a Pietro “Il Turco”, rapper romano che ormai rappresenta una vera e propria colonna del suono black italiano. Con alle spalle oltre 20 anni di attività musicale, lui rappresenta una evoluzione dinamica dell’hip hop italiano, legata però a doppio filo ad una coerente identità sia umana che musicale. Il Turco è uno che ha sempre puntato sulla sostanza sin dai primi lavori e adesso si propone nuovamente in questi giorni con il nuovo album, “Lontano”, fatto di beat che ti entrano dentro e della sua solita consueta sostanza musicale che negli anni è stato un tratto indelebile della sua anima artistica; partiamo dal passato fino ad arrivare a questo nuovo lavoro ripercorrendo l’evoluzione dai tempi del Flaminio fino ad oggi: enjoy!
Turco, la prima cosa che chiedo sempre ai miei intervistati è di suggerire un disco ai nostri lettori da mettere in sottofondo mentre si legge questa intervista: tu cosa consigli?
Mi sento di consigliare Muddy Waters di Redman!
Partiamo dal passato, allora: il mio primissimo ricordo di te è legato alla mia adolescenza, quando si passavano i pomeriggi nel Goody Music di Roma ad ascoltare vinili, e proprio in quel periodo, i Flaminio Maphia di cui tu facevi parte tirarono fuori “Restafestagangsta”…
Possiamo dire che quella fu ovviamente la prima nostra vera uscita discografica che andava oltre quei mixtape con i quali eravamo nati, è stata la prima volta che ci siamo affacciati ad un pubblico più ampio. Era il 1996 quando uscì quell’EP che conteneva “Restafestagangsta” ed altri due remix. Era un momento in cui ero molto piccolo, a cavallo della maggiore età, e ricordo davvero con molto piacere quello come un vero momento magico, dove qualsiasi cosa era nuova sia per noi che provavamo a divulgare questo suono sia per chi lo stava scoprendo dalle casse dei propri impianti stereo. Era il periodo in cui la gente era in strada e non tutto il giorno davanti al computer, per questo motivo quello del Flaminio non era solo un gruppo musicale, ma proprio un motivo di aggregazione, un centro nevralgico di incontri di razze e gusti musicali, di ceti sociali che tutti assieme convergevano verso quella passione. Era un periodo in cui anche la ricerca musicale era molto differente, graduale, fatta giorno per giorno e con i dovuti criteri, era certamente molto più difficile rispetto ad oggi ma sinceramente quello che si è ottenuto in quel modo dava sempre molta più gratificazione.
Parlando di movimenti e di aggregazione, arriviamo al Rome Zoo, un movimento grandissimo che molto presto fu conosciuto in tutta Italia da chi amava il suono black.
Era un movimento molto grande che racchiudeva più o meno tutte le realtà romane del momento, e poi ovviamente da lì ogni singola realtà ha costruito la sua propria identità artistica, ma in quel momento c’erano veramente tutte le realtà romane che convivevano nonostante magari stili differenti come magari un Colle der Fomento assieme al Flaminio Maphia, ma era davvero tanta la voglia di unirci e farci conoscere.
L’unione e l’eterogeneo sono state anche due delle principali caratteristiche dei primi Flaminio Maphia: tu, che ai tempi eri conosciuto come Sparo, G-Max, Pusha e Rude eravate secondo me 4 rapper dalle caratteristiche completamente differenti…
È vero, stili molto differenti, ma ognuno con tanto di personale da metterci; basti pensare a uno come Rude che, secondo me, era colui che incarnava maggiormente la realtà che cantavamo: è stato uno dei più veri, la sua street credibility era davvero molto efficace e noi che lo conoscevamo bene lo capivamo appieno; anche Pusha era un gran talento con un bellissimo flow. Comunque parliamo di un periodo in cui eravamo ancora troppo piccoli per renderci conto di quello che sarebbe stato il nostro futuro musicale ma ci godevamo alla grande quei bellissimi momenti.
Come scegliesti il nome Sparo?
Nell’epoca in cui tutti sceglievano dei nomi americani per le proprie tag, qualcuno cominciò a sperimentare qualcosa di italiano, ed un mio amico che si chiamava Bingo della crew CNC un giorno, su una vetrina vicino all’Alien, un locale di Roma dove andavamo spesso, cominciò a fare una serie di prove di tag in italiano tra cui c’era anche questo Sparo… mi piacque particolarmente e gli dissi che avrei cominciato ad utilizzarlo e da li divenne il mio primo nickname.
Passiamo a “Tutta sostanza”, il tuo primo lavoro da solista: non ci fu titolo più azzeccato, un disco pieno di identità e di sostanza…
“Tutta sostanza” nacque perché una mia amica di nome Federica mi disse di una sua conoscenza che stava cercando degli artisti per avviare una produzione con una sua etichetta discografica e voleva farmici parlare. Come ben sai, ai tempi non era facile trovare persone con studi di registrazione e voglia di investire sulla musica. Il suo nome era Francesco Lancia e formò questa L9 ed a Roma lui per l’hip hop fu davvero uno dei primi. In quel periodo io stavo maturando una mia identità artistica indipendente rispetto a quello che facevamo coi Flaminio e sentivo il bisogno di esprimerla, così abbiamo iniziato a lavorare assieme. All’epoca ero poco più che ventenne e seppur non sapessi ancora bene cosa stessi facendo, sentivo che lo volevo fare, sentivo che rispetto a quello che creavo con il gruppo avevo voglia di esprimere qualcosa che avesse meno la dimensione del gioco ma più una dimensione personale, senza nulla togliere ai lavori dei Flaminio, ma quello per me era il momento di esprimere qualcosa di differente e così nacque un album di tutta sostanza, da cui fu estratto il primo singolo Buongiorno A… che incominciò ad essere anche trasmesso per le TV.
