Bela Guttmann rivive tra le pagine di Paolo Frusca: un romanzo tutt’altro che maledetto (videointervista)

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Paolo Frusca

«Come dite? Non mi aumentate lo stipendio? Ah, e ora avete pure il coraggio di licenziarmi?! Bene, decisione vostra, signori miei. Sappiate solo che in Europa non vincerete nulla per almeno i prossimi cento anni!». Pare che le esatte parole siano state proprio queste anche se il falso storico, per non dire la leggenda metropolitana, sono sempre in agguato.

Amsterdam, primavera del 1962: il Benfica ha nuovamente vinto la Coppa dei Campioni infliggendo un perentorio 5-3 al Real Madrid di Puskas, Di Stefano e Gento. L’anno prima aveva fatto altrettanto grazie ad un drammatico 3-2 inferto al Barcellona. Il suo allenatore, il celebre tecnico magiaro Bela Guttmann (all’epoca 63enne e già transitato sulle panchine italiane di Milan, Padova, Triestina e Lanerossi Vicenza), quel 5 maggio del 1962 è lassù da solo, in quell’empireo sportivo che pochi altri Mister (tipo Helenio Herrera, Brian Clough, Arrigo Sacchi o Zinedine Zidane) assaporeranno solamente in seguito. Ma da lì comincia anche il suo inaspettato declino professionale lastricato, appunto, da ingratitudine lusitana (il terribile licenziamento dopo che l’allenatore aveva preteso dalla dirigenza benfiquista un adeguamento economico del suo contratto) e assurde maledizioni che, perfino nel 2020, sono difficili da sfatare.

Che ci crediate o no il Benfica da allora (e fanno 58 lunghi anni, distanze temporali degne di Love Me Do dei Beatles…) non ha più vinto nessun’altra finale (europea) nonostante gli siano capitate ben cinque chance in Coppa Campioni e tre in Coppa UEFA/Europa League. Un paradosso quasi esoterico che è diventato il mantra di un’eredità guttmanniana (il buon Bela è scomparso nel 1981) che nel 2020 esalterà sì gli storyteller calcistici, ma che rappresenta solo una piccola tappa di un’esistenza pazzesca, girovaga, evoluzionista del Gioco, carica di sofferenze e scorbutica come poche.

Con Una Casacca di Seta Blu – Romanzo di un allenatore illusionista ha provato ora a raccontarcela, sotto forma di un incontro a due voci che poco a poco diventa atto d’amore corale per il calcio, il bresciano Paolo Frusca che molti di voi ricorderanno come spalla creativa di un certo Federico Buffa sia nell’opera letteraria L’Ultima Estate di Berlino (2015) che nella relativa e fortunatissima piece teatrale intitolata Le Olimpiadi del 1936.

Paolo Frusca

Stavolta però Frusca, dalla sua privilegiata prospettiva viennese (capitale mitteleuropea nella quale si è trasferito da anni), corre sulla fascia da solo e ci dona un libro che è allo stesso tempo sorriso mischiato a malinconia struggente. Fiction e biografia. Grande Storia del ‘900 (dall’attentato di Sarajevo al crollo del Terzo Reich) e piccoli tabellini di partite calcistiche, altrettanto significative, che la scandiscono. Amalgama di sogno e realtà giocato sul pressing dei dialoghi e su certi capitoli romanticamente “sciacquati” nel football danubiano di quei tempi. Il resto facciamocelo raccontare direttamente dall’autore nella lunga video-intervista che trovate qua sotto…

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