Una succosa manciata di recenti album per la benemerita etichetta Alfa Music, indiscussa fucina del jazz italiano, vede come protagonista la formazione a quattro. Ve ne proponiamo una veloce analisi, come invito all’ascolto di opere piacevoli e ben articolate, espressione di sei poker artistici — qua e là allargati — formati sia da musicisti dalla ricca esperienza, sia da giovani, interessanti debuttanti.

Riccardo Federici Quartet
Istante (Alfa Projects/Egea)
voto: 8
L’ingegnere Riccardo Federici come sassofonista predilige l’alto, lo strumento di Charlie “Bird” Parker, ma del mitico genio del bebop il 29enne musicista marchigiano recupera solo i sapori più interiori e malinconici, elaborandoli secondo la lezione di giganti che hanno preferito il tenore e la cantabilità dell’esposizione e del fraseggio. Citiamo necessariamente il primo Wayne Shorter (poi specialista del soprano), di cui riprende la bella Down in the depths, e grandi “narratori” come il John Coltrane modale (peraltro ottimo contraltista) oppure lo Stan Getz meno brasileiro. Riferimenti a parte, questo debutto propone una vena lirica inusuale: si muove In a sentimental mood, citando lo standard ellingtoniano che Riccardo elabora con finezza grazie anche al pianista Andrea Saffirio, altro elemento di ottime speranze. Tutto il cd — a cui contribuisce come guest in tre brani il trombettista Alessandro Presti — si ascolta così come si leggono certi preziosi romanzi brevi: accompagnati per mano dall’autore lungo sottili transizioni verso un finale che rimane sconosciuto. Hard bop modernissimo, soffice e dianoetico, potrebbe essere la perfetta colonna sonora di Amore della scrittrice norvegese Hanne Ørstavik, un romanzo da cercare.

Aldo Joshua Quartet
From Rome To Cracow (Alfa Projects/Egea)
voto: 7/8
Nei Paesi che un tempo chiamavamo dell’Est perché soggetti a un regime diverso da quello occidentale, il jazz prediletto è quello swingante ed effervescente di diretta derivazione hot, quello più emotivo della rivoluzione bebop e quello intimo della stagione del cool. Perciò i musicisti di quei Paesi, nel nostro caso la Polonia, sono per la maggior parte — ovviamente come ogni regola anche l’affermazione di cui sopra ha consistenti eccezioni — dediti a queste coniugazioni, che spesso studiano in conservatorio, della musica afroamericana. E se un artista italiano rotto a mille collaborazioni (su Facebook le elenca tutte, completando un’intera pagina di nomi scritta fitta fitta) come il trombonista napoletano di nascita ma romano fin dall’adolescenza Aldo Iosue in arte Joshua si trova a suonare spesso e volentieri a Cracovia con una terna di musicisti locali, deve proporre un repertorio che vada con intelligenza e savoir faire in quelle direzioni tanto “canoniche” quanto sempre piacevolissime. E lo fa con tutta la sua esperienza e le sue influenze, proponendo un jazz “ortodosso”, che mette se stesso e i compagni, in particolare il bravo chitarrista Mateusz Szczypka, nella condizione di brillare in assolo calibrati quanto congruenti.

Ileana Mottola
All My Tomorrows (Alfa Projects/Egea)
voto: 8
La vocalist di Salerno vira decisamente verso il jazz, dopo che il suo primo album come cantautrice ne aveva messe in mostra le buone doti. In questo lavoro, che prende il titolo dall’evergreen di Frank Sinatra — proposto a suo tempo in una versione da brividi da Shirley Horn — posto in chiusura, emerge la sua vena di interprete qualitativa quanto attenta, partecipe quanto elegante. Ad affrontare un repertorio altissimo, che da un lato è piacevole comunque a meno di (mal)trattamenti dilettanteschi, ma dall’altro ti pone a confronto con interpretazioni che fanno tremare i polsi, la brava Mottola è aiutata da un trio brillante: Julian Oliver Mazzariello al piano, Antonio de Luise al contrabbasso e Amedeo Ariano alla batteria, cui si somma la scintillante tromba di Fabrizio Bosso in pressoché tutti i brani. Tutti celebri, dall’ellingtoniana In a sentimental mood alla Stompin’ at the Savoy proposta anche da Judy Garland e Sarah Vaughan, dalla messicana Sabor a mi all’errebì Hit the road Jack di Ray Charles, dal blues di I just wanna make love to you all’iniziale The good life del francese Sacha Distel e di Tony Bennett. Varietà e intelligenza a piene mani, con spiragli di ottimo jazz.

