Seberg di Benedict Andrews (fuori concorso) è il “J’accuse 2” della mostra di quest’anno. Un biopic che insegue la breve e rovinosa avventura hollywoodiana di Jean Seberg, ragazza americana che in apparenza incarnò il sogno americano, ma grazie al successo datole dalla Nouvelle Vague francese (è lei la mitica compagna di Belmondo in Fino all’ultimo respiro). Richiamata negli Usa per lavorare in un musical mentre a Parigi esplode il 68 non nasconde le sue simpatie politiche per le Pantere Nere e la sua storia d’amore con un militante vicino alla vedova di Malcolm X. Come le rinfaccia qualcuno forse più turista incosciente che pasionaria. Risultato? I servizi segreti e l’FBI la mettono subito sotto indagine, perché finanzia gruppi politici pericolosi e soprattutto perché fa sesso interrazziale, lei sposata con lo scrittore Romain Gary, con un uomo nero e sposato. L’ossessione del controllo la porterà a un tentativo di suicidio e anni dopo a una morte quanto meno sospetta. Il dispositivo del film è che il più perplesso del trattamento a cui la Seberg viene sottoposta sia un giovane specialista di spionaggio sonoro, uno che per mestiere deve controllare le vite degli altri.
Venezia 76. Seberg
Vita e morte di Jean Seberg, distrutta dalla moderna inquisizione politica