Ligabue. Tutto quello che avreste voluto sapere su 77+7

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Ligabue

La grande festa che si sarebbe dovuta svolgere a Campovolo è saltata per forza di cose. Ma Luciano Ligabue non ha voluto rinunciare a festeggiare i 30 anni di carriera. Prima lo ha fatto raccontandosi in un’autobiografia, È andata così (Mondadori), scritta con la complicità di Massimo Cotto. Ed ora con una corposa raccolta, 77, che contiene tutti i singoli pubblicati fino ad oggi, e con un album, 7, contenente appunto 7 brani che spuntano dal passato ma sono stati riscritti e rielaborati negli ultimi mesi.

Racconta Luciano: «Tutto è nato nella tristezza e drammaticità del primo lockdown. Essendo costretto a rimanere fermo, e non potendo guardare avanti più di tanto a causa dell’enorme incertezza di quei giorni, mi sono guardato indietro. Era la prima volta che succedeva in 30 anni. Così hanno iniziato a venire fuori idee e progetti. Un giorno mi chiama Maioli e mi dice che Pietro Casarini (che io definisco scherzosamente WikiLiga) ha contato i singoli e guarda caso sono 77. Per me un numero magico, come ben sa chiunque mi conosca. In questo caso doppiamente magico, essendo 77 un multiplo perfetto di 7. Ma quella cifra mi ha impressionato anche per un altro motivo: facendo due conti, veniva fuori che ogni 5 mesi avevo pubblicato un singolo, una mole di lavoro davvero impressionante non soltanto per me, ma anche per la mia casa discografica e per i miei collaboratori. Sempre in quel periodo mi sono chiesto: “ma cos’ho nei cassetti”. Ovviamente sapevo di avere molte cose, anche roba brutta, infatti alcuni provini non sono arrivati nemmeno ai musicisti. A volte scrivevo  tanto per scrivere, per capire se sarebbe successo qualcosa. Altre volte giocavo con le canzoni. Comunque in mezzo a tutti quei provini ne ho trovati 7 che mi hanno intrigato in modo particolare. Il solito Maioli ha esclamato: “Abbiamo già il titolo dell’album…”. Così ho iniziato a lavorarci».

Insomma, partendo da un’idea, semplici suggestioni, a volte un ritornello, una serie di accordi o soltanto un titolo sono state generate 7 canzoni che arrivano da un passato più o meno remoto ma sono nuove di zecca. 

Spiega Luciano: «Le canzoni sono state riscritte quasi totalmente, in un paio di casi ho tenuto soltanto il titolo».

7 canzoni raccontate


Mi racconti qualcosa su ognuna di queste 7 canzoni? Iniziamo con La ragazza dei tuoi sogni
«Qui c’è il mio bisogno di idealizzare l’elemento femminile. È un’ode alla donna, una donna ideale che chiunque vorrebbe avere al suo fianco. Anche se mi concedo un pizzico di ironia e in conclusione affermo che “finché resta nei tuoi sogni / puoi cercare ancora in giro”. In origine doveva far parte di Nome e cognome, ma poi non la usai perché c’erano parti di testo che non mi convincevano, né ero convinto della produzione. Invece ora l’ho rivisitata integralmente e mi convince parecchio, infatti è diventato il primo singolo».

Mi ci pulisco il cuore ha un titolo piuttosto sfacciato…
«Mi piaceva parecchio questa ambiguità del titolo, la sua sfacciataggine, che potrebbe essere usata anche per facili battute. In realtà è una frase che ha a che fare con un atto molto importante come pulirsi il cuore nel vero senso della parola. È utile farlo ogni tanto, magari grazie a una luna ruffiana o al sole d’aprile. Del brano originale ho tenuto solo il titolo e il ritornello, che è volutamente brusco, quasi brutale: “finché tiene il cuore / ci vediamo in giro / con le tue paure / con le mie / con le tue paure / l’han chiamato vivere…”. È uno dei brani che amo di più in assoluto, mi piace la realizzazione, mi piace come suona, mi piace il fatto che ci siano ben tre assoli di chitarra. Il provino originale potrebbe avere attorno ai vent’anni, penso che questo brano sia stato valutato per Fuori come va?».

