Nell’ultimo periodo la pandemia ha bloccato totalmente i concerti – anche quelli via internet si sono abbondantemente diradati – ma non ha fermato la creatività dei musicisti. Probabilmente l’ha indirizzata verso territori più interiori e di autoanalisi, più approfonditi e di ricerca, più personali e di “indagine”. Non ci vorrà molto per averne notizie più concrete. Intanto vi proponiamo quattro lavori usciti sul finire del famigerato 2020, che, nei diversi ambiti, ci dimostrano la vivezza del panorama artistico italiano, anche quando la popolarità dei protagonisti non è certo oceanica.

Piero Brega @Cristina Canali

Piero Brega
Mannaggia a me (squi[libri])
voto: 7/8

Per chi, come il sottoscritto, ha amato visceralmente il Canzoniere del Lazio seconda stagione, quella da Spirito bono in poi, più sperimentale e di miscela del “vecchio” folklore revivalista con il rock, il jazz e quant’altro, non può che rizzare le orecchie e mettersi in posizione di punta quando vede sulla copertina di un cd il nome di Piero Brega. Cantante e chitarrista, fondò – parliamo del 1972 – il CdL per uscirne proprio dopo il disco della svolta, quattro anni dopo, richiamato dal prestigio dello studio del grande architetto Paolo Portoghesi.
Dopo quasi tre decenni di libera professione, accompagnati da una presenza fissa nei locali romani a proporre canzoni sia popolari che sue, ha finalmente pubblicato il suo album di debutto come solista, Come li viandanti, nel 2004. Negli ultimi tre lustri, che lo hanno portato a questo lavoro (preceduto solo da Fuori dal paradiso del 2009), Brega ha continuato ad affinare e attualizzare il suo repertorio, che mescola stornelli e blues, avanspettacolo e rock’n’roll, autostrade USA e borgate romane.
Ed è arrivato alle storie mignon delle 11 canzoni di Mannaggia a me, più ricche e articolate nella strumentazione, ma più intime e introverse. Che parlano di scarpe mangiate dalla terra e di marinai senza mare, di una notte in città e della pioggia che non cade ancora, di una fotografia di lei e di nostalgia, dello sconforto del tempo attuale e della speranza che si affaccia, però solo alla fine.

Francesco Loccisano e Marcello De Carolis

Francesco Loccisano – Marcello De Carolis
Venti (ItalySona)
Voto: 9

L’allungata chitarra battente, chiamata anche chitarra italiana, è uno strumento della tradizione popolare del nostro Meridione, soprattutto Calabria e Cilento, simile alla chitarra barocca, con le corde di metallo relativamente poco tese e senza bassi, ma con lo scordo, la corda di bordone, inserita tra le altre partendo da metà circa del manico, con il piano armonico piegato ad angolo convesso e il ponticello non incollato. Ne sono conservate di riccamente decorate (senza scordo) risalenti fino al Seicento.

Il più noto specialista dello strumento è Francesco Loccisano, già collaboratore di Eugenio Bennato, Vinicio Capossela, Gianna Nannini, che ha al suo attivo tre album da solista, con sue composizioni che hanno “certificato” come la chitarra battente possa essere anche non solo uno strumento di accompagnamento del canto o di sottolineatura ritmica. Dieci dei brani di Loccisano – si tratta di una sorta di antologia – sono ripresi in questo cd e riarrangiati per due strumenti.
Marcello De Carolis, di formazione classica e partner di Luca Fabrizio nel duo Cordaminazioni, allievo di Loccisano, scambia con il suo maestro un’emotività e un feeling immediati. I brani scorrono come uno zampillante fiumiciattolo colorato dalle mille verzure della vegetazione attorno alle rive e dai diversi umori del cielo che lo sovrasta. Dalla Danza Ionia, inevitabilmente mediterranea, a Il volo dell’angelo, di ispirazione lucana, dal tradizionale La tarantella di zio Nicola a tutti gli altri, convincono e fanno stare bene.

Luca Dell’Olio

Luca Dell’Olio
Quasaridioma (Libellula)
Voto: 8

Questo giovane cantautore comasco, ma torinese di adozione e attività artistica, si muove in territori che appartengono alla più classica ballad rock, in una traiettoria che va da Neil Young al blues, da John Fogerty ai Pixies, da Lou Reed fino alla cumbia sudamericana. Luca, che canta in inglese, ha debuttato nel 2018 con i singoli Unforgotten e I’ll Walk, prodotti da un abile manipolatore di suoni come Filadelfo Castro (Paolo Nutini, Simply Red, Tiziano Ferro…), e da poche settimane ha pubblicato questo cd d’esordio.
“Quello che ho provato a fare”, dice, “è trasmettere un messaggio assolutamente intimo, in cui il contenuto assume un senso profondo per ogni singolo ascoltatore, scavando sentieri nella sua memoria e poi magari, un giorno, mostrandosi a lui senza preavviso.”
Tra influenze folk, bluegrass e rock classico, con l’America nel cuore (ma talvolta anche con una sensibilità quasi alla Nick Drake), ci parla dei sogni della generazione del post 77 in Disillusion Song, del tempo che ci scorre tra le dita in Dusty Clocks, degli errori e delle incomprensioni che punteggiano la nostra strada in Wrong Ways Ballad, dei conflitti interiori che ci dilaniano continuamente in Made In Nurapolis e così via, fino a Pale Shallow Waters, conclusione dal sapore psichedelico, lanciata verso lontani orizzonti.

Nicolaj Seriotti @Christian Kondic

Nicolaj Serjotti
Milano 7 (Virgin/La Tempesta)
Voto:7

Inevitabile quando si parla di nuovi talenti inserire nel discorso un rapper. La nostra scelta cade sul 22enne che viene dalla periferia del capoluogo lombardo, da Milano 7 per essere precisi. Ed è appunto del suo quartiere, con i suoi abitanti e sé stesso, le loro/sue aspirazioni (“voglio solamente diventare il Donald Glover italiano/ ridi ridi, dammi una decina di anni poi ne riparliamo”), intimità, negatività (“sento il tempo che mi stritola e che grida/ vorrei avere in mano un mitra con cui farla finita”), rincorse (del tempo che passa), iperboli (“sparavamo ogni notte alla luna/ sperando che il cielo non controllasse”), che parla con uno stile che si sta formando e con un sound scarno, prodotto da Fight Pausa e Wuf.
Rap classico con sottofondo elettronico, qua e là momenti più melodici con elementari sbuffi di synth e pattern ritmici inattesi. Serjotti non delude, anzi mostra buone letture contemporanee – da Jonathan Frazen a David Foster Wallace – e ascolti di livello – sperimentatori come Earl Sweatshirt e alternativi come i Brockhampton tra gli altri -, però la sua eleganza compositiva, che individua subito obiettivi interiori e realtà solide, che colpisce momenti di vita vissuta con l’aculeo delle parole e delle rime, non trova ancora quei lunghi percorsi di decollo di cui avrebbe bisogno, accontentandosi di una deriva che suona più nascosta e insieme ricercata del dovuto.

Che dire? Basta citare la cura di oltre 250 cd compilation di new age, jazz, world e quant’altro? Bastano una ventina d’anni di direzione artistica dell’Etnofestival di San Marino? Bastano i dieci come direttore responsabile di Jazz Magazine, Acid Jazz, New Age Music & New Sounds, Etnica & World Music? Oppure, e magari meglio, è sufficiente informare che sono simpatico, tollerante, intelligente... Con quella punta di modestia, che non guasta mai.

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