Esattamente 100 anni fa nasceva a Roma Alberto Sordi. Fino alla sua morte, avvenuta sempre nella capitale il 24 febbraio 2003, Sordi è stato un protagonista di primo piano del cinema italiano, sia come attore che come regista. Lo raccontiamo attraverso cinque fra le tante maschere interpretate da Sordi nella sua lunghissima carriera.
Negli anni ‘30 è stato la voce italiana di Oliver Hardy, nei ‘40 mattatore nell’avanspettacolo e nelle radio, poi è arrivato il grande schermo. La sua maschera grottesca, tragica, beffarda e cinica è stata protagonista del miglior cinema italiano per 60 anni. Con i suoi innumerevoli “volti” ha dimostrato quanto il suo lavoro d’attore abbia rappresentato il nostro paese e a confermarlo sono state non solo le innumerevoli personalità legate al nostro cinema, ma anche le molte dichiarazioni di grandi artisti internazionali. Dustin Hoffman ha precisato più volte che per i suoi ruoli comici si è sempre ispirato ad Alberto Sordi, Martin Scorsese ha detto che il suo volto è stato un inimitabile icona del genio espressivo italiano, Robert De Niro conserva più di 100 videocassette dei suoi film e per Jack Lemmon è stato un vero e proprio maestro.
Alberto Sordi a 10 anni canta da soprano nel coro della Cappella Sistina e con gli anni la sua vocina diventa una potente voce da basso, che lo caratterizza anche nella recitazione. Una voce unica, con un caratteristico accento romano che riesce a nascondere in diverse sue interpretazioni. Alberto Sordi è stato tutto: magistrato, ladro, deputato, detenuto, medico della mutua, taxista, partigiano, aristocratico, presidente di squadre di calcio, fenomeno paranormale e borghese piccolo piccolo. Si potrebbero scrivere decine di righe sulle sue interpretazioni e altrettante sui grandi autori con cui ha lavorato: Monicelli, Fellini, Risi, Comencini, Blasetti, De Sica, Scola e… il regista Alberto Sordi, con quasi 19 film all’attivo, considerando i suoi episodi de Le coppie e Dove vai in vacanza.
Un vero e proprio mito che vogliamo ricordare con 5 tra le sue più grandi “maschere”, assolutamente memorabili e tanto tanto italiane. Tutti lo ricordiamo per il giovane Nando in Un americano a Roma, per Il conte Max, per il dott. Guido Tersilli, per il marchese del Grillo ma è stato anche…:
Silvio Magnozzi (1961)
Nel 1961 Dino Risi non ha paura di raccontare un Italia scomoda, che non ha imparato nulla dal recente passato e soprattutto dalla guerra. Il capolavoro Una vita difficile racconta il passaggio dall’occupazione tedesca alla dittatura del Dio denaro nel periodo del “boom” economico degli anni ‘60.
Dopo un inizio in cui il partigiano Silvio Magnozzi (Sordi) trova l’amore mentre si nasconde dai tedeschi nei pressi del lago di Como, il film si dipana in una serie di avvenimenti che coprono un arco di quasi 20 anni, per raccontare la sua travolgente storia d’amore con Elena, interpretata da una straordinaria Lea Massari, fatta di pochissimi momenti felici e tanti avvolti nella povertà e nella mediocrità. Gli ideali da partigiano intellettuale di Silvio si scontrano con i cambiamenti del popolo italiano, concentrato solo sulla ricerca della ricchezza e del potere. È abbandonato dai suoi amici, che si adattano ai tempi, ed è in continua lotta con la moglie, che pur amandolo, vorrebbe una vita dignitosa ed evitare di elemosinare una parvenza di benessere.
I due tra molteplici liti e fughe non si lasceranno mai e anche quando Silvio, per riconquistare la moglie, sembra aver abbracciato “il nuovo mondo”, troverà ancora una volta il modo di farsi sovrastare dai suoi ideali.
