rimasto solo, io sono con chi più temo”.

(I Can’t Escape Myself, The Sound, da “Jeopardy”)

 

Questa è la musica del nostro tempo. La musica del nostro tempo, del nostro tempo, nel tempo. Tempo.

– Amico, cosa ti turba? Hei cara, cosa chiude il tuo orizzonte? Non c’è niente che non si sia già visto, solo che ora è questa la musica, la musica del nostro tempo. Devi sentirla anche tu. Vuoi? Siccome comunque sia tu devi sentirla, allora te la dirò.

Qui è identico a dove stai tu, con la sola differenza che a pochi chilometri, qui dietro casa, si dice esserci una specie di apocalisse.

Ci sto pensando, mentre lavoro, e penso con tenerezza alla passività inevitabile delle creature che abbiamo sotto di noi, gli allievi, gli studenti, i figli, che da noi dipendono, e il padre naturale in me si sveglia, così voglio dirti che, stando al mio intuito, propendo per credere che questo collasso madornale non serva.

Lo so, occorre cautela, ce lo diciamo l’uno con l’altro, ma d’altra parte, come tutti, vedo molti degli addetti ai lavori, medici, scienziati ed affini, reagire allo stesso identico modo dell’ultimo ignorante e pauroso dei cittadini.

Se poi consulti professori titolati e li metti a confronto, le versioni dei fatti sono talmente contrastanti, e le considerazioni che ne seguono, – che sia vero ciò che dice chi esaspera o ciò che dice chi minimizza, – sono talmente gravi per le sorti della collettività che, tornando alla propria visione di mondo, l’ultima a cui dare retta, quella intima, quella che costituisce il timone personale ed insostituibile, la mia conclusione è che il mondo come lo pensavamo, come lo immaginavamo deducendolo dalla storia, non esiste più.

Il mondo è sostituito ora da una molteplicità di mondi, tutti coesistenti e tutti plausibili, nessuno autorizzato, in quanto nessuno di noi è più in grado di trarre conclusioni sensate, definitive, esaustive.

Il provvisorio di cui è permeato il pensiero, è “l’usa e getta” che detronizza ogni teoria l’attimo dopo che è stata formulata.

Quanto a me, ascolta, ho fatto ieri un funerale personale, intimo, invisibile al resto del mondo, ad una vespa che era venuta a morire in casa mia, e che ho avuto la sorte di vedere agonizzare nel palmo della mia mano.

Sono uscito prima di sera, la luce era livida e nel campo di granoturco abbandonato, tra le nuove inflorescenze spontanee, minime, una diffusa peluria violetta e giallina del terreno che conferma i cicli naturali della vita, col sottofondo di un suonatore di tromba che ogni sera alle 18 circa intona dal balcone alla campagna “il silenzio” seguito da “fratelli d’Italia”, la mia piccola vespa che ho restituito a una terra anonima e fessa nel suo essere materia indifferente, mi ha consegnato il peso della mia compassione per le cose che contano ma lo stesso non sappiamo più tenere con noi. In noi.

Sono serenamente convinto che, al presente, il mondo non sappia più raccontarmelo nessuno. E questa ingiustizia urla dal profondo del narratore che è in me, che detesta sentir parlare a caso chiunque, e che pensa mesi e a volte anni prima di emettere una qualunque forma di pensiero attivo.

In fondo, nel fondo più nudo e vero, questa e solo questa, precipuamente, unicamente questa è la storia che io so vedere con nitidezza, ed è la storia che mi ha sempre accompagnato e costretto a ridisegnare il famoso mondo secondo un tracciato mio, in quanto orfano di mondo.

Il mondo ci lascia senza più alcuna genitorialità, ci abbandona ad un campo brullo in cui far ricrescere ciò che puoi, e tutto il resto che ci si può far raccontare, o ci viene raccontato nostro malgrado, conta ben poco.

Così io credo inutile cercare di spremere la verità da chi non la sa a propria volta, o la conosce poco, come te, ma è soltanto impegnato a vendere in qualche modo ciò che ha imparato a pensare come il proprio “mestiere”.

Tutti vendono il proprio mestiere.

Anche quando si tratta di fingersi esperti di cose specifiche, delle quali si può solo sapere sino ad un certo punto, oltre il quale non si va, e anche quando il proprio mestiere riguarderebbe cose per tutti basilari come la cura, persino in quel caso che noi ameremmo ritenere appartenente alla sfera limitata delle cose “vere”, anche in quel caso, la scienza cui affidiamo la nostra stupida resistenza nel mondo, è poco più che una approssimazione, venduta come probabile certezza.

– compri questo, signora, dia retta a me, tutto il resto non vale.

Ho visto venditori di strumenti musicali profondamente ignoranti cercare di spacciarmi per oro ammennicoli sonori di qualità ordinaria. Ho sentito musicisti provare a spacciare verità assolute su ciò che sarebbe il massimo in fatto di musica, cogliendo nella loro tecnica tutta la misera sterilità del loro sentire.

Avendo avuto la fortuna di non essere mai stato acquirente, e rifiutandomi di essere a mia volta e ad ogni costo venditore, sto nel mio racconto di mondo, che è nel palmo della mia mano, mentre deposito in terra un piccolo insetto per restituirlo al chissà cosa.

A mancarmi, nell’isolamento, sono le mie passeggiate lungo il fiume, e i pomeriggi sulla balconata di un santuario a scrivere e a guardare i pellegrini affollare la messa delle sei. Mi mancano i viaggi verso mete lavorative speranzose, che quasi mai si confermano poi all’altezza delle promesse.

Così come mi manca la mia musica suonata insieme a chi mi dedica il proprio tempo e le emozioni. Se sei autore di musica infatti ti accorgi assai presto che, se non la suoni direttamente al mondo, essa diviene come un libro chiuso, inerte cosa, una promessa che non emette segnale e che, in quanto tale, semplicemente, non c’è.

E mi manca la possibilità di andare a mettere i piedi in mare che, sebbene anche quando potresti fare una simile piccola e immensa cosa, finisci quasi sempre per non farla, sovrastato da altro, almeno puoi immaginare di poter fare di colpo il giorno dopo, all’alba, o la stessa notte in cui lo hai pensato, potresti, volendo, all’improvviso, quando tutti o quasi dormono e tu sei il solo che va alla ricerca.

E la scelta libera di toccare chi lo desidera quando lo desidero, mi manca.

Per tutto il resto, questo momento mi appare magico nel senso intimo del termine,  e mi schiude ambiti reconditi di me che prima o poi avrei dovuto frequentare e non si sa perché non lo abbia fatto.

I miei personali lutti definitivi io li ho passati: chi mi ha messo al mondo è andato da tempo, e da tempo ho l’eredità di me stesso come unica missione da compiere. Questo mi tiene lontano da ogni possibile contagio psicologico, perché nulla in me si sostituisce al narratore interiore.

Ogni sciagura è a suo modo una porta, amico mio, mia cara, che apre a una musica nuova, e io per natura sono esploratore. Vi bacio, e torno al silenzio.

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