Da Zero a 70. E ritorno (1950-1981, alle origini di Zero)

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Renao Zero
@Roberto Rocco

Renato Zero fa 70. E allora facciamo 70 passi indietro, ripartendo proprio da quel 30 settembre del 1950. Quando il piccolo Renato Fiacchini vide la luce. La luce di Roma, per l’esattezza. Un anno complesso, quello: l’anno del presidente americano Truman che annuncia al mondo la bomba all’idrogeno. Di Papa Pio XII e della sua Enciclica contro le correnti di pensiero dell’esistenzialismo e del relativismo. L’anno della nascita del campionato mondiale di Formula Uno e del dream-team del Brasile che soccombe al Maracanà di Rio de Janeiro nella finale mondiale contro l’Uruguay. L’anno in cui Cesare Pavese si toglie la vita, in una stanza dell’Hotel Roma di Torino. Ed anche un anno di forti tensioni sociali, nel nostro Paese. Gli italiani comprano in quei giorni i dischi di Nilla Pizzi e Doris Day, di Claudio Villa e Sinatra, di Luciano Tajoli e Sergio Bruni. A Roma, in quel sabato 30 settembre, all’Ospedale San Giacomo, a pochi passi dalla abitazione di famiglia in via Ripetta 54, Domenico Fiacchini, sangue marchigiano, di professione poliziotto, attende trepidante che la moglie Ada, professione infermiera, dia alla luce il loro primo figlio maschio, dopo l’arrivo di 3 bambine. E l’atterraggio sul pianeta da parte di quel bimbo non sarà affatto facile. Perchè una incompatibilità materno-fetale da fattore Rh metterà a rischio la sua vita. E solo una trasfusione – il sangue donato da un frate fu decisivo- riuscirà a scongiurare il peggio.

Renato Zero nasce due volte

Renato -in perfetta assonanza col suo nome- era dunque nato due volte, quel giorno. Nella casa dove trascorre i primi anni di vita con i genitori e le tre sorelle, c’erano anche la nonna materna, Renata, e alcuni zii. A scuola andava dalle suore,  dalle orsoline francesi, a Trinità dei Monti. Poi, da Via Ripetta, dove convivevano in armonia romani nobili ed “ombrellari,” benestanti e bottegai, i Fiacchini furono costretti a traslocare in Via Fonte Buono, alla Montagnola, vicino all’Eur, in uno dei palazzi dell’ “Istituto Nazionale per le Case per gli Impiegati dello Stato”. E quel passaggio, certo non facile, dalla Grande Bellezza del centro di Roma ai colori assai diversi della periferia, diverrà poi inevitabile nutrimento per alcune delle sue future canzoni (“Periferia” 1979).

Intanto, nella vita del piccolo Renato, era arrivato anche Giampiero, di 11 anni più piccolo, il fratellino tanto desiderato. Il “fuoco” della musica lo accese un registratore “Geloso” che il papà gli comprò in Piazza Fiume. E alcuni vinili che un amico di famiglia, ufficiale di Marina, gli portava periodicamente da oltreoceano, fecero il resto. A Renato non bastava certo la musica che passava allora la radio (Tonina Torrielli, Flo Sandon’s, Rabagliati…). E si tuffava anima e corpo nei brani di quei preziosi dischi arrivati da lontano, dai Temptations a Stevie Wonder. Materia preziosa per un istinto musicale già curioso e sensibile.

Un’attrazione fatale, la musica

Il Renato di quegli anni è attratto dalla musica in modo speciale. E “sente” già l’urgenza di comunicare al mondo la sua vena artistica, ancora da decifrare. Ma coltivare quel suo talento scalpitante non sarà affatto cosa facile. Lui ha la fortuna di poterlo fare liberamente, tra le mille difficoltà di quel lembo di periferia romana, che bolla con giudizi poco appellabili ogni diversità.

