«Adesso anche mio figlio fa parte di quello stupido club», disse una volta Wendy O’Connor, la (poco amata) mamma di Kurt Cobain. Ovviamente si riferiva al cosiddetto “Club 27”, a cui sono iscritti pure Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin e Jim Morrison, Amy Winehouse, morti tutti all’età di 27 anni in circostanze tragiche i cui contorni, a distanza di decine di anni, sono ancora piuttosto misteriosi.
Il padre fondatore di questo tragico club è il mitico bluesman Robert Johnson. Racconta la leggenda che avesse fatto un patto col diavolo: gli avrebbe venduto l’anima in cambio della capacità di suonare la chitarra come nessun altro al mondo. Della sua breve vita non si sa quasi niente. Una delle poche cose certe è che morì di morte violenta il 16 agosto 1938 per mano del proprietario di un locale in cui suonava regolarmente: Johnson aveva una tresca con sua moglie.
Trentun’anni dopo, intorno alla mezzanotte del 3 luglio 1969, l’ex chitarrista dei Rolling Stones Brian Jones (da poco sostituito con Mick Taylor) veniva trovato morto sul fondo della piscina nella sua villa di Hartfield, nel Sussex (Inghilterra). Nel suo verdetto, il coroner scrisse “morte per incidente, annotando che il fegato e il cuore del biondo co-fondatore degli Stones erano “pesantemente compromessi dall’abuso di alcool e droghe”. Ma il mistero su quel decesso rimane: nel 1996 un’ex guardia del corpo del chitarrista confessò in punto di morte di averlo annegato perché voleva derubarlo. E nel 2000 Anna Wohlin, all’epoca del fattaccio fidanzata di Brian, scrisse nel suo libro The murder of Brian Jones che in realtà l’assassino era Frank Thorogood, un costruttore che si trovava nella loro casa per decidere come ristrutturla.
Ammantata di mistero è anche la morte di Jimi Hendrix, rinvenuto esanime la mattina del 18 settembre 1970 nell’appartamento che aveva affittato al Samarkand Hotel di Londra, al 22 di Landsdowne Crescent: morì soffocato dalla saliva e dal vomito dopo una notte brava. Un altro giallo: la sua fidanzata Monika Dannermann fu accusata di aver telefonato a Eric Burdon, musicista pure lui e grande amico di Jimi, per chiedergli aiuto quando ormai per Jimi non c’era più nulla da fare. Anche in questo caso le ipotesi si sprecano: alcuni hanno parlato di suicicio, visto che poche ore prima Jimi aveva scritto una poesia che era un autentico addio alla vita. Altri sostennero che la morte del grande chitarrista fosse stata voluta dalla mafia, chissà perché.
La notizia della morte di Hendrix sconvolse Janis Joplin: era una sua grande estimatrice, e come lui era un’eroinomane e un’alcolista. Quelli del suo entourage cercarono di rincuorlarla dicendole: «Tranquilla, due rockstar non possono morire lo stesso anno. E poi tu non sei stupida: Jimi era più famoso di te, e morire dopo di lui sarebbe imperdonabile!». «Mi sa», replicò lei, «che anche stavolta Jimi mi ha battuta sul filo di lana». Aveva ragione: soltanto 16 giorni dopo, nella notte tra i 3 e il 4 ottobre 1970, Janis morì di overdose al Landmark Motor Motel di Los Angeles. Non si faceva da settimane, ma quella sera era più triste del solito. Sembra che l’eroina venisse da una partita purissima, tanto che nei giorni seguenti i pusher di L.A. la vendettero dicendo: «È così buona che ha spedito la Joplin in paradiso».
Jerry Garcia disse: «Janis era una ragazza-razzo, ha raggiunto la vetta e poi è morta nel miglior momento possibile, senza arrivare al declino, diventare brutta, vecchia, rimbambita». Forse senza rendersene conto, il mitico leader dei Grateful Dead aveva enunciato una teoria che negli anni successivi si sarebbe rivelata davvero azzeccata. Qualcuno lo ha definito il “business dei Cari Estinti della Musica Giovane”: Brian, Jimi, Janis, Jim, Kurt e tutti gli altri morti in giovane età se quando erano in vita erano famosi, da morti sono diventati degli autentici miti. E siccome lo showbiz è cinico, sono stati trasformati in vere e proprie macchine fabbrica-soldi, per la felicità degli eredi o di personaggi privi di scrupoli che ne amministrano i lasciti artistici. Solo un paio di esempi: i Nirvana dopo il suicidio di Cobain hanno venduto oltre 10 milioni di copie di Unplugged, un album postumo. E la leggendaria Fender Stratocaster che Jimi Hendrix usò a Woodstock dopo una serie d passaggi di mano (incluso Red Ronnie), è stata alla fine rivenduta alla stratosferica cifra di 1 milione e 300 dollari. Insomma, ha ragione Randy Newman quando canta I’m dead (But I don’t know it), cioè: “Sono morto, ma non me ne sono accorto”.
