Il meglio deve ancora venire
di Alexandre de La Patellière
e Matthieu Delaporte
con Fabrice Luchini, Patrick Bruel, Zineb Triki, Pascale Arbillot, Marie Narbonne
Arthur (Luchini) è un ricercatore dell’istituto Pasteur, minuzioso rompiscatole, quieto, vessato sul lavoro, separato, triste, mai un colpo di testa. César (Bruel) è l’amico casinista, donnaiolo, intemperante, simpatico, sempre allegro, gran cialtrone, inseguito dai creditori. Persino in religione stanno uno a sinistra e uno destra, e hanno auto svedesi: il mite una Volvo, l’esagerato una Saab decapottabile (che si legge soob, e pare somigli al termine per definire il pene). L’esagerato casca da un balcone (basso) mentre gli sequestrano i beni, il mite lo porta al pronto soccorso, e gli fa fare una lastra usando la sua tessera della mutua. Il giorno dopo chiamano il mite e gli comunicano che ha un cancro devastante e poco da vivere. Cioè, l’esagitato ha poco da vivere, ma si scambiano le parti e l’esagitato crede che il mite sia moribondo. La scommessa del film, e dei registi sceneggiatori, è quante parole si possono usare o non usare per evitare che una verità così semplice e terribile venga detta. Per cui per tutto il film il mite Luchini parla tantissimo per non parlare e l’esagitato Bruel entra a piedi uniti nella sua vita per fargli provare tutto prima di morire. E di equivoco in equivoco vanno a scoprire quanto si amano gli amici. Credibile? No, ed è questo il bello: è un buddy movie sulla morte (in qualche modo apparentato a Non è mai troppo tardi, con i malati terminali Jack Nicholson e Morgan Freeman che vogliono esaudire tutti i desideri di una lista prima di morire) con giravolte (troppe) e sorprese finali, però gestito alla francese: Luchini porta al virtuosismo la sua reticenza teatrale e Bruel si incarica di dire e fare ad alta voce le cose più tremende e ciniche. Che possono strappare risate terribili. Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte sono gli stessi di Cena tra amici (da noi il remake era Il nome del figlio)
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