Perché la sua originalità, la sua fantasia, vengono protette e difese dai suoi genitori. Mamma Ada, che si alza alle 5 del mattino, e prima di andare al lavoro prepara pranzi e colazioni per tutti, lavora e governa la casa con nonna Renata, “sergente di ferro”. E papà Domenico, che respinge al mittente le battute dei colleghi sulle prime eccentricità del figlio. Che lui sorregge e protegge. Amava l’Opera, Domenico Fiacchini. I costumi e il bel canto. E in quel figlio così ostinato deve aver riconosciuto, in qualche modo, fin dall’inizio, qualcosa di speciale, un talento da sospingere e stimolare.

Nella Roma di Cinecittà e del Sistina, della Rca e del Piper, degli echi londinesi e del neonato beat italico, Renato avrebbe allora pian piano cominciato a muoversi, per cercare la sua strada artistica. Senza sosta, in più direzioni, con addosso un’energia tracimante. Contagiosa. Inesauribile.

La strada è la sua vera “università”

La strada è la vera “università della musica” per lui, fin da quel primo palco in zona Stazione Termini,  in una cantina-locale ribattezzata “Ciak”, dove intonava cover dei Beatles, dei Rolling Stones, degli Animals. E poi il Piper, il locale-culto di Via Tagliamento che diviene punto di riferimento per moltissimi giovani talenti. Un luogo che Renato “abita” dal 1965 al 1970. Gianni Boncompagni e Don Lurio notano la sua energia.

E lui entra nei “Collettoni” di Rita Pavone, e nel ’65 balla nel suo programma “Stasera Rita” . È un periodo febbrile, in cui Renato -non ancora Zero- deve mettere a fuoco il suo talento, e capire bene dove e come indirizzare le sue energie.

Le strade che si aprono si alternano alle porte che si chiudono. La Rai boccia un suo primo provino come cantante, come fece d’altronde con Jannacci e con Modugno (!!). Renato Fiacchini diventa “Zero” nel 1966, ed è un numero potente, quello, che evoca significati molteplici. Il nulla e il tutto, il bianco e il nero, l’inafferrabilità. Una ripicca verso il mondo. Una sberla sul muso a chi gli diceva “sei uno zero!”. E lui, da “Zero”, costruirà più avanti numeri fenomenali. Nel 1967 arriva il primo 45 giri, Non basta sai, prodotto da Gianni Boncompagni, che lo trascina in Rca, convintissimo che Zero sia già pronto per il grande salto. Il brano però -autori lo stesso Boncompagni con Jimmy Fontana- non funziona, vende pochissime copie, e soprattutto non incarna il “vissuto” di Zero e la sua idea di musica.

Intanto però lui si fa le ossa, prova a giocarsi le sue carte anche a Milano, insieme alle amiche Loredana Bertè (insieme a Renato nella foto sotto) e Mia Martini, fa un giro a Londra, e assaggia il vivido fermento musicale che vive la città.

Renato Zero

E poi -instancabile- balla in tv, apre il concerto romano di Jimi Hendrix al Teatro Brancaccio, col corpo di ballo dei “Kittens”, partecipa come comparsa in alcune pellicole, tra cui il “Satyricon” di Fellini (1969). Poi il teatro, con la partecipazione al celebre musical “Hair” -siamo nel 1970-  e quella all’innovativa e originale Opera pop rock “Orfeo 9”, di Tito Schipa Jr, che diverrà poi anche un film. Nell’estate del 1972 poi Zero dovette letteralmente sdoppiarsi per conciliare le riprese cinematografiche di “Orfeo 9”  col suo vero primo “tour” italiano -ma da attore-  con il personaggio di Tancredi nella “Anconitana” del Ruzante, prodotto dal Teatro Stabile di Genova. E in quella staffetta massacrante tra Roma e Genova, per conciliare due impegni così importanti e prestigiosi, c’era tutta la voglia irrefrenabile di Zero. Tutto il suo serbatoio di energie a diverso voltaggio.

No! Mamma, no!