Hai accennato ai tre assoli di chitarra. In effetti il disco è pieno di chitarre.
Da sempre è lo strumento a cui sono più affezionato. Il suo suono mi è sempre piaciuto, al di là di qualsiasi moda o tendenza. Qui i chitarristi si sprecano. In Un minuto fa e Ho perso le chiavi di casa ci sono Mel e Fede. Buona parte del resto del chitarrismo l’ha realizzata Niccolò Bossini: sua la maggior parte delle chitarre di tutti gli altri pezzi. C’è pure Max Cottafavi, che suona in Si dice che. Per quanto riguarda le acustiche, c’è il solito lavoro di Fabrizio Barbacci e ancora qualcosa di Bossini».

Si dice che sicuramente sarà molto amata dai fan perché è una sorta di omaggio a Luciano Ghezzi, storico bassista dei ClanDestino che ci ha lasciato a inizio ottobre.
«Era un provinaccio, una di quelle cose che fai per divertirti. Quando è stato ritrovato, abbiamo fatto i miracoli per recuperare la traccia di basso di Ghezzi, e l’abbiamo usata come un architrave a cui poterci appendere per fare il resto della produzione. La canzone è stata riscritta completamente, testo e musica. Però ho tenuto l’idea del “si dice che”, qualcosa che secondo me è assolutamente attuale: ormai sui social si parla soltanto per sentito dire, quasi nessuno approfondisce niente. Così, giocando sull’ironia, ho voluto sottolineare questo concetto» (nella foto sotto, i ClanDestino: Ghezzi è quello con la camicia a quadri).

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A un certo punto di Si dice che canti “han scritto che la rabbia è come l’acne / tutta roba giovanile / e che la pelle viene liscia solo / dopo la rassegnazione“. Tu continui ad arrabbiarti?
«Certo, spesso e malvolentieri. Credo che rassegnarsi equivalga ad arrendersi, una fase della vita che spero di non vivere mai. Questa canzone è volutamente piena di luoghi comuni e frasi fatte. Personalmente potrei essere interessato a tutto, non certo ad avere la pelle liscia».

Un minuto fa…
«Anche di questo pezzo del provino originale resta soltanto un cenno. La musica originale di questo brano potrebbe essere la più vecchia tra queste 7 canzoni. Nel lotto delle canzoni che scrissi per Buon compleanno Elvis ce n’era una chiamata Key è stata qui. Tanto è vero che in Leggero, brano di chiusura di quell’album, che è una sorta di “riassunto” dei suoi contenuti, c’è una citazione: “Mentre Key si sbatte perché le urla la vena”. Però alla fine Key fu esclusa: sentivo che testo e musica collidevano. Successivamente ci rimisi mano, componendo una nuova musica: quella versione di Key è stata qui è finita in Miss Mondo. Quando ho ritrovato la demo originale durante il lockdown, ho rimesso mano una volta ancora alla musica ed ho scritto un testo ex novo, in cui parlo di una relazione agli sgoccioli, dove tutto può cambiare nel giro di un minuto. Musicalmente l’atmosfera richiama il periodo di Buon compleanno Elvis, infatti l’ho incisa con il supporto de La Banda».

Il brano più rock è Essere umano.
«Sì, direi che è il più cazzuto di tutti. È un brano che viaggia su un doppio binario. Negli appunti della versione originala c’erano due aspetti che mi piacevano molto: le strofe, in minore, sono più riflessive, a tratti persino dolorose, e tratteggiano vari stati dell’essere umano. Ci sono suggestioni davvero interessanti: “cogliere la prima mela / e tutti gli altri guai / fare i furbi sempre / nella gara col destino / spendere con troppa noia / il tempo che non hai”. Mentre il ritornello, in maggiore, è decisamente più scanzonato: “qui / funziona così / un giorno chiodo un giorno martello / un giorno star / un giorno zimbello”. Ma la cosa interessante è che c’è sempre una terza via, quindi può anche capitare che “un giorno decollo”».

