Voucher come unico rimborso per i concerti: come andrà a finire?

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Il polverone alzatosi sui voucher, introdotti come unica forma di rimborso per tour rinviati o cancellati, non sembra affatto placarsi. Il caso più rumoroso riguarda senza ombra di dubbio l’ex Beatle Paul McCartney, che aveva in programma due date in Italia, previste a giugno, il 10 a Napoli ed il 13 a Lucca.

Il costo per biglietto andava dai 100 agli oltre 500 euro, cifre dunque esorbitanti, che in caso di live cancellati (come in questo caso – addirittura prima del dpcm del 17 maggio) e senza certezza di realizzazione futura (nel caso specifico parliamo di un evento unico e presentato come ultime date italiane di McCartney) tornano nelle mani del consumatore solo sotto forma di “surrogato” dell’evento interessato.

Il voucher, che (finora) può essere richiesto solo entro 30 giorni dalla comunicazione della cancellazione dell’evento, non comprende neanche le commissioni della vendita online.
Questa forma di rimborso era stata introdotta dal Governo fin da marzo: il rimborso era sì possibile, ma solo sotto forma di voucher, indipendentemente dal settore interessato.

Le proteste dei consumatori sono sfociate, nel caso dei concerti, in una doppia azione legale da parte del Codacons, con un esposto alla Commissione Europea contro l’Italia per aver introdotto il voucher come unica forma di rimborso e contro gli organizzatori di eventi.

A pochi giorni dall’attuazione di un emendamento che andrà ad “aggiustare” il tiro, abbiamo parlato con chi è parte integrante della filiera musicale e gestisce un’agenzia di eventi, Luca Nottola di Arealive, per avere un parere sull’introduzione dei voucher. Va detto che le piccole/medie agenzie, ossia quelle che avevano bisogno di maggiori tutele, sono anche quelle che stanno provando concretamente a ripartire, con i concerti entro i mille spettatori, come previsto dal dpcm del 17 maggio.

Luca Nottola: «La questione si è sollevata giustamente con Paul McCartney; è assurdo che chi ha speso più di 500 euro per un biglietto si ritrovi dei voucher per concerti che non interessano minimamente. Noi siamo una piccolissima realtà, eppure abbiamo rimborsato i biglietti. Non solo: abbiamo rifiutato anche gli anticipi!
La nostra è una scelta personale: abbiamo deciso di non guadagnare pur di far lavorare musicisti e tecnici.
Ammiro Gazzè e chi come lui sta veramente pensando al settore.
Mi domando, in generale, perché le agenzie devono trattenere tutti gli introiti derivanti dall’incasso dei biglietti? Avranno speso una parte in promozione, ma il resto? Spesso non li hanno usati per pagare l’artista né per pagare musicisti, tecnici e quant’altro; non hanno montato il palco, quindi non hanno sostenuto spese per l’occupazione del suolo pubblico…
Dunque? Li trattengono semplicemente nelle loro casse.
Aggiungo che può essere una pratica magari tollerata per i concerti rinviati, quella di non dare un rimborso in soldi, ma non può assolutamente essere valida per quelli annullati.
Probabilmente c’è stata fretta di mettere una pezza, da parte del Governo, e hanno agito pensando di sostenere la filiera musicale.
Capisco che non era facile, non mi sarei mai voluto trovare al posto di Conte nel momento più difficile dell’Italia dal Dopoguerra; non conoscendo probabilmente il nostro settore, si sono fidati delle proposte arrivate.
Lo dico molto chiaramente: non può essere il consumatore a salvare, da solo, “la pelle” delle agenzie. Non può essere un privato ad aiutare un altro privato: l’aiuto dello Stato non può arrivare dal consumatore. Capiamo perché molte agenzie non si siano “sbattute” per ripartire. I concerti si possono fare, eccome (dal 15 giugno), ma siccome l’aiuto l’hanno avuto, tenendo nelle proprie casse milioni di euro (pagando i loro dipendenti e basta), è più conveniente rimandare che provare a fare live seguendo le disposizioni attuali».

Apriamo una parentesi doverosa per chi avrebbe lavorato ai live rinviati o cancellati, musicisti, tecnici e tutte le maestranze del settore. Come diceva Nottola, non è arrivato nelle loro tasche alcun anticipo, nessuna percentuale derivante dalla vendita dei biglietti. Inoltre, essendo possibile dal 15 giugno organizzare spettacoli dal vivo (come previsto dal dpcm del 17 maggio), tutti i lavoratori dello spettacolo “costretti allo stop” per tour posticipati o annullati non potranno più usufruire neanche del bonus previsto dal Decreto Cura Italia. Insomma, si può dire che molti rischiano seriamente di non “sopravvivere” a questo anno forzato di stop.

Continua Nottola: «Il voucher andava almeno pensato con delle varianti, se proprio vogliamo usarlo per evitare che alcune agenzie falliscano. Ad esempio dando un upgrade, un kit di benvenuto, un posto migliore, un aggiornamento sul valore del biglietto che superi il costo iniziale, formule che dovevano servire almeno ad “accettare” il voucher come unica forma di rimborso, che invece è diventato un’imposizione ingiustificabile».

In questi giorni intanto, lo abbiamo anticipato, è in fase di attuazione un emendamento presentato alla Camera, che permetterà di raddrizzare il tiro. Prevede le seguenti clausole:

1. l’estensione della validità del voucher a 24 mesi, rinnovabili per altri 12 o la possibilità di essere rimborsati alla scadenza;
2. una proroga dei tempi per richiedere il voucher, che oggi sono di appena 30 giorni, fino a 180 giorni dalla comunicazione della cancellazione dell’evento;
3. la creazione di un fondo da 30 milioni di euro per ristorare gli organizzatori in caso di effettivo rimborso di un voucher scaduto;
4. l’istituzione di una garanzia statale in caso di inadempienza da parte dell’organizzatore.

La questione è spinosa, vedremo come andrà a finire.

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