È uscito lo scorso 3 maggio, su etichetta G-ROdischi/Believe, Puro desiderio, 17.mo album in studio di Teresa De Sio: passionale e appassionata interprete dei colori e dei dolori dei canti del popolo, voce inconfondibile, la sua carriera inizia ufficialmente nel 1976 con i Musicanova ed Eugenio Bennato: tre saranno i dischi frutto di questa collaborazione, tutti dedicati alle tradizioni sonore storiche del Meridione d’Italia. Nel 1982, quando l’artista ha già intrapreso da due la carriera solista, arriva l’album che porta il suo nome e che la consacra come una delle cantautrici più valide e carismatiche del panorama musicale nazionale: Teresa De Sio supera le 500 mila copie vendute e Voglia ‘e turnà resta ancora oggi un pezzo amatissimo.
Quelli che seguiranno saranno lavori discografici simbolo di una curiosità e di un desiderio di ricerca che sono da sempre cifra identitaria della De Sio: si passa dalla rilettura dei classici della musica partenopea di Toledo e regina alla world music in chiave rock di Africana, nato in collaborazione con Brian Eno, passando attraverso l’opera (Sindarella suite) e l’impegno sociale (La mappa del nuovo mondo) per arrivare alla comunione d’Arte con Fabrizio De André (Un libero cercare). Più di due milioni e mezzo di dischi venduti, però, non saziano la sete di sperimentazione dell’artista, che pubblica il suo primo romanzo, Metti il diavolo a ballare, nel 2009. A esso farà seguito, nel 2015, L’attentissima.
Tra note e pagine, Teresa rappresenta da più di quarant’anni una combattente (lo scorso 27 giugno è stata tra le protagoniste di Femminile plurale, la manifestazione ideata dal giornalista e scrittore Michele Monina e da Tosca per promuovere e valorizzare il mondo cantautorale femminile, ancora inspiegabilmente relegato a una indegna subalternità rispetto al corrispondente universo maschile) dall’anima rock e poetica insieme, capace di tradurre con commovente e grintosa intensità istanze e suggestioni di storie senza storia, conferendo loro dignità, potenza e struggente veracità.
Nel nuovo album, il suo sguardo torna alla fonte di ogni emozione: la propria anima. Puro desiderio, infatti, è un viaggio che a volte prende la forma di una passeggiata su un manto erboso (Sarebbe bellissimo, Sorridi, L’amore, l’attimo, il treno, Mia libertà), a volte quella di una corsa su un terreno sconnesso e irto di trappole (Certi angeli, In un soffio di vento), a volte di una sosta in spiaggia per far pace con un cielo troppo scuro (Il pane della domenica, Puro desiderio, Quante nuvole), a volte di un ballo liberatorio sotto la pioggia (Tot le chanzòn), la cui costante è rappresentata dal un flusso di malinconia che scorre sottotraccia, diventando fertilizzante per nuovi sogni e un tenace (ri)costruire. Un disco di altissima qualità, tanto intimo quanto ricco d’energia, anzi, d’energie, anche sonore, ritratto dettagliato di uno spirito coraggiosamente fragile e impunemente, selvaggiamente innamorato della vita e dell’Arte, che della vita è linfa lasciandosene al contempo nutrire.
Ecco le parole con le quali Teresa presenta l’album, il cui primo singolo estratto è Sarebbe bellissimo: «Questo per me è un disco molto importante. Segna il passaggio in una nuova era della mia creatività. Probabilmente anche una nuova era della mia vita. Io che ho sempre raccontato le storie dei più, le storie degli altri, quelle che il presente e la grande Storia del nostro paese mi hanno insegnato a guardare, in questo disco ho aperto una nuova, per me inedita, riflessione su me stessa, sui sentimenti, su profondità dentro cui fino ad oggi non avevo voluto guardare. Sulla mia/nostra capacità di desiderare. Il desiderio muove tutto. Il Puro Desiderio è una forza motrice dell’anima, dell’amore, e di tutte le battaglie. Senza la forza del desiderio la vita va in stallo. Nuove anche le sonorità: un suono prevalentemente elettro/acustico, molto contemporaneo, potentissimo e innovativo realizzato insieme a Francesco Santalucia, a sottolineare una nuova, vertiginosa ed appagante ripartenza. Ghemon vi è entrato subito, con la gentilezza ed il talento che gli appartengono e che lo rende unico tra gli artisti della sua generazione. Un featuring, un’amicizia nata sul palco: la scoperta di una comune sensibilità artistica e umana».