La canzone più intima, invece, è Oggi ho perso le chiavi di casa.
«In effetti il titolo parte da un mio gesto quasi quotidiano: perdo davvero le chiavi di casa con frequenza impressionante, con tutta l’agitazione che ne deriva. Lavorando sul pezzo, mi sono reso conto che in realtà questa cosa, a livello inconscio, significa che è necessario saper perdere se stessi ogni tanto: vuol dire ritrovarsi in una condizione in cui poi sei costretto a ritrovati. A questo pezzo mi è venuta voglia di lavorarci appena ho letto il titolo. Però c’era pochissimo da salvare. Era una vecchia demo, probabilmente del periodo di Miss Mondo oppure di Fuori come va?, e anche in questo caso ho riscritto quasi tutto da zero».

L’amico a cui ti riferisci nel testo (“ho un vecchio amico / che c’ha una risata contagiosa”) è una persona reale?
«Sì. È noto che esiste una rete di amici che frequento da sempre. Uno di loro ha questa risata contagiosa, e ogni tanto ne approfitto: mi basta sentirlo ridere per star meglio».

Questa canzone ha una lunga coda strumentale.
«Ero partito da un suono di corni francesi scovato in un software che avevo a casa, ne è nato un tema che ben si adattava a un’orchestrazione, e in sala ci siamo divertiti a suonarlo come se fosse una jam. Il tema di ottoni è una cosa che ogni tanto mi viene. Già avevo scritto una coda orchestrale per Buonanotte all’Italia… Ormai le lunghe code strumentali non si usano più, ma avevamo voglia di divertirci e ci siamo concessi questo godimento musicale finale».

E veniamo alla canzone numero 7, Volente o nolente.
«La sua storia ormai la conoscono tutti. È stata incisa lo stesso giorno de Gli ostacoli del cuore, un pomeriggio davvero magico: Elisa era in stato di grazia e mi ha lasciato queste due tracce vocali sublimi. Tanto è vero che la cosa creò anche un po’ di imbarazzo nella casa discografica: non sapevano quale pubblicare. Peraltro allora ci conoscevamo appena, ma l’affiatamento fu immediato. Il provino originale era voce, chitarra e piano. Durante il lockdown, quando ho messo le mani nei cassetti, ho ritrovato proprio quel provino. Questo è il pezzo che ha subito meno modifiche, ho cambiato soltanto alcune parti del testo che mi riguardavano, perché volevo salvare la voce di Elisa, credibilissima perché assolutamente candida. Pur avendo una quindicina d’anni, trovo che sia una canzone perfetta per i tempi che stiamo vivendo, infatti è un dialogo tra due persone che si desiderano ma sono costrette alla lontananza dalle circostanze: “Dipendesse da me / non saresti da qualche parte / che non fosse la stessa parte / dove sono anch’io”. Probabilmente una delle strofe che sintetizzano meglio il periodo che, volenti o nolenti, siamo stati costretti a vivere». 

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Questo disco sarebbe nato lo stesso senza il lockdown e tutto quello che ha significato?
«Non saprei rispondere. Forse sì, perché comunque prima o poi le mani dentro quei cassetti le avrei messe. Ed ho provato una grande emozione il giorno in cui Maioli mi ha chiamato dicendomi dei 77 singoli: lo so che è un cofanetto impegnativo, ma credo sia stato giusto farlo. Quel che so è che avevamo in testa di fare un anno pazzesco, non solo Campovolo. Volevamo divertirci facendo tutto il possibile per goderci la nostra storia: sono stati 30 anni davvero fantastici».

Tra le 7 canzoni inedite, ce n’è una che ti rappresenta di più?
«No. Io credo che tutti gli uomini siano esseri complessi, composti da molte parti e con un numero infinito di sfaccettature. Ognuna di queste canzoni rappresenta appunto una o più delle sfaccettature del mio carattere».

