Un divano a Tunisi
di Manele Labidi Labbé
con Golshifteh Farahani, Majd Mastoura Mastoura, Aïsha Ben Miled, Feryel Chammari
Quando Freud nel 1909 vide New York dalla nave che attraccava mormorò a Jung “non sanno che gli stiamo portando la peste”. Quando i parenti scoprono che Selma torna da Parigi a Tunisi portandosi un divano e una foto di Freud col fez (che tutti prendono per un anziano parente) la famiglia dà in escandescenze e i conoscenti restano attoniti: non è roba da donne! E quindi affollano lo studio. Anche se non sanno bene che mestiere faccia la psicoanalista Selma. Per farsi pubblicità spiega il suo lavoro nel salone di una parrucchiera, e quasi tutte le clienti dicono che quella cosa di raccontare i loro segreti a un estraneo la fanno già lì sotto il casco. Poi arrivano gli equivoci, il maschilismo tribale, la polizia del dopo rivoluzione (sospettosa come quella di prima della rivoluzione), la burocrazia, i permessi, i divieti religiosi, il ruolo della donna in un paese arabo. Non è una tragedia, il tono è leggero, da commedia che sfiora il sentimentale, il nucleo è un sospiro: la strada da fare è ancora lunga ma se non altro si sorride.
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