«La morte», spiega Nick Talevski, che qualche anno fa scrisse The encyclopledia of rock obituaries, «lungi dall’essere un finale, ha spesso riacceso le carriere di artisti altrimenti appassiti». Il mensile americano Forbes pubblica ogni anno una classifica dei guadagni dei musicisti scomparsi ed è sorprendente vedere che i vari Elvis Presley, John Lennon, George Harrison, Bob Marley, Jeff Buckley, Jimi Hendrix, Kurt Cobain, Jim Morrison o il nostro Lucio Battisti continuano a fatturare milioni di dollari. Non solo con la vendita di album ufficiali, dischi postumi e compilation, ma anche con gadget di ogni genere e la visita di luoghi ritenuti “sacri” dai fan, per esempio Graceland, l’ultima casa in cui visse Elvis Presley, visitata ogni anno da centinaia di migliaia di perone provenienti da tutto il mondo.
Altro luogo di pellegrinaggio è il cimitero Père-Lachaise di Parigi, dove è sepolto Jim Morrison, cioè colui che ha generato più leggende di chiunque altro. Jim morì nella vasca da bagno della sua casa parigina il 3 luglio 1971. Non fu eseguita nessuna autopsia: i referti ufficiali parlano di arresto cardiaco, in realtà si trattò di un’overdose. Ma su “Re Lucertola” più che le ipotesi sulla morte, ad incuriosire e affascinare i fan sono supposizioni ben più intriganti: alcuni sostengono che Morrison viva in incognito una vita segreta con la sua fidanzata Pamela (in realtà morta anche lei per overdose il 25 aprile 1974), e c’è chi giura di averlo visto acquistare libri su una bancarella della rive gauche parigina o di aver scambiato con lui qualche parola. Sull’argomento sono stati scritti anche libri. Ma noi preferiamo non indagare oltre, meglio ricordarselo giovane e bello, con quello sguardo che sfida il mondo e una voce meravigliosa. Qualcuno ricorda cosa cantavano gli Who negli anni Sessanta? Hope I die before I get old… (“Spero di morire prima di diventare vecchio…”). Mentre Janis Joplin diceva: «Preferisco vivere intensamente 10 anni, piuttosto che ritrovarmi a 70 all’ospizio davanti alla Tv». Purtroppo, un destino crudele ha voluto accontentarla.
P.S. 1
Oltre a Robert Johnson, Brian, Jimi, Janis, Jim e Kurt, fanno parte del “Club 27” anche Alan Wilson dei Canned Heat (3 settembre 1970, overdose di barbiturici), Ron “Pigpen” McKernan, tastierista dei Grateful Dead (morto l’8 marzo 1973 per cirrosi epatica), Dave Alexander, bassista degli Stooges (10 febbraio 1975, polmonite), Pete Ham dei Badfinger (24 aprile 1975, suicidio), Gary Thain, bassista degli Uriah Heep (8 dicembre 1975, overdose), Pete de Freitas, batterista degli Echo & the Bunnyman (14 giugno 1989, incidente stradale), Mia Zapata, componente della band The Gits di Seattle (7 luglio 1993, presunto suicidio), Kristen Pfaff, bassista degli Hole, band capitanata da Courntey Love, moglie di Kurt Cobain (15 giungo 1994, overdose). Fa parte del “club” anche il pittore Jean-Michel Basquiat (12 agosto 1988, Aids). Ultima in ordine di tempo, Amy Winehouse, morta a Londra il 23 luglio 2011, sulla cui storia tempo fa è uscito il bel biopic Amy.
P.S. 2
Luciano Ligabue ha fatto il suo primo concerto il 28 febbraio 1987: aveva 27 anni. Forse è questo il motivo per cui qualche anno dopo ha scritto La forza della banda, una canzone che dice:
La forza della banda
sta nello star lontani
dai posti in cui son stati Brian, Janis, Jim e Jimi,
che son grandi e lo sappiamo,
che nessuno è come loro,
ma io non mi vergogno
se suono per restare VIVO.