Un film a metà tra tragedia e comicità con scene indimenticabili, come quella della cena che riescono scroccare a casa di vecchi monarchici proprio nella notte in un cui gli italiani votano per la repubblica, e momenti esaltanti come quello dello schiaffo al suo ricco datore di lavoro nel finale del film. Un finale solo apparentemente edificante che apre invece una nuova strada di miseria per i due protagonisti. Magari si facessero ancora film di questa forza.
Guglielmo Bertone (1965)
Negli anni 60/70 ci fu un fortunato periodo per i film a episodi, in particolare commedie e horror, con cui si aveva la possibilità di avere più “mattatori” sotto lo stesso titolo, ma anche più registi, con i loro stili personali, costi contenuti e incassi più elevati. Nel terzo e più riuscito episodio del film I complessi, Guglielmo il dentone, domina la riuscitissima “maschera/macchietta” sordiana.
Il regista Luigi Filippo D’Amico ci regala un personaggio al massimo della sua “mostruosità”, in evidenza non per l’aspetto fisico, il protagonista ha dei denti sporgenti enormi, ma per una viscerale antipatia, saccenza e arrivismo tipico di alcune caricature già portate sullo schermo da Sordi. Stavolta però l’arroganza tipica di quei ruoli crea una forte empatia con lo spettatore, spinto a non accettare di vedere il suo “eroe” sopraffatto dai dirigenti RAI che vogliono invalidare un concorso pubblico perché, secondo loro, è inaccettabile mostrare un giornalista “dentone” in tv.
Guglielmo Bertone risulta così un intelligentissimo e preparatissimo rompiscatole, che mostra il suo lato umano e riesce a vincere il concorso con le sue forze e le sue capacità, senza raccomandazioni. Non ne ha bisogno, perché se uno è bravo il difetto fisico è annullato.
Un messaggio chiaro, che funziona grazie a una sceneggiatura semplice e calibrata, basata unicamente sul personaggio Sordi al 100%. In quel periodo I complessi fu molto criticato, ma ebbe un grande successo e oggi viene ritenuto una delle punte più alte della commedia italiana a episodi degli anni ‘60. Assolutamente geniale la scena in cui Guglielmo canta con le vere gemelle Kessler in ascensore.
Mimmo Adami (1973)
Alberto Sordi e Monica Vitti, spesso marito e moglie nelle loro commedie, hanno ridisegnato più volte in maniera profonda il ruolo della coppia italiana. Un rapporto alla pari tra i due attori, costruito soprattutto sulla base delle grandi capacità della Vitti, che nel corso degli anni ha sempre tenuto testa a Sordi sia dentro che fuori dal set, creando un’alchimia eccezionale.
Il film simbolo della loro carriera è sicuramente Polvere di stelle. Sordi, qui anche dietro la macchina da presa, dirige il ritratto di una compagnia di avanspettacolo che ottiene un ingaggio nella Roma fascista del 1943 e poi affronta una tournée nel sud Italia, appena liberato, esibendosi per le truppe americane. I personaggi di Mimmo e Dea Dani (Monica Vitti) attraversano piccoli momenti di successo, liti, abbandoni, tradimenti e l’inseguimento di un sogno che sembra irraggiungibile.
All’origine di quello che forse è il film più ambizioso di Sordi regista e sceneggiatore, c’è una base nostalgica ispirata dalla sua vera esperienza come ex attore dell’avanspettacolo, che usa per far vivere allo spettatore un mondo teatrale ormai perduto. Curatissimo dal punto di vista della fotografia e della scenografia, Polvere di stelle si ricorda sicuramente anche per la colonna sonora del fedelissimo amico Piero Piccioni e per le canzoni, scritte anche dallo stesso Sordi, su cui spicca la goliardica Ma ’ndo Hawaii (se la banana non ce l’hai). Un brano/mito che rappresenterà per sempre l’indimenticabile, unica, vera coppia del cinema italiano.
