Dogtooth

Uno dei primi film di Yorgos Lanthimos, quando era metaforico e surrealista

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Dogtooth
di Yorgos Lanthimos
con Christos Stergioglou, Michele Valley, Angeliki Papoulia, Mary Tsoni, Hristos Passalis

Una villa con piscina, padre industriale con Mercedes che tiene segregata madre obbediente e tre figli -due ragazze e un ragazzo, adulti- con una sorta di protocollo legislativo per cui nessuno può uscire dalla casa, le parole vengono insegnate con significati distorti (i fiori nel prato sono chiamati zombi, l’organo sessuale femminile tastiera e via così) e dall’esterno il padre fa entrare solo una ragazza della sicurezza per i bisogni sessuali del figlio maschio. Le ragazze si arrangiano con baratti corpo-oggetti. Gli effetti vanno dal bislacco all’atroce, fino al concetto che spiega il titolo: la libertà sarà concessa ai “bambini”solo quando cadrà il canino destro (il Dogtooth del titolo, Kynodontas nell’originale), cioè il dente più resistente che abbiamo in bocca. Quindi è previsto che la libertà non sia concessa e i comportamenti nella casa vanno verso l’esplosione: o ci si libera o si esplode. Film metafora, ai limiti dello scarno, una delle prime prove di Lanthimos, pare ispirata a un film di Ripstein, collaboratore di Buñuel. Surrealismo spinto al massimo, tra il buffo e lo sgradevole con significati cangianti: nel 2009, quando uscì, venne letto come un medley tra la tragedia greca classica e la tragedia della dittatura fascista in Grecia. Oggi qualcuno l’ha già arruolato sotto le reazioni al lockdown per il Covid… Più avanti, con Lobster, Il sacrificio del cervo sacro e La favorita, Lanthimos è cresciuto fino a essere paragonato a Haneke per la cattiveria e a Kubrick per l’estetica.

 

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