Nel 1973, finalmente, arriva il suo primo album, “No! Mamma, no!” registrato dal vivo in gran parte al teatro Centrale di Roma. E arriva anche il suo primo vero tour di concerti. Paleobarattolo, brano che apre il concerto, sembra già essere la sua carta d’identità (“sai cos’è, che non va, chiudere in scatola la libertà.. non ci sto vado via.. cerchiamo scampo nella fantasia…”).

Renato Zero

È un bel salto, ma la strada è ancora lunga. La Rca non fa uscire singoli da quel disco, e le radio si limitano a trasmettere “Paleobarattolo”. La casa discografica di Via Tiburtina sembra credere solo in parte alle potenzialità di Zero. Lui invece crede fino in fondo in se stesso e moltiplica impegni ed energie. Fino al secondo album, “Invenzioni”, del 1974, che mette a fuoco ancor di più la sua poetica, con brani importanti come “Qualcuno mi renda l’anima” (canzone di grande spessore, sulla storia di una violenza su un bambino), “Inventi”, “Tu che sei mio fratello”, “L’evento” (“io sono io, ma un evento poi non è, io sono io, ma un trionfo poi non c’è….”) e “Mani”, sorretti dall’arrivo di un fuoriclasse degli arrangiamenti come Ruggero Cini, che dà respiro e corpo alle caratteristiche della sua voce, valorizzando al meglio i “racconti-canzone” dell’artista. Nel 1975 Zero, consapevole che l’album seguente sarà decisivo per il suo futuro, incide tre perle: “Madame”, “Un uomo da bruciare” (con testo di Mogol) e la trascinante “Il caos”. Lo spettacolo di fine anno in un locale di Trastevere però non lo rincuora, con un solo spettatore pagante quella sera. Lui, indomito, si esibisce lo stesso (“uno o mille, non importa… si chiama rispetto del pubblico”).

Trapezio: finalmente il successo

E l’uscita del nuovo album, “Trapezio”, lo ripaga -finalmente – di ogni sforzo. Certo la squadra di Zero si è rafforzata: salgono a bordo altri fuoriclasse come il maestro Piero Pintucci e Franca Evangelisti, che collaborerà ai testi, che affiancano Cini, Conrado,  Filistrucchi e Rodolfo Bianchi (al mixer), e che incarnano al meglio i “colori” del suono e della filosofia musicale dei brani di Zero. Col “traino” di “Madame” e di “Un uomo da bruciare” (che usciranno come 45 giri) il disco soddisfa anche i vertici della Rca dal punto di vista delle vendite. La critica plaude, e riconosce in lui non solo la poetica della provocazione, ma quella della denuncia, dell’anticonformismo, ma non fine a se stesso. Renzo Arbore scrive che Zero non copia nessuno, non è solo rock decadente o glam il suo,  è “rock nuovo, che se ne infischia di scandalizzare qualcuno, usa sensibilità, intelligenza e originalità”.

«Come nascono le mie canzoni? Nelle strade, sulla bocca e negli occhi di quelli che come me hanno scelto la vita e il rischio», spiega lui. “Madame” si balla in discoteca e l’album vende bene. La critica usa toni lusinghieri. E la sua energia, con “Madame”, travolge gli studi tv della Rai nel programma  “Piccolo Slam” condotto dalla sua storica amica Stefania Rotolo.

Poi, finalmente, Zero si rituffa in una nuova tourneè. Cantando le sue nuove canzoni in giro per la penisola: “Motel”, “Scegli adesso oppure mai”, “Una sedia a ruote”, e la straordinaria “Salvami”: “salvami, dalla strada che non sa, tra giorni e notte quanti figli ha…  fra questa gente in cerca d’allegria. Che compra e vende questa pelle mia… Salvami!”