Alcuni contenuti o funzionalità non sono disponibili senza il tuo consenso all’utilizzo dei cookie!
Per poter visualizzare questo contenuto fornito da Google Youtube abilita i cookie: Clicca qui per aprire le tue preferenze sui cookie.
Poi arrivò “Direzione non so dove”…
Che fu un po’ una conseguenza del precedente disco. Assieme a Francesco Lancia ed i ragazzi che collaboravano con lui abbiamo portato avanti la storia della L9 e l’abbiamo anche allargata. Dopo il periodo di transizione di tutta sostanza, avevamo uno studio migliore pronto e ci siamo messi sotto a lavorare per “Direzione non so dove” che è già un disco più adulto rispetto al precedente.
La tua crescita era testimoniata anche dalle prime importanti collaborazioni: mi viene in mente Esa che in quel momento era una delle figure più rappresentative della musica black italiana.
Sì, esattamente: oltre alla sua presenza su “Direzione non so dove”, fui chiamato anche io per un featuring sul suo lavoro “Tutti gli uomini del presidente”; le diverse collaborazioni erano veramente in quel momento un termometro evidente dell’evoluzione mia rispetto ai miei primi lavori.
Si arriva quindi alla GDB, ovvero Gente de Borgata, come nacque quella che ad oggi è ancora un istituzione nel suono hip hop della capitale.
Gente de Borgata è un progetto che essenzialmente abbiamo formato io, Dj Fester, Supremo e Simo. Fester è stato sempre uno dei dj storici del Rome Zoo e negli anni il nostro rapporto si è molto solidificato, lui era sempre il dj dei miei live, così che proprio da lui nacque questa idea… in primis da un logo venuto fuori cazzeggiando con il computer unendo la scritta all’immagine di un motorino che fu copertina del primo classico mixtape alla romana fatto di tanti artisti, ma successivamente, con il tempo, capimmo che quel concetto e quel progetto ci appartenevano molto e da lì cominciammo pian piano a scremare le collaborazioni e tutto venne fuori molto naturalmente e fu davvero soddisfacente perché fu una sorta di rinascita. Pensa che i primi lavori che facemmo per GDB nacquero a casa di Simo, con i microfoni attaccati al computer di Fester tutto in maniera molto spontanea senza starci troppo a pensare, perché è così che nascono le cose più belle ed in cui riesci ad identificarti maggiormente.
Arriviamo ad ora, e il presente si chiama “Lontano”, un disco molto intenso… come è tuo solito.
È un disco che non voleva essere un disco essenzialmente perché è nato senza la pretesa di essere tale: una volta finito il ciclo del mio precedente lavoro RapAutore, io avevo molta voglia di fare cose nuove, ma non con l’idea di fare un disco, vista anche l’immediatezza dei mezzi di comunicazione di adesso che ti consentono anche di fare singoli e lanciarli senza la necessità di doverli per forza annettere ad un album. Così tirai fuori “Disco d’oro” e senza rendermene conto nel periodo della realizzazione di questo pezzo avevo scritto tantissime altre cose che però avevo archiviato senza dargli troppa importanza. A questo si è unito il fatto che nei tempi precedenti avevo anche ricevuto molti beat che conservavo ed è stato come nel gioco dei puntini che si uniscono, tutto si è composto molto naturalmente, le strofe hanno trovato i loro beat ed è nato Lontano.
Alcuni contenuti o funzionalità non sono disponibili senza il tuo consenso all’utilizzo dei cookie!
Per poter visualizzare questo contenuto fornito da Google Youtube abilita i cookie: Clicca qui per aprire le tue preferenze sui cookie.
Ci sarà in programma anche un tour?
Assolutamente sì, ci stiamo preparando per questo studiando al meglio ogni situazione, adesso non posso anticipare molto ma ti posso dire con certezza che ci sarà questo tour e ci stiamo già lavorando per offrire uno spettacolo migliore possibile.
La mia ultima domanda di solito è sempre la stessa: se nel tuo prossimo pezzo tu potessi sceglierti un produttore ed un featuring, con chi ti piacerebbe farlo?
È una domanda molto particolare per me, perché come avrai notato il mio disco non ha featuring perché il mio è un rapporto un po’strano con le collaborazioni. Penso che attualmente c’è un po’troppo la credenza comune che sia quasi un dovere fare dei feat perché altrimenti il disco non riceverebbe le necessarie attenzioni. Prima la collaborazione nasceva dalla conoscenza e dalla voglia di confrontarsi, adesso purtroppo in moltissimi casi nasce dalla convenienza, si cerca l’artista da annettere nel proprio pezzo semplicemente per un ritorno di visibilità e questa è una mentalità che si discosta radicalmente dalla mia. Mentre per quel che riguarda il produttore, mi piacerebbe lavorare di nuovo con uno con cui ho già lavorato e che stimo tantissimo che è Big Joe, palermitano di grandissimo livello.