Chiunque ti conosca almeno un po’ sa che per te 7 è un numero speciale, quasi magico…
«È il mio preferito, non è un mistero. Tutto risale grosso modo al periodo di Buon compleanno Elvis. Allora i fan scrivevano ancora lettere. Chi me le selezionava, un giorno mi fece notare che ne erano arrivate due scritte da altrettante numerologhe che analizzavano le connessioni tra me e questo numero. Parlavano di un “7 che cammina”, elencando una lunga serie di motivi: il mio nome e cognome sono composti da 7 lettere. San Luciano ricorre il 7 gennaio. Le L sono dei 7 rovesciati. Il primo concerto l’ho fatto nel 1987, il primo stadio nel 1997. Una delle mie canzoni più importanti di sempre, Certe notti, è la traccia numero 7 di Buon compleanno Elvis. E tanto altro… Non dico che da quel momento sia iniziata una sorta di ossessione verso questo numero, però ho iniziato a farci amicizia, ed è diventato una specie di gioco che abbiamo ripetuto in diverse occasioni. Per esempio organizzando 7 notti in Arena, o l’L7 tour.

Non sono la Regina Elisabetta

Spesso ricorri all’ironia, ma qualche volta sei stato frainteso.
«Io ho proprio bisogno di fare ironia, sia nelle canzoni (e in alcune di quelle nuove ce n’è parecchia), sia come gesti. Ma mi rendo conto che ogni tanto vengo frainteso, si vede che vince il mio aspetto più serioso. Faccio un esempio: quando sono andato a Sanremo indossando i panni di un improbabile “re del rock” era chiaro che mi stavo prendendo in giro. Eppure qualcuno non ha capito… Se qualcuno crede davvero che io creda di essere la Regina Elisabetta, beh, pazienza!».  

Col trascorrere degli anni, riguardo l’uso delle parole sei diventato più rigido o più elastico?
«Probabilmente agli inizi ero più sfacciato, quindi più diretto. Nel tempo ovviamente uno cambia, si dice che matura. Io non so se sono maturato, ma mi piace pensare di riuscire ad essere diretto come lo ero allora, anche se è più difficile essere sfacciati quando hai 60 anni rispetto a quando ne avevi 30. Però sono convinto che in queste 7 canzoni ci sia più sfacciataggine rispetto ai miei lavori più recenti».

In questi 30 anni di carriera, c’è mai stato un momento di grande sconforto?
«Nel 1999 volevo mollare tutto. Venivo da alcuni anni di enorme successo: Buon Compleanno Elvis, Su e giù da un palco, il libro Fuori e dentro il borgo, il film Radiofreccia. Non ero preparato a reggere quella mole di successo. Che è un qualcosa che comporta cambiamenti enormi, a cominciare dal rapporto con gli altri, dove ognuno, anche persone che conosci da sempre, inizia a guardarti in modo diverso. Insomma, il successo in realtà, oltre ad aspetti indubbiamente positivi, porta con con sé molti lati negativi, a cominciare da un profondo isolamento. Ecco perché in quel periodo ho pensato di mollare tutto. Quello che mi ha salvato sono strati i concerti, io proprio non riesco ad immaginare una vita senza concerti. Così ho ricominciato a salire sul palco e sono andato avanti».

A proposito di concerti, cosa pensi dello streaming?
«Io il primo concerto l’ho fatto a 27 anni. Era una domenica pomeriggio in un centro culturale a Correggio, a quell’ora di solito facevano la tombolata. C’erano 100 persone, tutti amici miei, o degli altri componenti della band, gli Ora Zero. Eravamo su un palchetto alto mezzo metro, e il soffitto era basso. Insomma, situazione ridicola. Eppure provai emozioni fortissime. E quel giorno decisi che avrei voluto replicare quel momento il più possibile. Da allora ho sempre provato le stesse emozioni. Ma fare un concerto vuol dire avere davanti qualcuno, vedere occhi, espressioni, corpi che ballano. Non posso pensare a un concerto come qualcosa fatto in una sala prove. Ovviamente sono cosciente del periodo che stiamo vivendo, non so dire quale futuro ci troveremo a vivere. So che c’è tanta gente che deve lavorare, e che anche un concerto in streaming in questo momento può essere utile. Ma per il bene della musica il futuro non può, non deve essere questo».

