È difficile scrivere di Massimo Troisi, difficile per chiunque sia nato dalle nostre parti, e se poi, per uno strano scherzo del destino, ti accomuna a lui anche il cognome, la responsabilità di parlare del grande attore la senti proprio viva sulla pelle, la percepisci ancora più forte. Troisi è stato amato incredibilmente dalla sua Napoli, ma non solo, è stato amato dall’Italia intera, e di un amore smisurato, come si può amare solo uno dei suoi figli più grandi. E quest’amore così grande, per certi versi l’ho “toccato” personalmente, quando nel corso della mia (finora) breve vita, ovunque sia andata (sia in Italia che all’estero), ho sempre sentito la stessa associazione commossa al mio cognome:”Troisi, Troisi come Massimo!”. In me, puntualmente, si è sempre acceso un moto d’orgoglio, lo stesso orgoglio che accomuna tutta la nostra terra.
Ultimo vero grande baluardo del teatro e cinema partenopeo, erede indiscusso di Eduardo De Filippo e Totò, Troisi ha avuto la capacità di prendere la lingua napoletana e farla diventare la lingua del popolo, a livello nazionale, con i suoi film, i suoi sketch. Ha saputo raccontare la napoletanità meglio di chiunque altro, e ha segnato, con la sua breve ma incredibile carriera, le pagine più belle dello spettacolo italiano degli anni ’70, ’80 e metà anni ’90.
Il teatro lo ha visto debuttare ragazzino, e il primo grande successo, segnato con il trio comico cabarettistico, La Smorfia, con Lello Arena (che sarà una delle sue “spalle” preferite”) ed Enzo Decaro, lo consegna anche alla televisione, e a una popolarità nazionale. Ricomincio da tre, che segna i suoi esordi al cinema, riceve da subito l’affetto del pubblico, con una critica che tuttavia non ne comprende appieno le potenzialità. Fu con quel film che Massimo iniziò a scrivere la sua storia nel cinema nostrano, una storia incredibile e non facile da riscrivere, per chiunque altro, dimostrando, negli anni, di essere un attore completo e trasversale, capace di passare con grande facilità dalla comicità pura a tratti malinconici e di riflessione.
Nel corso della sua carriera ha lavorato con grandissimi nomi del cinema, due su tutti: con Roberto Benigni, in Non ci resta che piangere, e Marcello Mastroianni, con cui condivise la Coppa Volpi, come miglior attore, per il film Che ora è?
Il suo genio superò i confini italiani, con il film Il Postino, che lo vide girare in condizioni di salute già molto precarie (morirà infatti subito dopo la fine delle riprese). Per quel film ebbe una candidatura postuma agli Oscar, come miglior attore e miglior sceneggiatura non originale.
Grande amico di Pino Daniele, altro pezzo di cuore di Napoli e dell’Italia intera, collaborò con lui alla stesura di due testi: con piccole annotazioni contribuì alla celebre Quando (colonna sonora del suo film Pensavo fosse amore… invece era un calesse) e scrisse la poesia, O ssaje comme fa ‘o core, musicata dal grande cantautore.
Non è facile riassumere la carriera di Massimo Troisi in poche righe, perché è impossibile spiegare chi era Massimo. Massimo bisogna semplicemente viverlo. Personalmente, data la mia giovane età, non ho potuto godere degli anni in cui è vissuto, eppure mi aggrappo alla consolazione (come tutti) che Massimo sia ancora vivo, perché è vivo attraverso la sua arte, è vivo attraverso il suo genio, è vivo attraverso il suo talento, che rivediamo ovunque, nei suoi film, negli sketch, che non ci stancheremo mai di vedere e rivedere. È per questo che Massimo Troisi non se n’è mai andato veramente.