«Rispettando tutte le norme di sicurezza necessarie e il relativo distanziamento sociale, il mese di agosto 2020 non sarebbe male per un mio ritorno alla musica live. E da lì magari proseguire fino ad ottobre, privilegiando regioni calde come la Sardegna e lo Sicilia dove l’estate dura più a lungo», mi racconta Dodi Battaglia.
Si parla, ovviamente, della recente ordinanza (presente nell’ultimo DPCM e di cui Spettakolo ha parlato qui) di riaprire i concerti dal prossimo 15 giugno. Chiari i diktat governativi: spazi all’aperto col massimo di mille spettatori e tutti opportunamente distanziati.
La proposta incuriosisce e intriga Battaglia, stimato guitar hero e Pooh in carica fino al fatidico 31 dicembre 2016 (giorno del loro scioglimento ufficiale dopo cinquant’anni di carriera), che mi risponde su Skype dalla sua casa-studio di Bologna dove è intento a presentare ai media Perle 2, il suo nuovo album dal vivo (10 brani tratti dal repertorio più “autoriale” della sua vecchia band) arricchito da un gran bell’inedito (Sincerity), strumentale e squisitamente fusion grazie anche alla presenza del sax di Marcello Balena.
Il resto della conversazione (brevissimi cali di linea a parte…) lo trovate nel video sottostante. Il consiglio è quello di vederlo fino all’ultimo secondo perché, come sanno anche le pietre, Dodi è bolognese purosangue e sotto le Due Torri si è scritta una buona fetta della Storia del basket italiano. «E io ho giocato a pallacanestro in vita mia…», svela lo stesso chitarrista felsineo.
Inevitabile e nemmeno così fuori target, quindi, una domanda sul recente documentario The Last Dance targato Netflix (che Battaglia non ha ancora visto). Quello sull’epopea anni ’90 dei Chicago Bulls. Uno squadrone leggendario che, nelle parole del suo leader Michael Jordan, «fu smantellato troppo in fretta. Quando in realtà avrebbe potuto vincere ancora a lungo». Ecco, sostituite alla parola “Bulls” il nome di un celebre gruppo attualmente non più in attività e… vi ricorda forse qualcosa?
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