Il pubblico via via si riconoscerà sempre di più nei suoi costumi, nei testi, nelle interpretazioni. Perchè dal vivo quei tre album di Zero trovano nuova linfa, nuova energia, e ogni brano sembra ancora più coinvolgente e affascinante. I suoi costumi non “distraggono” dalle sue canzoni. Non sono un elemento di attrazione fine a se stesso. Le incarnano, piuttosto. Sono un valore aggiunto. E rafforzano il senso dei testi.  “Trapezio” intanto diventa un neverending tour, con Lucy Morante che fuori dai concerti instancabile vende altre migliaia di copie dell’album. Ma il “salto” diverrà poi vera e propria consacrazione l’anno seguente. Un brano ad alto voltaggio come “Mi vendo” impazza nei juke-box e preannuncia l’arrivo del nuovo album di Zero, dall’autoironico titolo “Zerofobia”. È in effetti è una specie di febbre quella che contagia nel 1977 i fan di Zero, che in quei mesi divengono “zerofolli” a tutti gli effetti e crescono a dismisura. Mentre il disco fa boom e tocca le 500.000 copie, col singolo che entra nella top ten, anche lo spettacolo teatrale omonimo colleziona sold out e alimenta la zero-febbre. Uno spettacolo costruito su misura sulla poetica di Zero e sui suoi costumi, arricchito da dialoghi e riflessioni esistenziali, con alcune trovate sceniche di grande effetto, ma anche di forte significato. Zero colleziona sold-out nello storico Teatro Tenda di Piazza Mancini a Roma, e sbanca anche nelle città del nord, a Torino, all’Alfieri, e a Milano. E a fine anno ancora repliche, a furor di popolo, al Teatro Tenda a Strisce dell’Eur a Roma. Lo spettacolo “Zerofobia” sbarca addirittura l’8 aprile ’78 sul secondo canale della Rai. Per la critica uno spettacolo dove Zero “è Pierrot, ma anche anche un angelo natalizio, un pilota di astronave…” . Alcune delle canzoni del disco, con “Mi Vendo” e “Morire qui” che costituirono il singolo, diverranno riferimenti costanti per il pubblico di Zero: le straordinarie “Vivo” e “Manichini”, e “Il cielo”, vero brano-manifesto del popolo zerofolle. Brano che Zero raccontò di aver composto alla chitarra a Ventotene in pochi minuti (“il cielo ci fa rendere conto di che piccole entità siamo e di  quanto siamo sciocchi a non raportare esattamente la nostra grandezza con la Sua.. L’uomo gretto e meschino sotto il Cielo non sopravviverà molto…” ). Ora le luci che iluminano Zero sono fortissime, e non c’è tempo per fermarsi a bordo palco, troppa la strada, troppa la fatica per arrivare fin lì.

Ormai è Zerofollia

Non si è ancora spenta l’eco del successo di Zerofobia che nel 1978 Zero è già anima e corpo dentro al nuovo album. E il 1978 è l’anno dell’ulteriore salto. L’anno dell’album “Zerolandia” (uscito con l’etichetta omonima da lui nel frattempo fondata), l’anno del “Triangolo” che impazza in discoteca e nelle Hit-Parade. Il brano, la traccia 4 del lato A dell’album, firmato da Zero e Caviri (Mario Vicari), passò in radio per la prima volta il 10 ottobre e rimase in hit parade fino a gennaio ’79. Arrangiato con classe e con cura da Ruggero Cini, con gli archi diretti da Piero Pintucci, vede un’interpretazione da parte di Zero magistrale, dalla ambiguità giocosa ma garbata, energica, ironica, divertita. “Zerolandia” conteneva alcune autentiche perle della produzione di Zero, da “La favola mia” già eseguita nel tour di Zerofobia, un autoritratto di grande fattura, a “Identikit”, da “Io uguale io” a “Sesso o esse”.

E un brano conclusivo di grande e densa bellezza, “Uomo no”, dove Zero si cimenta sul problema della droga, con un arrangiamento avvolgente e una interpretazione intensissima (“perchè muori schiavo ed eri un re…? Anima , non gettarti via, vivi la tua poesia!”). L’album scalerà in fretta i vertici delle classifiche, arrivando a vendere quasi un milione di copie.