IL VIDEO DI “SAREBBE BELLISSIMO” E LE DATE DEL TOUR
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(Calendario in aggiornamento)
19 luglio – Termoli, Teatro Verde
20 luglio – Roma, Casa del Jazz
26 luglio – Varigotti (SV), Varigotti Festival
28 luglio – Palermo, Teatro Biondo
12 agosto – Noci (BA), Piazza Garibaldi
14 agosto – Ravello
1° settembre – Mendicino (CS), Radicamenti Festival
LA NOSTRA INTERVISTA:
Ha raccontato che Puro desiderio, arrivato a sei anni di distanza dal suo ultimo album, rappresenta un nuovo inizio: perché? Com’è nato?
Chi mi ha sempre seguito sa che negli ultimi dieci anni ho lavorato molto intensamente sulla riproposizione — creativa e da me riscritta — del folk rock. Questo disco, invece, ha delle sonorità e una modalità di scrittura completamente diverse. Intanto, nasce dal fatto che, come artista, mi sento uno spirito libero, una viandante della musica, dunque devo andare a esplorare, a vedere, devo essere costantemente in fase creativa perché possa essere anche ricreativa, o mi annoierei a fare sempre la stessa cosa. Vengo da quattro anni durante i quali la mia vita è stata abbastanza difficile e mi sono successe delle cose che mi hanno allontanata dalla bellezza: una brutta separazione, una serie di disavventure… sa quando si dice che le disgrazie non vengono mai da sole? Ecco, purtroppo. Così sono entrata in uno stato dell’anima molto buio e temevo che non sarei stata più in grado di produrre musica. Tant’è vero che l’unica cosa che ho prodotto, nel 2017, è stato il disco-omaggio a Pino Daniele “Teresa canta Pino”, un progetto molto bello e impegnativo, ma che non chiamava in ballo la scrittura tranne che per “‘O Jammone”, il pezzo che ho dedicato proprio a Pino. Poi, per fortuna, tutto cambia: si sono riaccese le luci e sotto queste nuove luci sono tornata a scrivere in un modo totalmente diverso da prima. Diverso perché per la prima volta mi sono lasciata andare e ho scritto un disco di sentimenti. Un disco sui sentimenti, sul desiderio , sulle passioni, anche sul dolore, sugli abbandoni, sui ritrovamenti, su tutto ciò che parla in prima persona di me, mentre prima raccontavo storie più legate all’epica, alla Storia, con un linguaggio anch’esso più epico, più oggettivo. Chiunque in questo momento potrebbe prendermi in giro dicendo “ma come, sei arrivata a quest’età e non avevi mai pensato di poter scrivere dei tuoi sentimenti?”, e la mia risposta sarebbe no, perché io ho sempre considerato la canzone e la musica come un luogo di combattimento; adesso, invece, per me è un luogo d’amore.
Questo suo rivolgere lo sguardo verso se stessa si sposa, nell’album, con sonorità che non sono quelle che tipicamente vengono associate all’intimismo…
Non avrei potuto cambiare la narrazione senza cambiare le sonorità. Per me “intimismo” non ha mai significato sussurrare piano piano lamentandosi: parli del più profondo di te e se nel più profondo di te c’è un’esplosione, quella esplosione devi tradurla in musica. E siccome tutto questo disco per me è un’esplosione interiore, non poteva che suonare in questo modo.
Da cantautrice appassionata ed esperta di musica folk, se le chiedessi d’indicarmi quali sono le differenze più degne di nota nell’espressione del sentire tra la musica cantautorale e quella popolare, cosa mi risponderebbe?