Giovanni Vivaldi (1977)
Il film della svolta di Alberto Sordi è Un borghese piccolo piccolo, magistrale interpretazione di un uomo di mezza età le cui solide certezze crollano quando vede uccidere davanti ai suoi occhi l’amato figlio. Una scena drammatica, amara e spiazzante che nessuno avrebbe mai immaginato in un film interpretato da Sordi. Questo padre distrutto matura una vendetta più crudele di quella subita e cambia il suo essere “borghese piccolo piccolo” in un feroce assassino.
Il regista Mario Monicelli ci mostra come la dignità offesa di un uomo, che crede nella sua Italia, lo possa trasformare nel più cattivo dei cattivi. Qui, il popolo italiano ha bisogno di una vendetta nei confronti di chi lo sta uccidendo e ingannando. Monicelli e Sordi con questo film non si pongono mai il problema di far ridere e anche nei momenti più grotteschi riescono a mettere in luce le miserie del “Bel Paese”. Un argomento che potrà sicuramente ricordare quello del film Il giustiziere della notte (1974), ma che invece ne è totalmente distante per le tematiche sociali, già chiaramente presenti nel romanzo omonimo di Vincenzo Cerami (1976) da cui è tratto.
Ad accompagnare la toccante interpretazione di Sordi c’è anche quella dell’attrice hollywoodiana Shelley Winters, nel ruolo della moglie Amalia Vivaldi. Insieme i due danno vita a una delle scene più drammatiche del film, quando decidono di uccidere il già agonizzante assassino del loro figlio. Un momento che i due attori hanno preparato con metodi interpretativi completamenti diversi. Mentre la Winters, prima di girare la scena, si concentrava e si struggeva ascoltando canti Yiddish, tipico da Actors Studio, Sordi si rilassava mangiando un panino con la mortadella.
Entrambi gli attori quell’anno vinsero per le loro interpretazioni un David di Donatello e così anche il regista e il film. Un borghese piccolo piccolo è un film doloroso, difficile da dimenticare, così come è difficile dimenticare il memorabile fermo immagine finale, in cui scorrono i titoli di coda, che mostra un Alberto Sordi terrorizzante, pronto ad uccidere ancora e in preda al puro delirio.
Remo Proietti (1978)
Nell’episodio Le vacanze intelligenti, del film collettivo Dove vai in vacanza (gli altri due sono Sarò tutta per te di Mauro Bolognini e Si, buana di Luciano Salce), il regista Sordi mette in evidenza l’impegno dell’uomo medio di adeguarsi a una realtà complessa.
Una critica feroce verso il cosiddetto pubblico colto, che oggi forse chiameremmo “radical chic”, che cerca di far sentire inadeguati i due protagonisti interpretati da Sordi (Remo Proietti) e da una bravissima Anna Longhi (Augusta Proietti), prima sarta di scena e poi attrice, scoperta proprio dallo stesso regista per interpretare questo ruolo.
I due sono dipinti come una coppia di sempliciotti fruttivendoli, sovrappeso e sottoposti, dai figli sofisticati e colti, ad una vacanza programmata fatta di itinerari culturali e concerti di musica dodecafonica, e ad una rigorosa dieta. Una vacanza che porterà ancora più distacco dalla moderna società, verso un’avventura fatta di enormi abbuffate per “vendetta” e lavande gastriche al pronto soccorso. Un ritratto di due personaggi bellissimi e teneri nel pieno di un periodo di cambiamento storico dell’Italia nella metà degli anni ‘70.
Per la critica, il pubblico e gli addetti ai lavori La vacanza intelligente è definito un capolavoro assoluto della comicità, con meccanismi e tempi comici perfetti. Memorabile in diversi momenti come quello in cui, alla biennale di Venezia del 1978, Augusta si siede per riposare su una sedia e viene scambiata per una installazione d’arte vivente (sedia con corpo adagiato) che un turista è disposto a comprare per 18 milioni delle vecchie lire.