Zero

Il tour con cui Zero portò sul palco i brani del nuovo album accresceranno ancora di più la “febbre” zerofolle ormai diffusa in ogni angolo del paese. Ancora costumi straordinari, disegnati sempre dallo stesso artista, a sorreggere l’intensità dei brani in scaletta. E concerto dopo concerto, l’entusiasmo rinnovato del “suo” pubblico che trovava nuovi adepti. Fu proprio durante quel tour che a Zero tornò  in mente l’esperienza di Vittorio Gassman di alcuni anni prima, con un teatro-tenda itinerante. “Zerolandia” andò in scena nell’estate ’78 sotto un tendone ad Ostia, e probabilmente l’idea del “Tendone Zerolandia” si faceva strada dentro di lui sempre di più .

Ciao nì. Renato regista

Intanto, per non farsi mancare niente, in cantiere metteva anche l’idea di un film, lui che il cinema lo amava e lo aveva frequentato sul set, con alcuni piccoli ruoli anche con Fellini, e lui che proprio ad Anna Magnani aveva “rubato” quel marchio distintivo, quel “Ciao nì” che l’attrice gli aveva rivolto dal finestrino, sulla Cristoforo Colombo, rispondendo ad un suo sorriso mentre col padre, ancora bambino, erano fermi ad un semaforo. E all’istituto di cinematografia e televisione “Rossellini” Zero aveva studiato per tre anni. Grazie alle riprese di alcuni spettacoli del tour di “Zerolandia”, in particolare sotto il tendone  “Bussoladomani” di Sergio Bernardini a Viareggio, prendeva forma l’idea di un film che raccontasse Zero, la sua musica, la sua poetica, sviscerando anche il tema dell’identità e il tema della paura. La “Cineriz” produsse quindi “Ciao Nì”, scritto dallo stesso Zero insieme a Giorgio Basile  con la regia di Paolo Poeti. Il film arrivò in sala nel febbraio del 1979 e sbancò i botteghini, con file interminabili davanti ai cinema, e surclassando con gli incassi anche blockbuster come “Superman”.

 Alla prima a Roma, al cinema Universal, Zero si travestì da venditore di pop-corn e scese in sala, complici le luci basse, tra il primo e il secondo tempo della pellicola.

Zero

Il 1979 è un anno incredibile per l’artista romano. Perchè il boom del film non fu certo il solo evento a far esplodere ancora di più la febbre zerofolle in tutta Italia.

Arrivò anche un nuovo album, “Erozero”, ennesimo disco tracimante di energia, dai colori diversi, e per dirla con Pasolini, animato da una “disperata vitalità”. Il brano “Il Carrozzone”, inizialmente proposto a Gabriella Ferri, che decise di non cantarlo, consentì a Zero di arrivare anche ad un pubblico che continuava a guardarlo con diffidenza. Quel brano schizzò subito in vetta alla hit-parade. E stessa sorte toccò all’intero album. Alcuni brani del quale, da “Periferia” a “La tua Idea”, da “Arrendermi mai” a “Baratto”, diverranno punti di riferimento del sempre più corposo esercito di Zerofolli. E’ un anno in cui Zero può permettersi ogni cosa.

E allora l’occasione non se la lascia scappare. E quel “sogno” del tendone, dopo averne “assaggiato” le atmosfere in Piazza Mancini e a Viareggio,  decide di trasformarlo in realtà. Va dalla famiglia degli storici circensi Togni, e affitta il loro tendone, da marzo a giugno. Il tour di “Erozero” , uno dei suoi album più prestigiosi, nasce dunque sotto l’egida del circo, della tenda portatile, dei carrozzoni carichi di artisti e strumenti liberi di piantare le tende nelle piazze delle città italiane. Trasformando quel senso di precarietà, di scomodità che potrebbe suggerire l’dea di un tendone, in valore aggiunto. Quella tenda è un’isola. E’ un cielo portatile. Si chiama “Zerolandia”. Si monta e smonta in poche ore.