Pierluca Buonfrate
Words (Alfa Music/Egea)
voto: 7/8
A cantante donna facciamo seguire un vocalist uomo, più esperto, affermato docente e corista, che quindi non necessita di una sorta di variegata presentazione com’è il disco precedente. Eppure questo Words rappresenta il debutto da leader per Pierluca Buonfrate, che vanta collaborazioni con tutta la scena jazz romana e non aveva ancora trent’anni quando iniziò a insegnare canto nelle varie scuola di musica della capitale nel 1994. Si tratta di un progetto preciso, per nulla di facile compilazione: proporre una serie di brani cantati più da crooner che da sperimentatore — solo nel duetto con Gegè Telesforo The darkness e in pochi altri momenti ascoltiamo lo scat, ovvero il susseguirsi di parole brevi e inventate che eseguono il tema e le variazioni — ispirati agli assolo di Miles Davis. Operazione complessa e articolata, cui contribuiscono la mano preziosa del pianista e arrangiatore, sempre a fuoco in ogni sua presenza, Ettore Carucci, la precisa ritmica Puglisi/Arnold e gli opportuni interventi dei sassofonisti ospiti Michael Rosen e Vincenzo Presta. Il rapporto con il “divino” trombettista lo si recepisce come un feeling variabile: si passa da una diretta adesione a momenti in cui non è immediatamente percepibile, se non proprio aleatorio, il che depone a favore di Buonfrate, dimostrandone la capacità di superare ogni cliché, anche quelli autoimposti.

Note Noire Quartet
Nadir (Alfa Music/Egea)
voto: 8
Fisarmonica (Roberto Beneventi), violino (Ruben Chaviano), chitarra (Tommaso Papini) e contrabbasso (Mirco Capecchi) per questo ensemble che fa riferimento all’estetica manouche e insieme alla forza delle blue note, che conosce appieno le mille tentazioni sonore del Mediterraneo e insieme vola verso angoli inusuali del mondo latino, senza dimenticare Parigi e “l’isola delle ninnenanne”. Giunti al terzo album, i quattro hanno trovato un’organizzazione estetica e un equilibrio espressivo di livello, senza scendere ai compromessi “piacioni” cui sono abituati i gruppi gypsy e neppure alle “manovre” finto-culturali di certo crossover. Loro ormai fanno ricerca evoluta e offrono composizioni originali di classe, che, partendo dai riferimenti iniziali — espressi nel loro cd di debutto Incontri —, sviluppano discorsi e proposte originali, vibranti, cosmopolite. Elaborazioni personali della musette francese si alternano a visioni cameristiche del sound di Goran Bregovic, suadenti blues incrociano spunti malinconici afrocubani, ritmicità da danza greca sostengono voli jazzistici obliqui alla maniera del Sugarcane Harris del periodo zappiano. In un continuo confrontarsi di colori e di sapori espressivi, che sviluppano caleidoscopiche illuminazioni.

Nicola Mingo Quartet
Blues Travel (Alfa Music/Egea)
voto: 8/9
Onore al maestro. Anzi ai maestri. Nicola Mingo è oggi il chitarrista jazz italiano di maggiore peso specifico e la coppia ritmica, Giorgio Rosciglione e Gegè Munari, che lo accompagna è talmente navigata e “matura” che il pianista Andrea Rea, vincitore del premio Urbani nel 2007 e titolare di quattro cd in proprio, tra cui il recente Andrea Rea Trio per l’etichetta newyorchese Dot Time, fa la figura del pivello. Questo ottavo album del musicista napoletano è un lavoro “classico”, che fa diretto riferimento al suo nume tutelare, il mito Wes Montgomery destinatario della multiforme Wes Blues, e che farebbe la sua figura nel catalogo dell’etichetta Blue Note, la più importante degli anni ’60 e del post bop. Tredici brani, sei standard di quel periodo — tra cui Jingles dello stesso Montgomery, Minah bird blues dell’altro megachitarrista George Benson e Speak low di Kurt Weill, molto amato da John Coltrane — e sette composizioni pregiate di Mingo: il tutto in un continuum di variazioni emozionanti sulle tematiche multiformi del blues, trampolino per evoluzioni sempre precise e per una ricerca sia tematica che espositiva, in formule più melodiche (To Pinot, ispirato a Pino Daniele), più funky, più swing, più essenziali (il duetto finale con Rosciglione).