Le compulsioni che compongono il tessuto ritmico, primordiale e postumano del nuovo album di Thom Yorke dimostrano diverse cose, nel primo cuore di questa estate indefinibile.

Nell’ascolto dobbiamo per prima cosa chiederci che tipo di contemporaneità ospita, non accoglie, ma ospita, un’impresa di pensiero sonoro come questa.

Un periodo in cui chiunque parla, delegittimandosi da sé nel vuoto in cui cade, e sapendosi coevo di un cambio radicale di cui si ignora se sia patibolo collettivo o nuovo slancio.

In questo limbo di coscienze, nel cui humus parte cospicua del genere umano si disintegra interiormente in una accozzaglia di gesti privati di ogni senso compiuto, e brucia se stessa nella reiterazione ludica imposta da ciò che credeva fosse la sua scorciatoia strumentale ed è invece divenuta protesi animale, Yorke prova e rimesta un’alchimia che  in un buio melmoso insegue baluginii improvvisi e di incerta provenienza.

   La sua sovraumanità è spicciola proprio mentre è composita, infrattata in corpuscoli di materia non si sa più se originaria e biologica o solo più degenerazione cellulare.

Yorke, senza la spinta dei compagni che, a giudicare dalle sue prove da solista, sembrerebbero dunque marginare le sue evoluzioni interiori, si muove in reiterazioni ritmiche sulle quali come flagelli di spermatozoi si divincolano le melodie languidissime e filamentose da lui emesse.

  Che sia o meno l’incubo di Ballard a ispirare la genesi delle prime idee, o sia l’ansia di cui si parla ufficialmente come blocco sopravvenuto in una personalità sovraesposta alla responsabilità, o solo il necessario mescolamento di due coscienze interpretative come la sua e quella di Flying Lotus, il risultato non cambia.

Se la base su cui l’opera si è compiuta è verosimilmente una macchina di computazione odierna, della quale sfruttare appunto le possibilità di eternabili replicazioni di temi e ritmi, tale computer pare fatto di liquidi, lo si immagina bagnato e biologico, superumano, dedicato a una visitazione che vuole l’oltre come aspirazione.

  E il viaggio diventa dunque nell’inevitabile interiore.

Dove anima è anche e soprattutto consunstanziazione di corpo. Come nell’ansia, come nell’esplorazione metascientifica, in cui il corpo è insieme l’indagato e l’indagante.

 A me parendo (finalmente) più cinematografia interiore che dimensione altra della forma canzone, rimane il fatto storico che se a compiere questo tragitto necessario non fosse uno come lui, avremmo da sopportare una dura latitanza dei significati nello scenario ufficiale di ciò che rimane del pop, dopo che esso si è smembrato in milioni di interventi storicamente comprensibili e artisticamente perduti, quale è lo scenario mondiale della proposta musicale.

Come esito di questa risonanza magnetica, Yorke cerca l’umano nella classicizzazione del gesto ritmico-melodico quale urlo interiore, non necessariamente udibile.

  L’atto di esporre, o se si preferisce, “pubblicare” l’opera diviene così, per rovesciamento, una riconversione interiore della stessa: renderla pubblica per celarla, ovvero esprimerla per percorso opposto a quello della visibilità a tutti i costi, cui sembrano condannati i poseur della musica in questi anni di mutazione.

Farla risuonare significa lasciare così che l’opera compia il suo ruolo di sovvertimento delle regole che ci siamo, nostro malgrado, autoimposti, per restituirla a una urgenza che quasi più nessuno avverte, affogato nello stesso marasma di cui partecipa e dal quale vorrebbe, non si sa come, emergere.

Per Yorke, come per tutti, la via d’uscita è solo interiore.

gianCarlo onoratoMusicista, scrittore e pittore fuori dagli schemi, ex leader di Underground Life. Ha pubblicato i dischi: Il velluto interiore (1996), io sono l’angelo (1998), falene (2004), sangue bianco (2010, Premio Giacosa), ExLive (2014) con Cristiano Godano, quantum (2017), “quantum Edizione Extra” (2018), ha curato la co-direzione artistica del Tributo a Luigi Tenco come fiori in mare Vol. I (2001) e Vol. II, in “Sulle labbra di un altro” (2011), ed i libri: Filosofia dell’Aria (1988), L’Officina dei Gemiti (1992), L'ubbidiente giovinezza (1999), Il più dolce delitto (2007), “ex-semi di musica vivifica” (2013), La formazione dello scrittore” (2015). Ideatore del Seminario del Verbo Musicato, ha centinaia di concerti alle spalle e un disco, un tour e un nuovo romanzo nel prossimo futuro. giancarloonorato.it

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