Quel tour partì da Roma, il 23 marzo del 1979, e toccò le principali città italiane. Ricevendo ovunque una accoglienza trionfale. Le file degli zerofolli inizieranno addirittura al mattino, pur di potersi accaparrare un posto nelle prime file. I media indagano e provano a raccontare, non senza difficoltà, quella febbre ormai così dilagante. E le troupe della Rai, non ammesse all’interno del tendone, spesso vengono spedite a riprendere il popolo zeriano in fila paziente ed ordinata, e a chiedere loro i perchè di tanto entusiasmo. “Renato è il nostro carnevale”, risponderà ai microfoni una di loro, con un trucco molto simile a quello di Zero.

Le tappe di quel tour verranno raccontate dallo stesso artista nel suo “Diario di un circonauta” sulle pagine di “Tv Sorrisi & Canzoni”. Tappe che dovranno essere moltiplicate in corsa, visti i costanti sold-out in ogni città.

Sotto il tendone si registrano scene di entusiasmo fino a quel momento sconosciute nel nostro paese per un artista italiano, il trasporto per gli show di Zero assomiglia a quello dei fans dei Beatles, anche se con caratteristiche molto diverse. Ed anche le età sono diverse, perchè il pubblico dell’artista romano è sì di giovani e giovanissimi, ma non solo. I dischi di Zero han fatto evidentemente breccia anche in un pubblico più maturo e navigato, che vede in lui qualcosa di nuovo, e in quelle canzoni percepisce la storia di una vita tutta da ascoltare. Un sapore molto diverso dal canzoniere dei nomi di maggior successo di quegli anni.

Dopo i trionfi del 1979, il percorso artistico di Zero si consoliderà ancora con due album molto importanti: “Tregua” del 1980, un doppio album che consegnerà all’artista romano un successo ancora più grande, con il primo posto in classifica e una marea di copie vendute, insieme al successo clamoroso di “Amico”, scritta insieme a Dario Baldan Bembo e a Franca Evangelisti, che conquisterà la vetta dei 45 giri. E con brani di grande intensità come “Guai”, “Niente trucco stasera”, “Potrebbe essere Dio” (“semmai, non sarà Dio, sarà ricostrtuire…”), “Fortuna”, “Grazie a te”, “Beati voi”.

E per il tour seguente, “Senza Tregua Tour”, Zero sarà costretto ad abbandonare il tendone, perchè per il pubblico dell’estate del 1980 stavolta serviranno gli stadi. In 25.000 salutano il suo debutto a Bologna il 3 luglio , in 30.000 a Torino e a Milano. E Zero se la cava alla grande anche in uno spazio dalla filosofia opposta a quella raccolta del suo tendone. La data allo Stadio Flaminio a Roma salterà per le solite beghe burocratiche,  ma Zero ripagherà il pubblico romano con i concerti nel periodo di Natale, ancora sotto il tendone, abitudine nata alla fine del 1979 con il primo “Natale a Zerolandia” sotto al tendone posizionato al Foro Italico. Una abitudine che si ripeterà, per la gioia degli zerofolli romani (e non solo) fino al gennaio del 1985.

Da quei concerti natalizi sotto la Tenda a Roma posizionata in Via Costantino e sotto quella di Torino in Piazza d’Armi, Renato Zero trarrà il suo nuovo doppio album dal vivo, “Icaro”, che uscirà a marzo del 1981. Un album che restituisce tutta la sintonia tra Zero e il suo pubblico, le diverse sfumature della sua voce, l’entusiasmo del suo pubblico. Li “fotografa” come spiega lo stesso Zero. Che aggiunge, a proposito di quei concerti: “forse la mia vita è tutta qui”.

