Un giradischi e le parole de La locomotiva cantate a memoria da mio padre. Per me, Francesco Guccini è soprattutto questo. Il cantautore che ho conosciuto da bambina, insieme agli altri colossi di quella generazione memorabile come De André e De Gregori. Guccini, poeta burbero, dalla battuta sempre puntuale, i testi spesso arrabbiati.
Francesco Guccini è nato a Modena il 14 giugno 1940. Ottant’anni di coerenza, fedeltà al suo credo e alla sua arte smisurata che ha regalato non solo alla musica, ma anche alla letteratura e ogni tanto al cinema. Pàvana, paesino dell’appennino tosco-emiliano che aveva dato i natali al padre Ferruccio, ha segnato l’infanzia di Francesco, che spesso ha ricordato i periodi felici trascorsi sull’Appennino, dove è ritornato ormai da diversi anni e che reputa la sua isola felice.
Da giovane cronista alla Gazzetta di Modena, grazie a un’intervista a Domenico Modugno, capisce in modo chiaro ed inequivocabile che la sua strada era la musica. Nella sua lunghissima carriera, iniziata negli anni ’60, ha toccato in ogni sua canzone i temi più disparati, con un’abilità di cambio registro inimitabile. Guccini sa parlare al popolo come al letterato, e i giochi di parole all’interno delle sue canzoni hanno fatto storia. Sono alquanto note le sue “simpatie” politiche, decisamente a sinistra, così come sono note le sua antipatie, che non ha smesso di sottolineare anche nelle ultime settimane (esilarante quanto chiacchierata la rivisitazione in chiave moderna di Bella ciao).
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Spesso le sue prese di posizione in tal senso sono state criticate dalla stampa, e nella celeberrima L’avvelenata ne parla con toni decisi e squisitamente arrabbiati.
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Nel mese del suo ottantesimo compleanno, parleremo della sua arte attraverso racconti e aneddoti per ripercorrere una carriera straordinaria.