La musica popolare tradizionale è sempre una musica che porta in sé un carattere collettivo, è sempre una musica di denuncia, antagonista, mentre lo stesso non si può sempre dire del cantautorato italiano. Esiste poi la questione degli stili, che non possiamo trattare in questa sede perché si tratta di un mare vastissimo. Ed esiste poi il discorso sui dialetti che, come dicevamo prima, in un luogo di combattimento nascono e forgiano se stessi intorno a una condizione e a una necessità: la condizione è quella di rappresentare il linguaggio parlato da chi è escluso dal grande processo della Storia politica, economica e culturale, e la necessità è quella di non farsi capire dalla cultura ufficiale, che oltre alla lingua vuole importi anche un pensiero.
A proposito di questo, nel suo pezzo In un soffio di vento, scritto in collaborazione con Ghemon, si legge: “chi non ha niente si prende il mondo, se non aspetta dormendo che cambi il vento”. Crede che in questo mondo sia ancora possibile una rivoluzione che parta dal basso?
Credo non sia possibile nessun’altra rivoluzione: semmai dovesse esserci un grande movimento popolare — e sì, questo è un disco d’amore, ma il mio “Puro desiderio” è anche un desiderio di chiarezza, di libertà, d’indipendenza —, dovrebbe trattarsi del movimento di un popolo che sa e che comprende, non di questa popolazione italiana che gli ultimi trent’anni hanno distrutto attraverso i mezzi di comunicazione, attraverso il tentativo di un taglio totale con la nostra storia pregressa e di azzerare qualsiasi forma di appoggio alla cultura: io non sento nessun politico vivente pronunciare la parola “cultura” da anni e anni e vedo promuovere roba abietta, programmi televisivi abietti, che servono soltanto a sottrarre forza all’intelligenza collettiva. Quindi dobbiamo lottare, sì.
In L’amore, l’attimo, il treno, lei dice di cercare solo “parole luminose e semplici”: citerebbe qualcuno, se le chiedessi chi le ha detto, nel suo viaggio artistico, quelle che hanno maggiormente informato tutto il suo percorso?
Non saprei veramente: io sono il frutto di me stessa… certamente, anche di tanti incontri fortunati, perché io sono stata sia fortunata, sia capace di avere incontri e collaborazioni con personaggi strepitosi — da Brian Eno a Fabrizio De André, da Giovanni Lindo Ferretti a Ivano Fossati, da Vecchioni a Piero Pelù — e quando s’incontrano persone di spessore, si dà e si prende. Inoltre, questo testo è soprattutto una canzone d’amore, quindi in quel “luminose e semplici” c’è la speranza di trovare un uomo che sappia parlare proprio così, che non ti mostri soltanto meravigliosi trailer e poi ti dimostri di non essere in grado di girare il film.
Mia libertà, dal testo molto intenso, suona come una nuova conferma di quella costante ricerca di una autonomia personale ed espressiva che sempre ha rappresentato un cardine, nella sua storia. Se le chiedessi cosa significa oggi, per lei, essere una donna e un’artista libera, cosa mi risponderebbe?
Dal punto di vista artistico, per me l’esercitare la mia libertà si manifesta nell’aver fondato, 15 anni fa, una piccola etichetta discografica insieme alla mia ex manager, Maria Laura Giulietti, al mio fianco per trent’anni, che purtroppo adesso non c’è più e che ha rappresentato una grandissima spalla per me. Grazie a questa società, che si chiama Core, ho potuto produrmi da sola i miei dischi, i miei concerti, e questa è una forma totale di libertà dal punto di vista creativo. Dal punto di vista professionale ed economico, è stato tutto molto difficile, ho dovuto fare tantissime rinunce e moltissime ne faccio ancora, ho dovuto dire moltissimi no perché volevo fare quello che dicevo io. Dal punto di vista artistico e come donna, invece, questa scelta ha determinato una crescita esponenziale: quando lavori su quello che vuoi veramente, senza nessuno che ti poni ostacoli, tu dai il meglio. E cresci, perché gli ostacoli te li dai da sola, e li devi superare per forza.
