A house somewhere on foreign soil/Where ageless lovers call,/Is this your goal, your final needs,/Where dogs and vultures eat, /Committed still I turn to go

A Means To An End, Joy Division, 1980

   Il fatto che persino Ian Curtis fosse stato sposato, e nonostante il tormento dell’arte e tutto il resto, avesse tentato disperatamente di avere una vita normale, fa riflettere sull’urgenza imposta dalla musica e sulla sua natura travolgente. Tutti questi adolescenti bruciati dall’orgasmo mistico della creazione, che ne faranno in verità della propria vita? Le copertine di Joy Division fanno un passo verso una lettura eterna e insieme cupamente fuggente dell’esistenza. Non che non sia stato fatto prima. Probabilmente non vi è nulla che non sia stato fatto prima. La storia del pensiero è una spirale che dura da sempre. Tuttavia, che ad accogliere un’estetica totalizzante nel principio della morte, a rimarcarla e a farne un tale bacio frontale fossero dei ventenni, tocca le corde della poetica più pura, poiché la radice di ogni poetica è la consapevolezza della morte come dato non solamente universale, bensì precipuamente tuo. Personale. Per questo avere per la prima volta tra le mani un disco che riproduce in copertina forme che rilanciano la polita visione dell’oltrepasso come sorta di sigillo finale del tempo, è qualcosa che colpisce. Anche il semplice bosco innevato riprodotto sulla copertina di She’s Lost Control/Atmosphere avrebbe restituito la stessa idea: la natura colta nella morte apparente della neve come distesa di ordine naturale, venuta a suggellarla, fermando ogni bellezza in una rappresentazione che vale per sempre e per ogni cosa, era un avvenimento in grado di addolorare elegantemente. Puoi vedervi Ian Curtis che soffre davanti al microfono, il suo volto emaciato, il suo volto sudato, la sua bellezza di bimbo antico e ammalato, i capelli impastati, gli occhi scurissimi, le ombre a truccarne i lineamenti. La musica smette di essere divertimento, se mai lo fosse stato, per tradursi in convergenza verso tutti i significati.

  Quando Closer arriva, è già il sigillo posto a una bellezza troppo intensa perché potesse durare a lungo. Curtis era scomparso solo due mesi prima, e l’onda della sua morte aveva fatto sì che il mondo si accorgesse di quanta luce abbacinante fosse contenuta in quell’ultima prova. L’apertura affidata a Atrocity Exibition è spiazzante, secca, ritmica, per lasciare presto il posto ai due quarti della drum machine macerati dal basso e bagnati dalle tastiere in Isolation, prima che faccia ingresso la batteria, che nella successiva Passover sarà invece introduttiva nel suo bagno di eco breve alla voce perentoria. Chitarra e basso s’intersecano nel Mi minore di cui vive Colony con il riff di chitarra asciutto nel deserto armonico, poi avanza la cadenza in ottave del basso e il modulo fisso della batteria in A Means To An End, coi versi “I put my trust in you” a precedere un rallentamento del nastro che ne decreta la fine. Nella struggente cartilagine di tastiere e con l’ostinata frase del basso suonata in ottava alta, si materializza la voce di Heart and Soul, dalla cui coda sale il riff in bicordi di chitarra sospeso sul Re minore, e con l’invenzione di un’eco che esalta nel finale i rimbalzi del rullante. Twenty Four Hours ha un solenne inizio per trasformarsi in una cavalcata punk col reiterato giro sui tom sulla prima strofa e frenare nuovamente sulla seconda, per poi raddoppiare nuovamente e ancora frenare all’ultimo. Quando giunge The Eternal, annunciata dal bisbiglio ancestrale come di cicale e dalla cadenza funebre del basso crudo che introduce il passaggio dolente di cori sintetici, sui quali fraseggiano poche acute note di piano, il La minore fisso in cui galleggia la voce di Curtis, convoglia il disco verso la zona neutrale e assoluta in cui andrà a posizionarsi. Infine Decades, in cui il riverbero lancia le pulsazioni di percussione che frazioneranno il tempo su cui basso e chitarra faranno da sordo tappeto per la nascita di tastiere ritmiche, accogliendo così il canto: “Here are the young men, the weight on their shoulders/Here are the young men/Where have they been?”. Chi poteva mai dire che Ian Curtis avrebbe salutato il mondo con quegli ultimi versi di spaesata interrogazione: “Where have they been?/Where have they been?”. E dove saranno mai state le coscienze che hanno maturato tanto angoscioso sentimento delle cose?

   Gli elementi biografici parleranno in seguito di un gruppo affiatato di giovani, apparentemente disinvolti e allegri come qualunque compagnia, persino durante la realizzazione di un simile disco. Alla sua uscita, il 18 luglio 1980, a due soli mesi di distanza dal suicidio del cantante, già la sola formulazione della copertina, basata sulla pulizia eccelsa del monumento funebre della famiglia Appiani, fotografato da Bernard Pierre Wolff al cimitero monumentale di Staglieno a Genova, non lascia spazio ad altre letture. Sottolinea la sua natura di opera luminosamente definitiva. Oltre non sarebbe stato possibile andare.

   Specie di mitologia tornata per annunciare sinistramente la propria lucente veridicità, i Joy Division sono la vera misura della decade.

Così rifletti: avete avuto, poco più che bambini, il dono di cogliere il soffio indicibile del nulla, che ha svolato appena sopra le vostre teste, un arcangelo il cui peso non vi è stato dato misurare. Sinistro, bianco, meravigliante. Sei stato della generazione che ha sentito il lutto per la morte di un bambino-cantante come l’annuncio di una bellezza troppo pesante da reggere.

gianCarlo onoratoMusicista, scrittore e pittore fuori dagli schemi, ex leader di Underground Life. Ha pubblicato i dischi: Il velluto interiore (1996), io sono l’angelo (1998), falene (2004), sangue bianco (2010, Premio Giacosa), ExLive (2014) con Cristiano Godano, quantum (2017), “quantum Edizione Extra” (2018), ha curato la co-direzione artistica del Tributo a Luigi Tenco come fiori in mare Vol. I (2001) e Vol. II, in “Sulle labbra di un altro” (2011), ed i libri: Filosofia dell’Aria (1988), L’Officina dei Gemiti (1992), L'ubbidiente giovinezza (1999), Il più dolce delitto (2007), “ex-semi di musica vivifica” (2013), La formazione dello scrittore” (2015). Ideatore del Seminario del Verbo Musicato, ha centinaia di concerti alle spalle e un disco, un tour e un nuovo romanzo nel prossimo futuro. giancarloonorato.it

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