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@Jarno Iotti

Vorrei chiudere con una domanda non musicale: qual è attualmente il tuo rapporto con la fede?
«Come sai io vengo da una famiglia comunista e sono cresciuto in un ambiente comunista, in un paese in cui Don Camillo e Peppone rappresentavano due sezioni nette divise da un solco molto profondo. Eppure continuavo ad andare a messa, perché sono stato cattolico per un bel po’ di anni. Così facendo peraltro scontentavo entrambe le fazioni. Col passare degli anni ho mantenuto il mio bisogno spirituale, perché non potrei farne a meno, ma non riuscivo più a riconoscermi in quel tipo di approccio con Dio che è tutto basato sul timore e sul senso di colpa. La vita è già abbastanza dura perché anche un rapporto con un’entità divina debba essere segnato da un simbolo che già da solo parla chiaro: il simbolo della chiesa è un ragazzo di 33 anni crocifisso con una corona di spine in testa. E quel tipo di dolore su cui si basa la religione cattolica lo sentivo troppo forte per me. Io fin da bambino sono stato impressionato dal rito “questo è il mio corpo, questo è il mio sangue, mangiatelo e bevetene tutti”. Fin dalla prima volta che sono andato a messa ho avuto un problema con questa cosa. In definitiva, credo che la mia sfera spirituale sia fatta di tante necessità, e sia molto presente, infatti non sono assolutamente ateo, ho bisogno di credere. Però da tempo non riesco più a riconoscermi nella religione cattolica».

I crediti di 7

La ragazza dei tuoi sogni: Eugenio Mori (batteria), Antonio “Rigo” Righetti (basso), Niccolò Bossini (chitarre), Fabrizio Barbacci (chitarra acustica, cori), Luca Pernici (tastiere), Fabrizio Simoncioni (cori).

Mi ci pulisco il cuore: Cesare Barbi (batteria), Antonio Righetti (basso),  Niccolò Bossini (chitarra elettrica e acustica), Fabrizio Barbacci (chitarra acustica), Luca Pernici (tastiere), Federico Poggipollini (cori).

Si dice che: Cesare Barbi (batteria) Luciano Ghezzi (basso), Niccolò Bossini (chitarre), Max Cottafavi (chitarre), Luca Pernici (tastiere, samples), Federico Poggipollini (cori), Marina Santelli (cori).

Un minuto fa: Robby Pellati (batteria), Antonio Righetti (basso), Federico Poggipollini (chitarre, cori), Mel Previte (chitarre), Luciano Luisi (pianoforte), Guglielmo Ridolfo Gagliano (tastiere, samples).

Essere umano: Ivano Zanotti (batteria), Antonio Righetti (basso), Niccolò Bossini (chitarre), Luca Pernici (tastiere, samples), Federico Poggipollini (cori).

Oggi ho perso le chiavi di casa: Robby Pellati (batteria), Antonio Righetti (basso), Federico Poggipollini (chitarre, cori), Mel Previte (chitarre), Niccolò Bossini (chitarra acustica), Luciano Luisi (pianoforte), Guglielmo Ridolfo Gagliano (tastiere, samples).

Volente o nolente feat. Elisa: Cesare Barbi (batteria), Guglielmo Ridolfo Gagliano (basso, tastiere), Niccolò Bossini (chitarre), Luciano Luisi (pianoforte).   

Clicca qui per leggere la tracklist di 77.

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Massimo Poggini è un giornalista musicale di lungo corso: nella seconda metà degli anni ’70 scriveva su Ciao 2001. Poi, dopo aver collaborato con diversi quotidiani e periodici, ha lavorato per 28 anni a Max, intervistando tutti i più importanti musicisti italiani e numerose star internazionali. Ha scritto i best seller Vasco Rossi, una vita spericolata e Liga. La biografia; oltre a I nostri anni senza fiato (biografia ufficiale dei Pooh), Questa sera rock’n’roll (con Maurizio Solieri), Notti piene di stelle (con Fausto Leali) e Testa di basso (con Saturnino) e "Lorenzo. Il cielo sopra gli stadi", "Massimo Riva vive!", scritto con Claudia Riva, "70 volte Vasco", scritto con Marco Pagliettini, e "Lucio Dalla. Immagini e racconti di una vita profonda come il mare".

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