Perché ritiene che la title track sia il pezzo che più di tutti racchiuda il senso dell’album?
Tutti i pezzi mi rappresentano, ma in “Puro desiderio” sono riuscita a mettere in campo una sintesi narrativa: ovviamente, è la canzone di una persona che è stata abbandonata e che non ha più nulla, e c’è questa frase in cui dico “sono solo una bambina che ha perso il cielo, però rimango puro desiderio”… ecco, ho pensato che raccontasse molto bene ciò che ho vissuto negli ultimi due anni e in questa fase di abbandono affettivo che ho dovuto subire. Credo che quando uno di noi viene lasciato, si rinnovi quell’antica paura che avevamo da bambini di perdere i genitori: ricordo che una volta — ero piccolissima, avrò avuto quattro o cinque anni — trotterellavo dietro mia madre e mio padre per strada. A un certo punto, loro hanno deciso di farmi uno scherzo e si son nascosti dietro un albero: ma non si fa! Ricordo come fosse ieri questo terrore, questa paura che non li avrei rivisti mai più! Qundi la condizione abbandonica — o il timore di ritrovarci ad affrontarne una — che abbiamo vissuto un po’ tutti da bambini è come un’eco che arriva anche in età adulta e può riportare a galla quelle sensazioni ogni qualvolta si manifesti una rottura in campo amoroso.
Quante nuvole è l’unico testo interamente in napoletano: al di là del discorso che facevamo in precedenza, relativo al dialetto come arma di ribellione contro una cultura , cosa ritiene che lo scrivere nella propria o in un’altra lingua locale aggiunga, dal punto di vista emotivo?
Ogni dialetto è un sistema di segni che rimandano a una visione della vita che è simile, ma non uguale, alla visione della vita alla quale rimanda la lingua ufficiale. Sono universi vicini, che periodicamente s’incontrano, ma restano differenti. Così, ci son cose che io posso dire in napoletano cose che non potrei mai dire in italiano, e viceversa. In questo album c’è un pezzo, “Tot le chanzòn” , nel quale canto davvero in tutte le lingue, ma volutamente storpiate, giocandoci. In verità, nasce come un cazzeggio… ma nel corso del cazzeggio, mi son resa conto che stavo facendo una cosa che poteva diventare bella, particolare, pur restando nell’ambito dell’ironia e del divertimento. E così, il gioco si è solidificato intorno all’idea di creare un “panliguaggio” inventato nel quale potesse riconoscersi chiunque avesse voglia di farlo. Mi son lasciata un po’ andare, e probabilmente eseguendola dal vivo mi lascerò andare anche di più, perché la considero una canzone “aperta”.
Sarebbe bellissimo è stata scelta come primo singolo perché trova rappresenti appieno lo spirito dell’album, quella speranza che sopravvive tenace a ogni dolore?
Diciamo che questo pezzo rappresenta secondo me molto bene il cambiamento che caratterizza tutto il disco: ecco, questa è una canzone scritta con parole luminose e semplici, con un testo che può comprendere chiunque e che, sebbene parli della parte più profonda di me, credo sia fortemente condivisibile. Ho creduto fosse il piede migliore col quale partire. Seguiranno sicuramente altri singoli: intendo dare battaglia, con questo disco, perché per me è un disco importantissimo.
Sta già dirigendo il suo sguardo verso nuovi orizzonti artistici?
Per ciò che riguarda l’aspetto musicale, mi sento su una strada abbastanza giusta, che mi piace, dunque le prossime cose che farò saranno più o meno orientate in questa stessa direzione. Contemporaneamente, però, sto scrivendo il mio terzo romanzo: la letteratura ti fa scoprire dei luoghi interiori nuovi, perché la canzone ha necessità di sintesi, come fosse una fotografia col flash, invece la narrazione è un lungo film, un’esperienza magnifica. Aver scritto 18 album non equivale a scrivere un romanzo, in termini di ampiezza del campo nel quale giocare. Il problema è che sono molto lenta e molto pigra, ma alla fine anche la lumaca arriva dove aveva pianificato di arrivare.
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