Mai un disco dal vivo di un artista italiano avrebbe venduto così tanto. Complici anche i due inediti inseriti nel disco: “Chi più chi meno”, pezzo di grande impatto, dal testo bellissimo, e “Più su”, altro pezzo concepito insieme a Dario Baldan Bembo, e che diverrà, come “Il cielo” uno dei simboli dello zero-pensiero.

Zero spiazza tutti ancora una volta

Il primo Dicembre del 1981, con ben trecentomila prenotazioni, arriva nei negozi un nuovo album, anche stavolta doppio, “Artide Antartide”. Zero spiazza tutti, ancora una volta. E racconta nuove storie. E quella doppia valenza, della concretezza e della spiritualità, dei due poli, facce opposte della stessa esistenza umana, messa a dura prova “dal troppo ghiaccio che c’è qui”. E’ forse uno dei lavori più belli ed affascinanti della sterminata produzione di Zero. Anche perchè si sentono le ferite sulla pelle dell’artista. Che riesce a trasformarle in canzoni.  Un disco che cuce alla perfezione la bellezza e la profondità dei testi ad un suono nuovo, di grande qualità anche tecnica sulla voce (registrata con l’ “half speed mastering” ) con due diverse produzioni: quella di “Artide” affidata  a Elio D’Anna , ex leader degli Osanna, gruppo prog napoletano degli anni ’70, e “Antartide” prodotto invece  da Del Newman, già con Elton John, Cat Stevens, Diana Ross.

La “precisione” quasi matematica del suono del disco non ne raffredda però gli effetti. Renato canta di sé, ne “Il Jolly”, racconta il carcere ne “La Lungara”, saluta con un pezzo struggente l’amica Stefania Rotolo scomparsa da poco. Racconta  personaggi  notturni in “Notte Balorda”, traccia atmosfere decadenti ne “La stazione”, trascina chi ascolta in una suadente ballata, “Ed io ti seguirò”, di grandissima fattura.

L’album è tracimante di spunti e di storie. “Marciapiedi” uno dei punti più alti del disco (“marciapiedi stanchi, la pioggia spazzerà, la polvere e i ricordi, bagnati di città…”), “Sterili” (“c’hanno legato le mani, così staremo più buoni…”) e la bellissima “Pionieri” (“io ritorno indietro a ieri, ai pensieri ai miei colori, io rinasco volentieri, io non resto qua, non voglio la carità…. “) e quella “Padre Nostro” che esalta la cultura come vera arma per cambiare il mondo (“tuo padre dice no, a che serve una cultura, perchè Shakespeare a lui gli fa… paura!”).

Ancora una volta Zero ha seguito il suo istinto, la sua voglia di comunicare e raccontare. Con disco innovativo e a tratti sorprendente e spiazzante. Un lavoro rischioso, dove si è messo in gioco. Cantando il suo dolore, condividendo con lo spartito i suoi pensieri. Ma la poetica di Zero è ormai credibile e potente, e il pubblico premiò le sue nuove canzoni, acquistando in massa quell’album e accorrendo, ancora una volta numeroso, ai suoi concerti. A cominciare -ancora una volta- dalle date romane, in un “Natale a Zerolandia” tutto speciale, dove le note e le parole del nuovo disco trovarono per la prima volta la loro veste migliore, quella del palco, allestito con ampi richiami ai colori e alla grafica del disco. E sarà “Il Jolly” il primo brano in scaletta di quei concerti : “Vado via, vado via… Questa sera non reggo all’allegria. Ha un cuore pure il Jolly, amica mia… Via… a incontrare la vita tradita scannata… Di chi la partita coi guai..  non vince mai…  Via…  però tienimi il posto perché alla tua festa .. La tua nota giusta, sarò..  Io ci sarò…”). E Zero alla “festa” di ogni suo disco, di ogni suo concerto, di ogni sua canzone, non è mai mancato in tutti questi anni. Fino ad arrivare fin qui. Alla triplice, sfrontata ed orgogliosa festa del triplice album,  “ZeroSettanta”.

Renato Zero
@Robeto Rocco

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